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Archive for Maggio 2011

Merlo de On 1775m – Gruppo Caserine-Cornaget

16 febbraio 1992

Con un tempo schifoso ci trasferiamo in Valcellina fino alle prime case di Claut. Ora giriamo a sinistra per risalire, dopo avere attraversata la graziosa borgata di Creppi, la val Chiadola che percorriamo fino a dei rustici poco più in alto dove lasciamo l’auto. L’idea è di salire le ultime cimette a ovest del Gruppo Caserine-Cornaget, trascurato gruppo montuoso fra la val Settimana e l’alta valle del Cellina. Non trovando alcuna traccia di sentiero saliamo con logica alpinistica, ovvero dritti per un ripidissimo canale erboso con grande goduria della signora che accompagna lo scrivente e il solito Maurin che amorevolmente la accudisce. A nostro vantaggio gioca l’assoluta mancanza di neve.  Data la giornata plumbea la sgargiante giacca a vento color giallo che la stessa indossa è a garanzia di un facile avvistamento in caso di bisogno. Arrivati in cresta rinveniamo una traccia (chiamarla sentierino mi pare un’esagerazione!) e con percorso piuttosto arioso traversiamo in sequenza il Culisei 1169m, il Col dei Mui 1244m, la Cima dei Fagier 1372m e arriviamo sulla  nostra meta, la Cima di Val Tremuoia 1450m. Pur se senza difficoltà il percorso richiede gamba sicura ma ripagherebbe, se si vedesse qualcosa, con degli splendidi panorami. In sosta, mentre buttiamo giù qualcosa, uno squarcio tra le nubi ce ne dà un piccolo anticipo verso la catena della Vacalizza. Continuando la traversata, scendiamo in breve a una insellatura. Dall’altra lato di questa, su una roccia, noto un indicazione in vernice: Merlo de On, solo per esperti, con una freccia sovrastante. La ignoro (ma non la dimentico), e si continua la discesa, all’inizio per pendii erbosi, poi tenendoci più a manca guadagniamo un ghiaione di qualità sopraffina che con veloce scivolata -la coppia mano nella mano- ci deposita alla fine della strada, qui impercorribile e vietata ai mezzi a motore e al nostro parcheggio. Ore quattro dalla partenza.

19 Maggio 2011 – vent’anni dopo

Tanto era il tempo che questo Merlo mi stava indigesto. In questo fantastico giovedì ripartiamo. Claut, Creppi, oltre la strada è stata asfaltata e la percorriamo fino al divieto. Si prosegue ancora, pedibus calcantibus, poi la strada diventa sterrata e al suo termine un ometto ci invita a attraversare il torrente in secca e al di là una traccia sale fino alla forcella della Cita a 1140, fra le poche tracce rimanenti dell’antica attività contadina. Al di là della forcella il sentiero che continua in discesa ci porterebbe in un’altra vallata fra varie frane. La cima incombe sopra di noi e cerchiamo invano un qualche tipo di segno che ci porti verso la sella con la cima di Val Tremuoia, all’origine della cresta O, la nostra via salita. Decidiamo di proseguire  a vista fra alte erbe, belle fioriture, ginestre e qualche mugo e senza percorso obbligato ci alziamo in traverso verso ovest, con grande gioia della moglie del mio compagno(siamo infatti un terzetto) che teme tutti i tipi di rettili che però non si fanno vivi. Arriviamo ai margini dei ghiaioni della gita precedente, rinveniamo una traccia che li attraversa quasi agevolmente, quindi per ripidi prati, senza sentiero ma con dei pleonastici ometti guadagniamo finalmente e faticosamente la bella sella che divide la Cima di Val Tremuoia dalla programmata cima. L’indicazione è diventata illeggibile ma esiste ancora e dal basso avevo notato nel secondo canale erboso due vistosi segni rossi. Alla forcella la signora dichiara che per oggi ne ha già abbastanza e viene consigliata dal marito alla salita della Tremuoia che non richiede molto tempo. Avutane una rispostaccia piuttosto insultante che non merita riferire viene costì abbandonata e noi maschi  più usi alle insidie delle crode previo alleggerimento dei carichi (ci portiamo un sacco con qualche genere di conforto più venti metri di una vetusta mezza corda con burrascosi trascorsi) partiamo per l’audace impresa. L’inizio è agevole su sentierino in leggera salita e al secondo canalone ci alziamo facilmente fino a quache metro sotto la cresta, sotto una paretina verticale. Su esposte cengie erbose attraversiamo prima in salita e poi in discesa nel terzo. Da qui osservano il pendio sottostante che scende placidamente ai prati sottostanti: l’autore dei due segni rossi, sicuramente un sadico, ha voluto mettere alla prova gli incauti pretendenti a questo selvatico monte. Dal canale per sortire in cresta necessita superare un saltino di una decina di metri di un misto a roccette erbose (che si rivelerà poi il tratto chiave della salita). Lo superiamo con elegante arrampicata siamo sulla cresta, qui costruisco un ometto, tre sassi, a indicare la discesa. Verso nord una inestricabile foresta di mughi, a sud i precipizi, ancora avanti per un bel tratto sul filo, sul susseguente muro una agile cornice ci invita a settentrione dove troviamoo un varco fra i mughi anche tagliati, quindi qualcuno pur c’è passato. La salita prosegue, alternativamente fra la cresta e la mugaia a infilare una specie di tunnel  che esce su vegetazione più rada e lasciamo ancora qualche traccia (un ramo spezzato e cose del genere a garanzia della discesa) e ci meritiamo la dorsale terminale e al semidistrutto ometto che segna il culmine. Noi vecchiacci, sopranominati anche il gatto e la volpe, siamoo entusiasti di questa cima puramente ravanatoria, come pure dell’inconsuete visioni sui monti circostanti ma ora ci aspetta la discesa, nonché l’abbandonata signora in preoccupata attesa. Intrapresa questa ci caliamo abbastanza agevolmente al canale da non mancare e lo oltrepassiamo finendo nella foresta e poi su un salto roccioso impraticabile. Risaliamo imprecando, e all’imbocco del salto avvistiamo i sassi sparsi dello scomparso ometto: un maligno quadrupede cornuto deve essere qui transitato. La cavezza che fin’ora ha riposato sulle spalle viene adoperata per la calata che facciamo a tarzanetto approfittando di uno spuntone che sembra solido. La signora, approfittando della solitudine  nel frattempo ha salito, con grave scandalo dei selvatici che di sicuro l’hanno adocchiata, la Cima di Val Tremuoia in reggipetto! Cose inaudite. Ora ci aspetta il nostro bel ghiaione per scivolare allegramente  al sentiero.

