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Archive for the ‘Prealpi Giulie Occ.’ Category

Punta di Montemaggiore(1613 m), un anello dal passo di Tanamea (851 m)

Da Tarcento la rotabile sale verso N e a Musi compie una brusca svolta verso Est dirigendosi al passo di Tanamea (851m) fra il crestone dei Musi a N e quello del Gran Monte sul’opposto versante. Poco oltre c’era il confine con la Jugoslavia e il valico di seconda categoria era allora transitabile solo ai frontalieri. L’osteria, al tempo gestita da un’anziana simpatica signora offriva buon ristoro ai viandanti dove parcheggiamo.  Dopo la vestizione proseguiamo in discesa verso il confine sull’asfalto costeggiando il Riobianco fino all’inizio del sentiero che si alza sulla destra nel  letto in secca di un ulteriore affluente (forse il rio Starmaz) con bel percorso fra i bianchi massi calcarei che oppongono qualche lieve difficoltà. Se ne esce verso destra in un bel bosco di faggi  e finalmente sui prati da dove ci si affaccia alla dorsale. Ma non solo, incontriamo anche due simpatiche ragazze che fanno il nostro stesso percorso.  La cima sovrastante è lo Starmaz, ci si arriva per verdi (1330m), da questo continuiamo con bel panorama seguendo fedelmente la cresta toccando anche  il Laschiplas (1316m) e concludendo sull’ obiettivo primario ovvero la Punta di Montemaggiore. Non resta che scendere in direzione Nord, il sentiero è più battuto e passa dal ricovero con lo stesso appellativo ricavato da un edificio militare. Da qui un frequentato sentiero riporta al   Passo di Tanamea. Sei ore e mezza in tutto, con Eliana, Gigi e Saro.

Maggio 2012

Monte Banera (1615m), alla cresta del Guarda da Uccea

Dopo quarant’anni di vagabondaggio fra i monti del Friuli la ricerca di nuove mete diventa sempre più complicata, quelle che mancano all’appello sono diventate troppo lunghe o difficili e le ripetizioni diventano sempre più frequenti. Sempre più spesso la scelta viene rimandata al momento di partire, in questa occasione optiamo per la cresta che dal Guarda si spinge verso Ovest a spartiacque fra Resia e Torre. La sperduta frazione di Uccea fa parte del comune di Resia pur trovandosi oltre il passo di Tanamea  poco prima del confine con la Slovenia. Ci si arriva con una rotabile alquanto stretta, alcune se alcune case sono state restaurate è in pratica disabitata e solo nei fine settimana si rianima. A dirla tutta, anche se siamo alla fine di Gennaio la neve è assente salvo che alle quote più elevate.  Saliamo ancora in auto fino a dei casali poco più in alto, circa 780m, dove  lasciamo la vettura. Cominciamo la salita un po’ a casaccio fra i pini traversando verso Est ma poco più in alto ci ricongiungiamo alla retta via sotto le sembianze del sentiero numerato con il 733. Che continua in una luminosa faggeta aggirando a Ovest il boscoso dosso chiamato Caal per arrivare infine sotto le balze erbose della dorsale maggiore. Seguendo una traccia verso O (sent. 701) fra i ripidi pendii arriviamo in cresta a q. 1530, proseguendo verso oriente ci meritiamo la vetta odierna. Splendido il panorama sul vicino Canin e la valle dell’Isonzo con le Giulie Orientali, a Ovest le Carniche e le lontane Dolomiti. Per scendere proseguiamo ancora in cresta verso Est (e il Guarda) superando un’ulteriore quota (1600m ma innominata)fino a all’uscita di una mulattiera presumibilmente militare con il segnavie. 733 che a lunghe svolte riporta alla via già fatta. Che non percorriamo seguendo invece una scorciatoia poco evidente ma contrassegnata da fettucce sugli alberi che ci riporta più sbrigativamente all’abitato dove fraternizziamo con l’unico abitante. Che pochi giorni dopo perde la vita facendo il boscaiolo. In salita due ore abbondanti, elementare. Con Oscar e Sandro, gennaio 2017.

