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Archive for giugno 2016

Torre Comici e Cima Val di Guerra, due salite in Val di Suola

Da molti anni il rifugio Flaiban-Pacherini è stato dato in gestione prima all’amico Sandro e in seguito a suo figlio Claudio, molte sono state le gite in loco a volte con ritorni disastrosi per aperture e chiusure. Attualmente il bell’edificio è stato sostituito da un anonimo capannone in cemento armato che pure se rivestito in legno fa rimpiangere quello vecchio anche se era alquanto freddo e umido ma più ospitale, complimenti al progettista. Le due gite proposte risalgono agli anni ’90 quindi antecedenti alla ricostruzione. Per entrambe le salite partiamo da Forni di Sopra (910 m) nell’alta valle del Tagliamento, dal centro turistico scendiamo al ponte sul fiume per parcheggiare all’inizio delle pista da sci. Una noiosa strada asfaltata ma con divieto conduce all’inizio del sentiero 362 che dapprima nel bosco poi tra i mughi e infine in terreno più aperto porta al ricovero (1587m) in un paio d’ore.

1 Scarpetta della Madonna sul sentiero

2 Il vecchio Flaiban-Pacherini

La Torre Comici (2200m circa) per la ferrata Cassiopea

Il Visentini che ha un poca di puzza sotto il naso dice che non gli interessa (anche se in varie guide le consigliava), non è che io sia un grande cultore di questi itinerari addomesticati ma se mi capitano non ci sputo sopra, d’altronde la via più facile è di quarto quindi in mancanza riservata ai più eletti. D’altra parte in tutte le Dolomiti d’oltre Piave mi pare che non ci siano altri itinerari attrezzati e non vedo quale danno possa arrecare all’ambiente. L’appuntamento con il mio coetaneo e paesano è al rifugio, salgo a Forni con la poderosa bicilindrica a due ruote di recente acquisto (il primo amore non si scorda mai!) senza economizzare sull’acceleratore. Dal ricovero, salutati gli amici e continuando sullo stesso segnavia ci dirigiamo abbastanza faticosamente al Passo del Mus (2063m), fra la nostra torre e l’omonima cima, prima per verdi e poi sui detriti e sfasciumi. Dopo esserci attrezzati di casco,imbragatura e cordino (dissipatori e altre amenità erano futuristici) seguendo bollini e cavi senza troppi problemi ci meritiamo la vetta. Non ho trovato sul mio diario altro, quindi penso che la discesa sia stata fatta lungo lo stesso percorso, quello che ricordo della via è che richiede abbastanza forza nelle braccia e abitudine all’esposizione.

3 Il canale di salita al passo del Mus

4 Torre Comici e Cima Val di Guerra

5 Sulla Cassiopea

6 Un passaggio della ferrata

7 L'uso dei cavi è obbligatorio

8 L'arrivo

9 In vetta

10 Cime tempestose

 

La via comune alla Cima Val di Guerra, 2353m (2°?)

Transitando in precedenza dal passo del Mus ci eravamo invaghiti di una possibile via di salita dalla Val di Guerra (che scende in Cimoliana), non trovando altre notizie decido di tentarla trovando conforto nell’amico Vjgiut di provata fede ravanatoria. L’avvicinamento è lo stesso della gita precedente. Dal valico ci portiamo brevemente calando per poco nell’opposto versante fino a una svasatura di rocce. Dove c’è da arrampicare su rocce di dubbia solidità (è la massima difficoltà della salita). Superato il delicato passaggio si esce sulla cresta Sud più affidabile e sicura, seguita verso sinistra arriva a un intaglio che si supera in spaccata. Poi, quasi camminando, ci si merita l’esaltante vista dalla vetta che non sto a descrivere. In discesa non ci sono alternative alla via già percorsa. I maggiori pericoli ci aspettano però al Pacherini, qui la festa impazza fra canti e cospicue libagioni e la calata a valle comporta parecchi rischi.