 

Rustico presso sella Cita

Merlo da On, a sx la cresta di salita

L

Forcella di attacco

Il traverso

Il passaggio chiave

Il tunnel nei mughi

Fioritura di Primule

Cresta finale

La cornice, in discesaLa calata

Col de la Luna in Val Tramontina, 1422 m

Maggio 22, 2011 2 commenti

Un giovedì sera, giorno d’incontro per alpinisti e escursionisti nella vetusta sede della Società Alpina Friulana, casualmente entro in una delle sale e assisto a una presentazione di un volumetto di itinerari in Val Tramontina con proiezione di foto molto belle (Ator pà la valada, di Renato Miniutti ed. esaExpo) che acquisto al modico prezzo di euro dieci. Un’occhiata al libro e una alla carta mi bastano per proporre a un paio di buongustai questa cima dal bellissimo nome  facendo gli scongiuri perché la sua salita lo sia altrettanto. Questa valle è a torto malfamata per gli eserciti di zecche che a detta dei menagrami attendono fameliche l’incauto passante, mentre nei miei pellegrinaggi in realtà ne ho prese, equamente divise, due in pianura e due fra i monti. In realtà il simpatico animaletto si trova ovunque ci sia dell’erba, come ho imparato a mie spese. All’inizio del lago di Redona svoltiamo a sinistra verso Chievolis che attraversiamo, ora a destra (a sin. si andrebbe verso il lago di Cà Selva) in direzione del bel paesino di Inglagna. Non ci arriviamo ma scendiamo ancora a destra e con un ponte passiamo sopra le limpide acque del Rio dei Gamberi, poi la strada diventa sterrata e piuttosto stretta, a destra le rocce e a sinistra, dopo un considerevole salto il torrente: mi auguro vivamente di non incrociare qualcuno, una retromarcia mi costerebbe parecchi fastidi. Passiamo il borgo abbandonato di Chiampei e alla fine della strada Posplata, un paio di case ristrutturate e, come dice il cartello, abitanti 0, Alt. M 412. Ci incamminiamo costeggiando il torrente fra belle fioriture cascatelle e pozze d’acqua dal colore smeraldino sulla ex mulattiera ben segnalata che ci condurrà a forcella Spessa a 1062 m, con davanti a noi costantemente le pareti verticali della nostra meta. Ci alziamo anche ripidamente alle diroccate stalle Coleiba, circondate da terrazzamenti con muri di pietre a secco. E’ incredibile l’isolamento in cui vivevano gli abitanti di queste vallate secondarie con un’economia di stretta sopravvivenza. Alla forcella, aperta in bel bosco di faggi è d’uopo abbandonare il segnavie: traversiamo su esili tracce verso sinistra perdendo anche qualche metro di dislivello ci appare un ometto che ci conferma che siamo nel giusto sbucando poi nel ripido canalone alberato che risaliamo faticosamente. A un certo punto lo abbandoniamo astutamente per salire una rampa a rocciosa/erbosa e a alberelli sulla destra, stimando che la nostra cima sia in questa direzione. Qui in nostro dottore comincia a parlottare fra sé, come fa sempre quando le rogne aumentano. Ne usciamo e percorrendo una facile cresta ritornaniamo verso sinistra dove  miracolosamente rinveniamo un altro mucchio di sassi: è lo sbocco del canale abbandonato in precedenza, ora siamo di nuovo sulla retta via, su una specie di altopiano tutto a faggeta con moltissimi avvallamenti carsici, ci portiamo sull’orlo dei dirupi a Sud e in salita li costeggiamo alla fine arriviamo a una tabella che ci informa che la meta è stata guadagnata: panorama molto bello sul versante dei precipizi, un po’ limitata dagli alberi sugli altri. Una brevissima sosta, nel frattempo comincia a piovere e cominciamo la discesa, sudiamo parecchio per ritrovare l’ometto alla fine del canalone. Dopo un po’ il tempo migliora ed è tempo di pensare al formaggio salato che degusteremo all’osteria del lago.