Stol (1678m), la cima più orientale del Gran Monte

dicembre 17, 2016 Lascia un commento

La dorsale del Gran Monte continua anche dopo il confine di stato. Qui prima di calare al corso dell’Isonzo troviamo la cima più alta del lungo crestone oltre a varie altre quote che mancavano ancora nel repertorio. In estate lo Stol è raggiungibile con poca fatica profittando di una strada forestale, volendo farsi del male si può partire pure da Caporetto salendo il faticoso e lunghissimo crinale Est, ma nella nostra gita optiamo per una via mezzo in versante Sud, comunque utile per smaltire il pranzo natalizio (siamo a S. Stefano). Passato il confine a Stupizza proseguiamo per Caporetto, a circa metà strada e poco prima di Staro Selo (Vecchia Sella) deviamo a sinistra salendo al villaggio di Potokj, più o meno 300m di altitudine dove lasciamo il mezzo e dove si trova l’imbocco di un sentiero che si alza piuttosto ripidamente fra la bassa vegetazione e i cespugli. Più in alto il terreno si fa erboso e c’è una spolveratina di neve in sintonia con il periodo natalizio. Nonostante i bagordi in circa due ore e mezza conquistiamo la larga cresta a circa 1200m d’altezza, il panorama è vastissimo specie verso le Giulie e grazie alla giornata risplendente. Non resta che continuare verso il West, la cresta non finisce più, per arrivare alla quota massima ci voule quasi lo stesso tempo…  La cima è purtroppo deturpata da un orripilante ripetitore ma è il progresso. Sono le due del pomeriggio e non bisogna indugiare troppo. Per scendere optiamo per la strada militare (già adocchiata al mattino) che, tagliando ove possibile qualche tornante, consente di arrivare all’asfalto che dalla statale sale a Bergogna (Bregjnj). Per questo arriviamo alla macchina dopo il tramonto. Con Ermanno il 26-12-1994.

1-vegetazione-imbiancata

2-salita-alla-cresta

3-il-versante-sud

4-luscita-sulla-dorsale

5-lultimo-faggio

6-sopra-i-recinti-il-mataiur

7-le-giulie-orientali-a-sin-il-rombon

8-sulla-schiena-dello-stol

9-oltrisonzo-il-monte-nero

10-la-cima

11-i-due-protagonisti-in-meta

12-dalllo-jalovec-al-triglav

13-sulla-via-di-discesa

14-al-sole-calante

15-lo-stol-al-crepuscolo

16-luci-del-tramonto

 

L’anello del Monte Briniza (1636m) da Monteaperta

La dorsale del Gran Monte è disposta in senso longitudinale fra il corso del Torre e l’Isonzo (comprendendo fra le varie elevazioni anche lo Stol, completamente in Slovenia. Il versante N è ricoperto da fitti boschi di faggi mentre  quello opposto è quasi interamente a zolle erbose con qualche affioramento calcareo. Per le quote modeste può essere una meta potabile in tutte le stagioni, evitando magari gli assolati pendii meridionali in piena estate. Dopo questa noiosa premessa, superflua per i friulani, passo ora alla gita in questione che è un pezzo d’antiquariato come si vedrà dall’abbigliamento dei protagonisti, parliamo del marzo 1983.

Il punto di partenza è il paese di Monteaperta che in quegli anni ebbe un momento di notorietà grazie alla squadra di tiro alla fune femminile delle Tigri, la cui monumentale capitana (Ileana, mi pare) era anche la gestrice dell’osteria. Per arrivarci esistono varie possibilità, quella da noi seguita parte da Tarcento da dove si segue la statale per il passo di Tanamea fino a Vedronza dove si svolta a destra , dopo Lusevera e Micottis  e finalmente la nostra località, quota sui 600m. Parcheggiamo di fronte al bar, l’inizio del sentiero (il 711) e lì vicino accanto alla chiesa, clima buono per la stagione con un po’ di foschia. Quattro i compagni, abituali in quei giorni, uno è sparito, con il cjargniel bevo un tajut ogni tanto, per finire due morosi che ho ritrovato di recente, sono felicemente coniugati con due figli che vanno all’università. L’antica mulattiera sale regolarmente a tornanti fra le zolle erbose fino alla sella di cresta a 1540m, il versante N è ancora innevato e intanto che gli amici si riposano salgo fino alla quota a Est (Lausciovizza sulla carta, 1615m), poi tutti assieme fino a uno dei numerosi cocuzzoli del crinale a occidente con belle visioni sulle Giulie, Alpi e Prealpi. La coppia si ferma qui dichiarandosi appagata. Proprio quando il percorso diventa interessante, ci sono da superare ancora dei bei rilievi prima di arrivare al Briniza che è poi la cima più alta, non ricordo se prima o dopo in un tratto siamo costretti a spostarci a Nord per evitare un saltino, la neve è buona, si affonda quel tanto che dà sicurezza. In seguito tutto si appiana e si cammina tranquillamente, andando avanti verso O si arriverebbe alla Testa Grande (l’ultima cima) da dove un’ ulteriore traccia segnata riporterebbe al punto di partenza, ma il solito diavoletto si fa vivo sotto le apparenze di un infido imbuto erboso che ci attira. Non resistiamo a simili lusinghe e scendiamo di lì, dopo qualche peripezia usciamo tutti interi sulla mulattiera fatta in salita. Devo avvertire che su questi ripidissimi pendii si sono verificate parecchie disgrazie e questo povero scritto non è una istigazione a delinquere. Otto ore (comprese le varie soste), dislivello virtuale 1000 m, reale un po’ di più viste le varie risalite.