11 Salita alla cresta

12 L'inizio della cresta è alquanto frastagliato

13 L'amico sul dorso

14 Nel magnifico ambiente delle Dolomiti Friulane

15 Una spaccatura

16 Un modesto ometto sul culmine

17 I due volponi si congratulano

19 Forni e la val di Suola

20 In discesa alla fine delle difficoltà

21 La tavolata al rifugio

22 A seguire la penosa ma sentita esibizione canora

23 Il gestore e in ordine di precedenza il cane e la consorte

24 Forni, dal parcheggio il Gruppo del Cridola

Jezerski Stog (2040 m), un’ulteriore gita a monte di Bohinj

giugno 20, 2016 2 commenti

L’esteso altopiano che scende verso meridione dal Tricorno al lago di Bohinj è un vero paradiso escursionistico, dalle scure foreste capita di uscire in sorprendenti radure con le tipiche casere di legno dove ci si può magari ristorare con i tipici prodotti dell’alpeggio tipo formaggio e ricotta magari accompagnati da una birra o una grappa di dubbia origine, non manca un lago sulle cui rive si trova un rifugio. Parecchie sono le cime secondarie poco blasonate raggiungibili senza troppi problemi a parte la scarsità o mancanza di segnalazioni, peraltro sempre al cospetto del re delle Giulie Orientali, dove senza cartina non se ne viene fuori. Per arrivarci dai patri lidi il giro è lunghetto, Tarvisio e Valico di Fusine, discesa lungo la valle della Sava fino alla deviazione a destra per Bled e a Stara Fuzina, poco sopra la riva Est del lago. Pagando un pedaggio che diventa ogni anno più esoso saliamo a sinistra con la strada bianca, all’unico bivio si prende a destra, per parcheggiare dove termina  (con qualche difficoltà di parcheggio nei giorni festivi) nei pressi di Planina Blato (1088m). Ora si continua verso Est passando sopra l’estetico alpeggio per cominciare poi ad alzarsi sulla comoda traccia che conduce alla Planina Krstenica, 1655m, in posizione incantevole qualche metro sotto la dorsale. Continuando praticamente in piano verso N si arriva a Jezerce, un avvallamento dove in passato forse c’era una casera. La sorgente del toponimo, praticamente in secca, quota 1720 m. La cima resta a destra, segni non ce ne sono però le tracce sono evidenti e ci alziamo in questa direzione fino a  uscire alla valicabile forcella Jezerski Preval  da dove per tracce aggiriamo la sommità in direzione Sud e con un ultimo breve tratto ci saliamo da questo versante. Non è una giornata eccezionale e il sole latita a guastarci un pò il panorama, la valle parallela a oriente è la Miseliska, già precedentemente visitata per altre mete, invece sulla nostra dorsale si trova verso N un bifido cocuzzolo nomato Adamo ed Eva. Arrivano poco dopo anche un paio di sloveni (vanno proprio dappertutto) che ci fanno le condoglianze per le condizioni del meteo, d’altronde questa è una variabile indipendente. Non resta che ridiscendere a Jezerce fra i fiori che costeggiano il sentiero. La gita ci è parsa breve così decidiamo di variare l’itinerario, dal lato opposto c’è la vallecola che sale all’ulteriore forcella Lazovski Preval per erba e tracce, in ultimo mughi (1966m), altri 250m di dislivello, divallando poi con lo stesso tipo di terreno alla ulteriore amena spianata di Planina v Lazu. Attraversato l’alpeggio verso destra si trova l’imbocco di una mulattiera che con qualche saliscendi poi cala allo spazioso rifugio Na Planina pri Jezeru(m 1450). Dopo il meritato ristoro un viottolo sassoso ci riconduce al posteggio. Ben otto ore lunghe soste comprese. Con Sandro e Saro il 27 giugno del 2012. Difficoltà nessuna, il giro per contro ha un notevole sviluppo.

Giugno 2012, con Sandro e Saro

1 Planina Blato

2 Il sentiero nel bosco

3 Planina Krstenica

4 Nuvole verso Nord

5 Oltre l'alpeggio fra larici e mughi

6 Fiori sul sentiero

7 Salita a Jazorski Preval (forcella)

8 Dalla sella la meta prefissata

9 Salita alla vetta

10 Uscita in cima

11 Verso i monti di Bohinj

12 La verde forcella sovrastata dalle cime Adamo ed Eva

13 Belle fioriture tornando a Jezerce

14 Ancora fiori

15 La fascia di mughi alla forcella Lazovski

16 Poi si scende a Planina v Lazu

17 Un solitario equino

18 Il rifugio del lago

19 Il malinconico laghetto

20 Ci ritempriamo con una birra

21 Il luogo è molto frequentato

Terzo Spigolo S di Rozes, una salita prematura (3° e 4° con due pass. di 5°)