Murales a PosplataSalita appagante se fatta nei mesi primaverili o autunnali.
28 Aprile 2011

Croda Rossa d’Ampezzo 3146m, via Innerkofler-Schlogel in parete S

Maggio 3, 2011 2 commenti

Alla fine dell’ agosto 1987 ero piuttosto gasato dopo che in una settimana trascorsa in Vallese avevo raggiunto ben cinque 4000 e quando fu partorito l’ambizioso programma di raggiungere questa ambita e temuta cima lo accolsi con entusiasmo. Da poco edito il volume del compianto Gino Buscaini  “Vie Normali delle Dolomiti”, che, scartata la più facile ma più friabile vecchia via comune, sceglieva quella aperta nel 1883 dalla solita grande guida Michel lnnerkofler assieme a uno sconosciuto a nome Schlogel sulla parete Est, chiodata e in parte facilitata nell’orientamento da qualche segno e da ometti, a cui rimando. Le difficoltà sono di II, III con un passo di IV ma con roccia di qualità abbastanza buona, salvo che nei tratti più facili. Questa croda è una delle grandi cattedrali delle Dolomiti, attraente da tutti i versanti, sgargiante nei suoi colori di tutte le tonalità ma poco frequentata per i pericoli che comporta, tipo maltempo, caduta sassi, reperimento della via, lunghezza eccetera eccetera.
Partiamo il sabato pomeriggio per la valle di Braies arrivando sul tardi all’ampia sella di Pratopiazza dove troviamo ricovero in un alberghetto, dove ceniamo ma ci viene negato di intaccare la cospicua riserva vinicola che ci siamo portati per festeggiare il successo dell’impresa (o consolarci del suo fallimento). Il gruppo è piuttosto numeroso, siamo in sette e l’ottavo, di professione poeta e avvocato a tempo perso, ci raggiungerà il mattino seguente essendo dotato di una Volvo 740T straripante di cavalli. Quindi quattro cordate, il mio forte compagno Sandron da tempo ormai dedicato a vita ascetica, l’avv., il solito Maurin, un genitore con figlio al seguito e altri tre baldi giovani. Partiamo alle 7.30 in discesa sui prati a raggiungere il vallone dell’antico ghiacciaio ora ricoperto di ghiaie e dove il distratto poeta, incantato dalla bellezza dei luoghi, perde le chiavi dell’auto. Troviamo subito la rampa d’attacco e saliamo abbastanza velocemente senza legarci (la via è lunga 500 m ma con uno sviluppo ben superiore ci garantirebbe il bivacco facendo tutti i tiri di corda!). La roccia è più solida del previsto, solo al passo più difficile e in altro breve tratto viene adoperata la cavezza. In un camino/canale il solito Mauro ci butta giù un sasso grosso come un comodino ma la prudenza ci aveva già consigliato di stare a lato, un’ultima rampa e poi la cresta finale di torrioni composti di rocce accatastate (qualcuno l’aveva paragonata a delle pile di piatti) e arriviamo sull’eccelsa vetta: sono trascorse cinque ore e mezza dalla partenza.  Il libro risale al 1951, con le firme dell’elite dell’alpinismo nostrano e foresto e anche noi sconosciuti  apponiamo le nostre. Una leggera innocua nebbiolina non ci toglie il gusto della vista. In breve ripartiamo con prudenza legandoci  ben più sovente che all’andata, con parecchie calate fatte ovunque troviamo gli ancoraggi e arriviamo tutti con qualche ricordino, chi contuso chi con qualche abrasione ma nel complesso quasi indenni al ghiacciaio: la grande montagna ci ha perdonato. Sulle ghiaie il mio compagno trova fortunosamente il mazzo di chiavi smarrito, risaliamo i bei prati e rientriamo al nostro ospizio  con lo stesso tempo impiegato in salita, quindi undici ore dopo la partenza. La proprietaria, quando apprende della nostra gita ci fa i complimenti, asserendo che mai un gruppo sì numeroso (e di sfigati) l’aveva fatta, consentendoci di bivaccare sul tavolo all’esterno consumando oltre alle sue prelibatezze sudtirolesi i nostri vini friulani. Le chiavi della Volvo vengono occultate sotto una porzione di strudel  offerta al proprietario che la rifiuta: è già sazio. Al che il Sandron s’incazza e con fare autoritario gli ordina: “Tu le mangjs e vonde!” Obbedisce, e alla lieta scoperta un altro giro di tagli è inevitabile.

Alba sulla Croda Rossa da Pratopiazza30/31 Agosto 1997