1 Il Gran Monte

2 Capre a lato del sentiero

3 Erica in fiore

4 Il sentiero per la sella

5 La sella del Gran Monte

6 I compagni con il maestoso sfondo del Canin

7 Il Briniza dai pressi della sella

8 L'ex caserma e le Giulie Or.

9 Le creste dei Musi

10 A nord c'è ancora parecchia neve

11 Comincia la traversata

12 Sul crinale

13 In cresta

14 Nel versante nord

15 Dopo la cima i pendii sono più dolci

16 Discesa sugli esposti erbai

17 Un'altra immagine della discesa

Lo spigolo del Glemine

Il Glemine dal Duomo di Gemona

Lo spigolo del Glemine (709m) sopra il Duomo di Gemona è il banco di prova per allievi (e istruttori) dei corsi di alpinismo con i suoi 250 m di solido calcare anche se un poco infestato dalla vegetazione, gli alberelli presenti sono comunque comodi per l’assicurazione, i passaggi chiave sono la mitica placca poco sopra l’attacco e lo strapiombo esposto verso il finale entrambi sul quarto grado, il quinto che ho trovato su qualche relazione trovata sul Web mi sembra un poco eccessivo. Per l’orientamento a SO rimane abbastanza soleggiato e ci sono stato parecchie se non molte volte, la prima senza corda nella mitica gita dell’UOEI in treno evitando a sinistra tutti i passaggi più impegnativi (eravamo senza corda, che fra l’altro non saremmo stati in grado di utilizzare) di cui ho scritto nell’articolo “Glemine, Ciampon Cuarnan”. Per la seconda salita da allievo e con scarponi ai piedi bisogna ritornare fino all’84, in seguito ho sempre condotto da primo, una volta con l’amico Bepi, sempre con scarpe grosse e in mancanza di cervello fino, quindi con la promozione forse immeritata al grado di aiuto istruttore vi ho condotto varie cordate ma con scarsa  documentazione fotografica a causa della responsabilità del ruolo. Poi  per diletto ancora in un paio di occasioni con varii partecipanti. Bene, dalla piazza del Municipio a Gemona con una stradina asfaltata si sale fino alle più alte case della cittadina dove si posteggia, per arrivare all’attacco si deve seguire una traccia di sentiero fra i prati che conduce alla base di una parete interrotta da una cengia con cavo utilizzata per le manovre in corda doppia, risalite su corda ecc. Con uno spostamento a destra ci si porta allo spigolo che si sale abbastanza fedelmente fino in cima. Per la discesa ci sono due opzioni, la più facile ma lunga continua sulla cresta in direzione del Cuarnan fino alla strada per il Foredor, la forcella fra Cjampon e Cuarnan, che in discesa e deviando a sin. riporta al parcheggio, quella più sbrigativa e seguita è verso N, un sentierino da capre con salti rocciosi che richiedono attenzione torna nei pressi dell’attacco. Sembra tutto così facile, eppure sullo strapiombo ha perso la vita il compianto Flavio, sulla comune in salita una signora si è infortunata con il necessario intervento del soccorso. Per quanto riguarda l’attrezzatura, almeno per quanto mi riguarda, vista l’abbondanza di clessidre e spuntoni, si limita alla corda e a qualche anello di cordino/fettuccia, non ricordo di avere mai usato altro, mi pare che ci sia anche un chiodo sulla placca.

