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Archive for giugno 2013

Monte Tuglia (1931-1945 m) – breve ma tosto

1 Givigliana e il Tuglia

Il migliore punto di osservazione del Monte Tuglia è la più alta frazione del Comune di Rigolato, Givigliana, da dove ha l’aspetto di una isolata  piramide appuntita e a picco sulla Valle di Gorto, fino ad oggi costituiva una mia lacuna difficilmente colmabile dal momento che alcuni degli abituali compagni c’erano già stati in passato. La via normale si svolge nel versante opposto a quello visibile dal citato paesello e per il suo poco dislivello (circa 700 m) mi pare una meta accettabile tanto le mie condizioni di scarso allenamento quanto per quelle del tempo molto variabili, il punto di partenza della gita è Cima Sappada, al parcheggio della seggiovia del Siera 1276 m. Con altri due compagni mi avvio sulla stradina che costeggia brevemente la statale che in seguito diventa sentiero in un bel bosco di conifere, si riesce su una forestale che arriva da sinistra e con alcune brevi contropendenze arriva ai pascoli e alla casera Tuglia a 1597 m. Da qui il monte ha un aspetto meno ardito anche se i verdi dove sale presumibilmente la via paiono molto ripidi. Non ci sono segni né indicazioni, saliamo sul dosso dietro la malga e attraversato un umido prato fiorito saliamo verso le rocce e puntualmente appare un ometto, sulla parete è stata posta una targa a ricordo di una escursionista qui precipitata due anni fa. La traccia anche senza segni è ben individuabile, sale sui pendii erbosi a sinistra, a una macchia di larici si sposta verso il lato opposto, raramente protetta dalla vegetazione ma sempre  esposta. A questo punto rimango da solo, gli amici allarmati da qualche goccia di pioggia preferiscono rinunciare, peccato perché qualche decina di metri più in alto si entra nei mughi per uscire poi in cresta a pochi metri dall’anticima Ovest che si raggiunge facilmente (Croce, 1931 m). Il panorama è molto bello anche da qui, ma la Vetta appare piuttosto arcigna e rognosa da raggiungere, intanto che ci medito sopra bevo un sorso d’acqua e mi fumo una sigaretta, poi sperando che il diavolo non sia brutto come viene dipinto riparto, mi calo all’intaglio aiutandomi con i mughi, per riuscire in cresta arrampico su una breve paretina con appigli abbastanza solidi, è il passaggio più difficile (1° sup. dice la guida). Continuo sul filo delicato per la friabilità ma comunque meno impegnativo fino all’ometto dov’è custodito il quaderno delle visite e vi aggiungo  il mio nome. Anche ieri il Tuglia ha avuto una visita e come oggi solo uno su ci è arrivato. Due ore e mezza dal posteggio, ora la discesa. Tornato all’anticima mi fermo per il tempo di un autoscatto poi ridiscendo con le dovute cautele in meno di ¾ d’ora alla casera ritrovo i compagni. Ripartiamo quando comincia a piovere ma smette subito, solo all’arrivo all’auto la precipitazione si fa più abbondante ma oramai è fatta. 2013, 26 Giugno.

2 Cima Sappada e il Ciadin dal parcheggio

3 Guado del rio Geu

4 La Cima delle Dieci

5 Fioritura di Botton d'Oro

5 Scarpetta della Madonna

6 Dalla malga  Creta Forata, Cima Dieci e Siera

7 Malga e Monte Tuglia

8 Prati fioriti per l'attacco

9 Ripidi pendii caratterizzano la salita

10 Sopra gli ultimi larici

11 Ant. Ovest  e Cima

12 L'impegnativa vetta

13 Dalla Cima verso Sappada

14 Pleros e Creta da la Fuina

15 Autoscatto

16 Fuina, passo Entralais e Cimon

17 Malga Tuglia

18 Alla Casera i compagni se la spassano

19 Sul sentiero che riporta a valle

Antelao 3263 m, la Via Menini da NE, Ad

Il gruppo dell’Antelao non è molto esteso ma culmina con la più alta vetta delle Dolomiti Orientali, secondo solo alla Marmolada fra le intere Dolomiti. Limitato dalla valle del Boite a Sud, la Val d’Oten e il Piave a Est e la Valle di San Vito a Ovest collegate dalla Forcella Piccola (2120 m),  un centinaio di metri più in basso a Est si trova il rifugio Galassi. Conserva a Nord due ghiacciai, la prima salita su neve da questo versante fu percorsa dal Capitano Menini con gli Alpini Carrara e Zandegiacomo e le guide Pordon e Toffoli nell’agosto 1886 che scalarono i lastroni (attualmente attrezzati) che portano al ghiacciaio superiore e il canalone nevoso arrivando alla forcella (3100 m) che ha preso il nome dal nostro capitano come la cima più a Est, nel 1932 Arnaldi e Maraini salirono direttamente dal ghiacciaio inferiore ma essendo alla fine di Agosto ebbero parecchi problemi nel superamento della crepaccia terminale.