In questo Giugno avaro di soddisfazioni a causa del clima piovoso non resta che frugare nell’album dei ricordi, stavolta torno allo stesso mese del lontano ’89. Fra la sovrabbondanza di cime disposte attorno a Cortina la Tofana di Rozes merita un posto d’onore, sulla colorata parete Sud a forma di pala alta quasi mille metri hanno messo la firma i più forti scalatori indigeni e foresti, la migliore vista si ha salendo al passo Falzarego. La Domenica precedente con l’amico Nevio avevo fatto una via di Dibona al Pomagagnon osservando dalla sua cima la maestosa cattedrale di dolomia che ci era apparsa sgombra di neve. Sette giorni dopo torniamo alla carica proponendoci il Terzo Spigolo per la classica via aperta dai locali Alverà e Pompanin nel 1946 che esce sulla cresta Est. A disposizione abbiamo la relazione del Berti nella guida grigia del CAI che non menziona il dislivello, a spanne potrebbe essere sui 400-500 metri, in un giorno è comunque una bella sfacchinata partendo da Udine, ai tempi eravamo abituati a imbarcarci in imprese di questo tipo su vie poco frequentate quando i telefonini non erano stati inventati e nessuno sapeva dove si era andati. Arrivati a Cortina saliamo verso il Falzarego per deviare sulla rotabile che sale al rifugio Dibona (2083m) dove parcheggiamo alle otto del mattino. Ma a che ora siamo partiti da casa? Non lo so. Dal rifugio con il sentiero segnalato ci trasferiamo alla base delle pareti (sent. 403 e 442) poi seguendo brevemente i segni e le attrezzature che portano alla grotta della Tofana arriviamo all’attacco della nostra via. Per quel che ricordo lo spigolo è dapprima piuttosto largo e lascia parecchie incertezze sulla strada giusta da seguire, la roccia è abbastanza salda e andiamo avanti a oltranza. Le difficoltà non sono continue e si riesce anche a tirare il fiato anche se l’ambiente è impressionante fra gli abissi verso i quali precipitano infide pareti rosse. Si vede che non abbiamo sbagliato molto (la guida è stata riposta nello zaino) quando usciamo sulla cengia che percorsa verso sin. arriva alla caverna che precede il passaggio chiave. Si tratta di una traversata espostissima (una quindicina di m, dice il Berti) dove sia il primo che il secondo corrono gli stessi rischi. Ne usciamo illesi, ora si vede già la rampa di uscita che si raggiunge arrampicando ma su difficoltà via via minori, è ancora innevata ma il problema non è questo, bisogna passare sotto un diluvio causato dal disgelo prima di uscire sulla cresta affacciandoci al versante del rifugio Giussani, tutto bianco. Metto le pedule e l’amico (scalzo, non cambia poi molto) le scarpe da ginnastica prima di affrontare i facili pendii di neve molla. Poi facciamo il nostro poco trionfale ingresso nel ricovero già gestito a mò di due anatre spaventate. Troviamo il locale affollato (c’è anche un fuoristrada nel parcheggio) da gente allegra, sono gli Scoiattoli di Cortina che festeggiano la difficile salita del Pilastro. Ci chiedono da dove diavolo veniamo ridotti in simili condizioni, fra gli sghignazzi lo confessiamo. “E’ ancora presto per quella salita” ci dicono, per dire il vero ce ne siamo accorti anche noi, loro si sono fatti portare gli scarponi all’uscita della via. Siamo invitati a partecipare alle libagioni a base di un tonificante Vov giallastro ma la cosa va per le lunghe, mentre ripartiamo siamo invitati per il bicchiere della staffa al sottostante rifugio Dibona. All’avvicinarsi dei fari ci nascondiamo fra i mughi per evitare ulteriori complicazioni, anche così rientriamo alla magione ben dopo mezzanotte.

1 La Tofana di Rozes

2 Al centro il terzo spigolo

3 Salendo all'attacco

4 Le altre Tofane e il vallone del rifugio

5 L'inizio della via

6 Il compagno in azione

7 Vista su Croda da Lago e Pelmo

8 I colori della Dolomia

9 Il traverso dopo la grotta è il passaggio chiave

10 La conca di Cortina con Sorapis e Antelao

11 La rampa finale

12 Le Tofane di Mezzo e di Fuori

13 Neve nel versante di discesa

14 La Tofana di Rozes dal rifugio

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Pisimoni 1880m, la faticosa via normale da Ovedasso

Il gruppo dello Zuc dal Boor termina a meridione con questa cima arcigna e isolata, un versante alto 1500 dà sulla valle del Fella, gli altri limiti sono la val Aupa e il rio Simon mentre verso N il frastagliato crestone prosegue verso la vetta maggiore. La montagna poco blasonata non patisce certo l’affollamento se non per la difficoltà per la lunghezza degli accessi. In quegli anni eravamo dei collezionisti medaglie e mancava ancora questa sommità per guadagnarci quella dell’Alta via di Moggio. Con due sodali dell’epoca (di cui da tempo si sono perse le tracce) ci trasferiamo quindi al paese detto sopra e verso destra dopo aver valicato l’Aupa a Ovedasso, uno dei tanti borghi quasi spopolati di queste Alpi Carniche meridionali dove parcheggiamo a 422m di quota. Dopo un primo tratto nel bosco di pini e passando da una Croce metallica poi la traccia si inoltra in luoghi che visti dal basso sembrano impraticabili seguendo in parte gli itinerari degli antichi fienaioli. Molto belli e pittoreschi sono i traversi  su cenge a soffitto dove bisogna prestare attenzione anche se difficoltà alpinistiche vere e proprie non se ne incontrano. Il terzo settore è più appoggiato e la vegetazione si riduce a ginestre e mughi, per contro incontriamo la neve che rende la gita più interessante, il largo dorso ci conduce in cima. Tre ore e mezza, in discesa facciamo la stessa strada. A Moggio dopo laboriose ricerche rintracciamo il presidente del CAI locale per ritirare il distintivo non senza prima avergli svuotato un bottiglione di Bacò, l’unico vitigno che resiste a queste latitudini. Con Amorino e Bepi nel maggio dell’87.

1 La Croce di Ferro

2 Moggio, il Fella e l'Amariana

3 I due compari

4 Sotto gli strapiombi

5 Incontriamo anche una sorgente forse temporanea

6 L'incontro con la neve

7 L'ultimo tratto

8 La Vetta

9 L'arrivo

10 La foto di vetta

11 Non resta che scendere

12 La Cengia a soffitto

13 Un Ometto quasi monumentale

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