1 La prima salita autonoma

2 Prima salita

3 Nella parte alta

4 In cima con Bepi

5 Un allievo impegnato sulla placca

6 Coda all'attacco della placca

7 Gemona dallo spigolo

8 Soccorso sulla via normale

9 L'intervento dell'ambulanza

10 Ancora lo spigolo

11 Due giovani allieve

12 Carta e bussola in cima per la lezione di orientamento

13 Orecchia d'Orso

14 Fiorellini spuntano dalle fessure

15 Poco sopra l'attacco

16 Impegno sulla liscia placca

17 L'altra cordata

18 Simone, un allievo che ha fatto carriera

19 Verso l'uscita

20 L'ultimo tiro di corda

21 Il Cjampon dalla vetta

22 Di nuovo alla Croce

23 L'amico Gigi

24 E sua moglie

Monte Lavara (1906 m) – nel 25° della scomparsa di Emanuela Vidussi

settembre 2, 2014 1 commento

1 Con Emanuela

Dopo i primi passi da autodidatta (ai primi anni dell’ottanta)  ripiegai sull’escursionismo organizzato e all’Uoei mi feci subito delle amicizie, fra queste le più assidue furono Diego, di dieci anni maggiore e Emanuela molto più giovane che forse riconosceva in noi la figura paterna, assente nella sua famiglia, con loro trovai subito un’identità di vedute e molte sono le gite fatte assieme. Dopo il corso di Alpinismo fui preso dal morbo dell’arrampicata e ci si frequentava di meno, poi la triste notizia dell’incidente stradale che mise fine alla sua breve esistenza a poco più di trent’anni, era la settimana prima di Pasqua dell’89. La sua vita non era stata sempre facile ma il suo carattere solare le aveva dato molte amicizie e per ricordarla si decise di dedicarle un sentiero sul Monte Lavara, l’ultima vetta su cui era stata. Dopo l’assenso della Commissione Giulio Carnica Sentieri ci apprestammo all’opera, c’erano già delle tracce da ripristinare, qualche taglio di mughi e segnare con ometti il percorso, insomma interventi poco invasivi su una montagna che non soffre certo di sovra frequentazione, all’uopo ci era comodo salire alla casera del Confin con un piccolo fuoristrada. Era da poco stato istituito il Parco delle Prealpi Giulie e la nostra attività era stata notata da qualcuno e si scatenò il finimondo, forse per beghe politiche, eravamo già stati a portare in cima una piccola croce di legno con una targa (opere dell’amico Diego), mancava l’inaugurazione, gli Alpini di Venzone avrebbero provveduto al rinfresco e non c’era il permesso di transito per portare attrezzature e vettovaglie alla casera. Il sabato mi capita in casa l’amico Bepi visibilmente alterato (per l’ira o i taglietti) e in un’ora buona al telefono riesce a ottenere l’approvazione del principale e unico oppositore. La domenica siamo in molti a salire, naturalmente camminando, alla casera, c’è la gita sociale, parecchi venzonesi e come autorità partecipa l’allora presidente del CAI di Udine Giuseppe Perotti, anche lui scomparso da qualche anno. La Messa, celebrata da un compagno di scuola di Emanuela in questo ambiente che tanto amava è un momento di riflessione e raccoglimento, seguono i canti della montagna fatti tante volte assieme. Poi la situazione peggiora, gli Alpini hanno portata una damigiana di vino, si aggiungono le ulteriori risorse conservate negli zaini e sono pochi quelli che vanno a inaugurare il nuovo sentiero. Alla fine tutti rotolano più o meno bene a valle, nessun ferito o disperso, penso proprio che la povera Emanuela, se ci osserva da qualche luogo, approvi tutto l’accaduto.

2 Casera Confin e il Lavara

3 Posa dell'indicazione

4 Portando la Croce

5 Foto ricordo dopo la posa della Croce

6 Vista sul Plauris

7 Mazza e punta per fare un appiglio sulla via di discesai

8 Discesa sulla Via Comune

9 La Santa Messa

10 Due Bepi, Perotti e Candoni

31 Agosto 2014, sono in tutto sei i partecipanti fra i quali un minorenne e un’esponente del cosiddetto sesso debole che risalgono legalmente in auto l’impegnativa strada sulla destra idrografica della Val Venzonassa che porta alla malga Confin (1300 m circa), monticata dopo la ristrutturazione e adibita ad agriturismo dove parcheggiamo. La tabella che avevamo posto non c’è più, in compenso fra le varie indicazioni c’è anche quella che porta la scritta “Anello del Lavara”, ci incamminiamo seguendo il segnavia 726 che verso Ovest va alla Forca Campidello e in Val Resia. Lo tralasciamo alzandoci a sinistra al primo bivio, senza numero ma con i bolli bianco-rossi del Cai e alla successiva biforcazione lasciamo a manca quello della via normale per proseguire in traversata fra mughi e ghiaioni verso “le plagnotis”, le dorsali a mughi e bassa vegetazione che scendono dalla nostra meta, la traccia è ancora ben visibile, quindi qualcuno ci va ancora. Rimontiamo la seconda poi con un traverso ci trasferiamo in un canalone detritico/erboso che si risale ripidamente fino alla sella fra la vetta e l’anticima Est dove inizia il tratto più impegnativo. Si traversa sul filo verso occidente fino alle rocce, la novità è che ci sono dei cavi metallici (il primo danneggiato da un masso che all’epoca non avevamo messi) che praticamente azzerano le difficoltà, il tratto è comunque abbastanza esposto e in breve arriviamo sulla bella vetta. I resti della Croce in legno resistono ancora, l’avevamo cementata bene, ne è stata posta un’altra in ferro. Federico ha lucidato la targa in ottone che viene fissata sotto questa con dei tasselli, la missione è compiuta nonostante le previsioni che promettevano pioggia a catinelle la giornata è abbastanza buona e possiamo sostare in tutta tranquillità. La discesa sulla normale della cresta Ovest, rocciosa ma facile, non riserva sorprese essendo ben segnalata. A parte un gruppo di camosci che traversano elegantemente sotto di noi in versante Sud e una grossa biscia o vipera che sguscia sotto i piedi di Ermanno che lancia un urlo lacerante balzando indietro. Arrivati al sommo del canalone Sud il percorso richiede un poca di prudenza, il saltino roccioso che in passato costituiva il passaggio più difficile della salita attualmente risulta anch’esso facilitato da un cavo, mettendo così “in sicurezza” anche la discesa (ma se ne sentiva poi il bisogno?).  Si arriva ai ghiaioni che con amabile scivolata portano al sentiero che si inoltra nella mugheta e al bivio da dove si diramano i due percorsi. Prima di rifocillarci alla malga notiamo una persona che scende dal Plauris in gran velocità, chi può essere se non un certo Emanuele, uno dei pochi allievi dei tempi dei corsi che condivideva la mia idea dell’alpinismo (poca palestra e tanta montagna), è salito in bici da Venzone, complimenti. Per il nostro anello ci vogliono, senza correre, più o meno quattro ore.

11 Malga Confin

12 Indicazioni alla Malga

13 Dai ghiaioni le Plagnotis

14 Rimontando la dorsale

15 Nel canale detritico

16 Stelle Alpine

17 Fiori dalle ghiaie

18 La cima velata dalla nebbia

19 L'anticima Est e la verde selletta

20 Sul tratto con i cavi

21 Un traverso

22 La distrutta Croce di legno e la più recente in ferro

23 Installazione della targa

24 La targa in memoria

25 Discesa per la cresta O

26 Campanule

27 Cresta Ovest

28 Attrezzature nel canale Sud

29 Gli amici al termine del canale

30 Il Canalone Sud dai ghiaioni

31 Il Monte Lavara

32 La dirimpettaia verde Cima di Campo

 

 

Monte Cjampon (1709 m) – In solitaria sullo scivolo Est

La via normale a fine Dicembre

La cima più alta della catena prospiciente la pianura dà il nome all’intera  cresta lunga più di 5 km che dalla valle del Tagliamento (Gemona) si estende fino al Torre. Toponimo impronunciabile per i non friulani che devono appellarla come Chiampon o Ciampon ha una via normale segnata con il n. 713 che risale dapprima sulla destra orografica il corso in secca del torrente Vegliato con una strada percorribile in auto ai tempi di questa salita fino a uno slargo a 615 m, continua poi fino a sella Foredor 1089m. Da questa con percorso vario quanto frequentato un sentiero sale verso N superando un tratto attrezzato (passo della Signorina) e ripidamente sale a un’anticima a Ovest della vetta che percorsa in direzione Est porta alla massima quota, niente quindi di eclatante anche se nella parte alta richiede attenzione. Ora voglio ricordare la mia prima salita in assoluto del 31 dicembre di tanti anni fa che è anche stata probabilmente anche la prima invernale e da solo degna di questo nome. Nessun problema fino al tratto attrezzato quasi senza neve che era invece presente in abbondanza poco sopra tanto da richiedere l’uso della picca, non so se per fortuna o cos’altro sono arrivato alla meta e con qualche tremarella anche a ridiscendere. Pochi anni dopo ci sono ritornato con un paio di amici (Maurizio C. e Carlo P.) e sempre in dicembre con un tempo velato ma con qualche esperienza in più, non ricordo problemi particolari, ci siamo anche scolati in vetta una bottiglia di bianco alla faccia delle nuvole.

 Dal posteggio verso Ovest

Il Cjampon a Dicembre

 La Cima

Il passo della signorina

 Salita alla cresta

 Verso la cresta

Sull'anticima O

La cresta Ovest

 In vista della vetta

 I nostri eroi in cima

Lo scivolo Est a Febbraio

Al Cjampon si può arrivare anche partendo dalla Valle del Torre, da Pradielis un nastro d’asfalto sale a Cesaris e continua fino al borgo abbandonato di Pers 584 m. Qui inizia il sentiero 730 che sale alto sulla sinistra della valle del Vedronza fino alla sella Foredor da dove si ricollega alla via normale, tuttavia si può salire alla cresta alzandosi  molto prima dal guado a massi del Rio della Presa 744 m, si segue per poco il letto del torrente per poi salire a sinistra infide pale erbose, sconsigliate d’estate e popolate probabilmente da simpatici animaletti tipo vipere o zecche. Avevo avuto notizia di una salita invernale di Oscar Soravito scartabellando negli archivi polverosi della SAF, 40-45° di pendenza con un dislivello di 800 m e me ne ero subito invaghito, non trovando alcuno disposto a farmi compagnia in quel 21 di febbraio partii da solo. Ho avuto fortuna perché per  tipo di terreno ed esposizione lo scivolo deve essere piuttosto valangoso, non incontro subito la neve ma solo più in alto dove lo strato superficiale comincia già a mollare. I ramponi sono superflui e adopero solo la piccozza uscendo in cresta abbastanza a Est della Vetta, qui la neve è abbondante ma non malvagia, la continuazione sul filo è splendida come il paesaggio circostante, in 3 ore e ¼ arrivo alla croce. Per la discesa alla normale preferisco ripercorrere la via conosciuta anche per non lasciare subito lo stupendo ambiente, in 1 ora e 45’ sono di nuovo a Pers.

 Lo scivolo E del Cjampon

 Laborioso autoscatto sul pendio

La Cima dal pendio

 La cresta da Est

 Le Giulie Occ.

 La Croce di vetta semisommersa dalla neve

 Sulla cresta al ritorno

Ghiaccio sul Jof d’Ungarina

febbraio 17, 2014 2 commenti

Fra i maggiori Plauris e Lavara si trova una cresta erbosa che culmina ai 1845 m dello Jof d’Ungarina, una delle solite cime per buongustai poco frequentata ma appetibile specie se la salita viene fatta nella stagione fredda, in questo caso a metà Febbraio. Il punto di partenza è la curva del Gran Rio, 514 m, dove si arriva da Venzone risalendo l’asfaltata della Val Venzonassa, oltre questo limitato parcheggio c’è anche il divieto (non pertinente in questo caso). I partecipanti, scrivente compreso, sono sei compresa una esponente del cosiddetto sesso debole che fida per l’eventuale assistenza nel marito, che non ha molta pietà. Lasciate le vetture ci incamminiamo con il segnavia  705a che confluisce nel 705 presso la ben ricostruita chiesetta di Sant’Antonio per proseguire in seguito verso forcella Ungarina e Casera del Confin e dopo la Forca Campidello scende in Val Resia. Seguiamo i segni fino alla selvaggia gola del Gran Rio per alzarci poi liberamente nell’impluvio, anche se sulla cartina c’è un sentiero tracciato in nero non lo troviamo anche perché poco sopra incontriamo la neve di consistenza anche troppo buona, il gelo notturno l’ha trasformata in una crosta di ghiaccio tanto che sotto una roccia affiorante in un modesto ripiano ci fermiamo per mettere i ramponi. Proseguiamo ora in direzione della forca Slips (1631 m) fra l’ultima elevazione a Est del Plauris e la nostra meta, i più pesanti lamentano a volte la rottura della crosta, per mio conto ci galleggio sopra abbastanza tranquillamente anche se in alcuni tratti il percorso è abbastanza “impiccato”. La giornata dal punto di vista meteorologico è eccezionale, il cielo è terso e anche se la temperatura rimane bassa, faticando e in assenza di vento non si sente e bene o male in tutti ci ritroviamo sulla cresta un poco più in alto della forcella. Ora il percorso si sviluppa sulla talvolta aerea cresta N fino in cima. Come d’altronde su tutte le vette il panorama è bello assai, solo parzialmente limitato dalle due cime limitrofe e anche la temperatura al sole è più gradevole, resta da scegliere solo la via di discesa. Pur non avendone notizie la scelta cade sulla cresta Sud che scende inesplorata verso la forcella Ungarina. Al sole fino dal mattino, pure essendo molto estetica non oppone difficoltà di rilievo e arriviamo felicemente in sella. Qui riprendiamo la traccia segnata con il n. 705 che avevamo tralasciata al mattino, scende al Gran Rio, e dopo essere passata dalla chiesetta ridiscende al parcheggio, ci arriviamo con la calda luce del tramonto non senza avere ammirato il corso argentato del padre di tutti i fiumi friulani ovvero il Tagliamento. 1300 i metri di dislivello e quattro le ore impiegate per la salita. Con Gigi, Eliana, Fausto, Giorgio e Sandro.

 Il sentiero per Casera Ungarina sullo sfondo il Ciampon

 Vista sui Monti dell'Arzino e il crestone Cavallo-Col Nudo

 Il Plauris abbondantemente innevato

 Sosta per mettere i ramponi in alto Forcella Slips

 Salita alla forcella

 Forcella Slips e l'ultima propaggine a Est del Plauris

 Pendii sostenuti prima della sella

 Dalla forcella verso il basso

 La cresta N dell'Ungarina

 Il Plauris dalla cresta

 A Est Canin, Lavara, Nero Musi ecc.

 In Cima

La Cresta Sud percorsa in discesa

 I protagonisti a Forcella Ungarina

 Discesa nel bosco

 Il corso del Tagliamento

 La chiesetta di S. Antonio

 Discesa al parcheggio nella calda luce del tramonto

Musi e Veliki Rop da sella Carnizza

Maggio 24, 2013 2 commenti

22 Maggio 2013, attualmente sono piuttosto impegnato a ospitare gli zii d’America (sette persone), oggi sono libero, i parenti sono andati in Toscana e mi tocca, nonostante le previsioni piuttosto incerte con i soliti temporali pomeridiani più probabili a Est, trarne profitto. Il reparto geriatria è tutto presente al consueto punto di ritrovo  in Chiavris, in totale sono sei i partecipanti che propongono varie opzioni, prevale quella di Vigiut al quale era rimasta indigesta la fallita salita al Veliki (o Viliki) Rop del anno scorso ( Post “Alla cresta dei Musi da N”). Ci trasferiamo quindi in Val di Resia e da questa a Sella Carnizza 1086 m, all’inizio del sentiero n. 737. Risplende il sole alla partenza con varia nuvolaglia sui monti circostanti e ci sono i resti della grandinata del giorno precedente. Il sentiero si alza nella faggeta a larghe svolte, quando incomincia a traversare verso Ovest a saliscendi il terreno è già innevato, all’uscita nella conca con grandi massi alla base della cresta bisogna affidarsi ai segni. Delle rampe nevose via via più ripide ci conducono alla forcella di q. 1787 dove una vistosa scritta sul calcare ci informa che la prosecuzione è riservata agli EEA, la ignoriamo seguendo per qualche decina di metri delicati per la neve i segni,indi li abbandoniamo salendo a sinistra delle balze erbose senza percorso obbligato. Un ometto di sassi e il libro di Vetta in esso custodito ci informa che questa ha nome Musi Rop, ultima visita l’anno scorso, oggi siamo immersi nella nebbia. Dirimpettaio al di là della forcella s’innalza più arcigno il Viliki, Gigi non ha pace, deve a tutti i costi andarci, inghiotte qualcosa frettolosamente e si avvia, non posso fare a meno di seguirlo, lui si arrampica sullo spigolo roccioso, personalmente preferisco salire a destra per cengette erbose con qualche passo su roccia, nel frattempo il sole torna rislplendere. Anche qui sotto il mucchio di sassi in un barattolo forato dal fulmine si trova un quadernetto con il nome, già da qualche anno nessuno ha attestato la sua presenza. Ridiscendiamo cautamente, intanto i nostri compagni sono già impegnati sul nevaio che a parte i primi metri si scende agevolmente a tratti pattinando, solo il nostro medico appoggia qualche volta il sedere mettendo a rischio i propri cabasisi essendo siciliano. Torniamo obbligatoriamente sui nostri passi, alla sella sono trascorse sei ore dalla partenza. Ben due osterie sono qui aperte, ne sorteggiamo una a caso per ritemprare le forze.

1 Sella Carnizza

2 Nella faggeta

3 Placche di calcare scanalate

4 Sui traversi che precedono l'anfiteatro

5 Fra gli enormi massi del circo sotto la cresta

6 In salita fra i massi

7 La cresta dei Musi

8 Erti nevai nella salita alla forcella

9 La forcella

10 La forcella

11 Salita al Musi Rop

12 Dal Musi Rop il Veliki

13 Nuvole in cima

14 La cresta verso Est

15 Il compare mi precede sul Veliki

16 Roccioni sulla cresta del Viliki Rop

17 Il gatto e la volpe sul Veliki Rop

18 Qualche modesta rogna in discesa

19 Pare che neanche gli altri già sul nevaio se la passino molto bene

20 Il bellissimo calcare della cima

21 A Sella Carnizza recuperiamo le forze in trattoria

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Al Veliki Rop 1875 m – da Sud prima dell’età del Ferro e del Minio

La cima più alta dei Musi (1875 m), leggermente spostata a Nord della cresta e di scarsa frequentazione  è raggiungibile sia dalla Val Resia (Sella Carnizza) che in traversata per la cresta Ovest che è stata oggetto di una recente “valorizzazione” con la posa di cavi e verniciature varie per consentirne la traversata dalla Val di Mea sempre con il segnavia 737 agli EEA muniti di casco, dissipatore ecc. ecc. annullandone così il pregio alpinistico. Ma in Friuli, mi domando, non ci sono già varie ferrate di ogni genere che possono soddisfare gli appassionati, contro i quali non nutro nessun astio avendole ai tempi percorse quasi tutte? Ricordo (ai tempi ero consigliere della SAF) che l’insano progetto di attrezzare la cresta fra il Vert e il Jof di Montasio venne bocciata con una levata di scudi. Forse sono io con l’avanzamento dell’età che divento sempre più astioso.

10 Maggio 1998

Assieme all’ amico Gigi (il gatto e la volpe) con sua moglie Eliana come nel Post precedente propedeutico a questo torniamo alla Cima 1866 dalla Val di Mea, solito parcheggio a q. 700.  Qui lasciamo la paziente compagna del socio a custodire gli avanzi dei nostri alleggeriti zaini portandoci dietro 20 m di cordino e qualche ammennicolo per l’eventuale sicurezza, calandoci alla forcella a Est. La traversata si sviluppa (sviluppava) parte in cresta e in parte sui  versanti S e N con traversi abbastanza esposti e con tratti innevati,  si vedono anche delle tracce, non si sa se di ungulati o bipedi, occorre solo un po’ di occhio per scegliere i passaggi migliori, comunque la corda rimane sempre sulle spalle e arriviamo alla forcella a N della cresta, 1787 m (ora qui si trova una tabella che informa il viandante  che proviene da Sella Carnizza che la prosecuzione è EEA). La salita alla Grande Roccia, tale significa il toponimo resiano, presenta anch’essa dei tratti abbastanza aerei ( tuttora non segnata), da percorrersi a scelta o sulla cresta con più roccia o sul lato destro più erba. Dal culmine la cima dirimpettaia in cresta ci pare più alta, al ritorno ci saliamo facilmente per balze erbose, da qui soffriamo l’effetto ottico contrario, quindi possiamo tornare indietro senza rimpianti. La moglie dell’amico quando ci avvista tira un sospiro di sollievo (pensava alla sua discesa, non alla nostra incolumità). Anche questa è fatta e rimane irripetibile dopo il misfatto compiuto, per la cronaca le difficoltà massime si aggiravano attorno al 2°, la gita ha richiesto circa otto ore.

1 Bivacco Brollo

2 Salita alla Q. 1866

3 Sul tratto attrezzato

4 La cresta Ovest

5 Il Bivacco dalla cresta

6 Viliki Rop e Canin

7 Dalla Cima 1866 verso il Gran Monte

8 La traversata

9 La traversata

10 Vista sullo Zaiaur

11 Sul Viliki Rop

12 Verso la cima a S della Forcella

13 La Cresta di rientro

14 Traversata al ritorno

15 Da sin. Cimone, Montasio e Veliki Rop

16 Ripercorrendo la cresta

17 Una delle forcelle

18 Sul filo

19 Eliana in discesa

20 La sorgente del Zalodra

21 Discesa a valle

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