La via Menini con variante Arnaldi-Maraini – 50°/55° – 2° sup., 1250 m

Dopo queste note storiche scopiazzate qua e là anch’io torno indietro di una ventina di anni e alla nostra piccola impresa. Prima di partire ci accertiamo che la preziosa base di appoggio sia aperta e gestita, ci arriviamo salendo da Calalzo in Val d’Oten, libera alla circolazione fino alla Capanna degli Alpini 1395 m, in un paio d’ore di cammino varchiamo la porta del nostro ostello. E’ il 30 di Giugno, tempo bello stabile, cinque sono i pretendenti alla via e due i personaggi di supporto, il buon Bepo e l’allora compagna del Maurin. Oltre a questo e al sottoscritto c’è Maurizio, la Cinzia che deve inaugurare i ramponi nuovi e un certo Ermanno sparito  molti anni fa dalla circolazione. Siamo già in movimento prima delle cinque, con il sentiero delle laste saliamo al ghiacciaio inferiore, l’innevamento è buono e optiamo per la più logica e diretta variante del 1932 evitando il giro della ferrata dei Lastoni, alla crepaccia terminale ci leghiamo, io e Maurizio faremo da capicordata rispettivamente a Cinzia ed Ermanno, Maurin rifiuta sdegnosamente la cavezza, andrà avanti in solitaria. Il crepaccio, fonte di varie complicazioni nella prima salita è facilmente superabile in corrispondenza della rigola centrale. Le pendenze con questa neve sono abbastanza potabili solo che non procedendo a comando alternato si perde parecchio tempo (La mia allieva ha il piedino di Cenerentola e non ha trovato un paio di ramponi adatti e anche l’altro secondo non è un fulmine di guerra). Ci raccordiamo con il canale Menini che arriva da sinistra, l’inclinazione qui raggiunge il massimo e usciamo in forcella, qui bisogna traversare a destra salendo una delicata dorsale di dura ghiaia e neve, poi qualche metro di rocce poco affidabili per entrare nei camini dei salti Pordon (qui gli apparve il diavolo in alta uniforme). Spediamo avanti il Maurin con la corda, finora ha sghignazzato ma ora si rivela finalmente utile, nonostante le fosche previsioni dopo i primi metri si arrampica abbastanza sicuramente con difficoltà calanti, dopo ben otto ore calchiamo la cima del Re delle Dolomiti. Per la discesa è bene conoscere la via normale del versante Nord, il castello sommitale ci impegna alquanto, in seguito ci sono le laste completamente innevate, verso la fine quasi pattinabili mentre le cenge a NO sono sgombre, possiamo tirare un sospiro di sollievo. Al rifugio la compagna di Mauro ha sbollito la crisi di gelosia verso Cinzia e ci accoglie amabilmente, è ora di divallare, che domani è di nuovo Lunedì. 12 ore in tutto, l’anno è il 1991.

1 Veduta sulle placche dalla Val d'Oten

2 L'Antelao da NE

3 L'alba

4 Primo sole sul ghiacciaio

5 Il ghiacciaio inferiore

7 Sorapis e Marmarole

8 Il canale della variante Maraini-Arnaldi

9 La salita

10 La salita

11 La salita

12 Alla confluenza dei canali

13 Sulla via originale

14 La Punta Menini dal tratto finale

15 I protagonisti in cima

16 Verso Ovest

17 L'inizio della discesa

18 Il castello sommitale

19 Il Bivacco Cosi

20 Sulle laste

21 La Cima dalle laste

22 Sorapis e Tofane

23 Le cenge a NE

24 Al rifugio Galassi

25 L'Antelao con la via di salita dal Rifugio

Cima delle Monache (2160 m) – le distrazioni si pagano

Da Cimolais per l’ennesima volta risaliamo la valle omonima, il parcheggio del Pian di Fontana a 910 m di quota si trova alla confluenza della Valle di S. Maria nel solco principale. Dopo avere guadato i due torrenti si percorre una strada (con divieto) che poi si riduce a sentiero in un bel bosco di faggi lasciando a destra la traccia per il Bivacco Gervasutti e a sinistra quella del Dosso Nadei e una ulteriore per la val del Drap, si attraversa il letto in genere secco del torrente che scende da quest’ultima. Si sale ora fra le betulle di una costa, si attraversa fra i massi il corso d’acqua della Val dei Frassin poi rimonta sulla destra il bosco fino alla bella radura della Casera Laghèt di sotto uscendo definitivamente in terreno aperto (1580 m). Il giorno è il 24 di Giugno e il compagno è il solito Ermanno, la flora è al massimo del suo splendore, traversati i pascoli ci spostiamo sulla sinistra riattraversando il torrente, acqua anche qui, per salire il pendio sul lato opposto fra macchie di mughi, affioramenti rocciosi e ricche fioriture che fanno dimenticare i quasi 1000 metri di dislivello da coprire arrivando infine alla Laghèt de Sora 1871 m. Una breve doverosa sosta prima di ripartire, ci alziamo brevemente verso la Forcella Val dei Frassin fino a una tabella con indicazioni, la nostra direzione è quella di Forcella Spè, traversiamo verso destra fino a portarci alla base delle rocce della nostra cima e forse distratti dalla bellezza dell’ambiente andiamo ancora avanti superando i ghiaioni della nostra salita. Costeggiamo anche il basamento della Cima dei Frassin uscendo alla panoramica forcella Pedescagno 1930 m ci inoltriamo per un bel tratto nella Valle dei Lares alla ricerca della nostra fantomatica salita prima di rileggere la relazione. Con un saliscendi piuttosto faticoso torniamo sui nostri passi, alla conoide ghiaiosa ci alziamo faticosamente per entrare in un anfiteatro roccioso, ed ecco il primo ometto. Il canale in seguito svolta ripidamente a sinistra fino a rinserrarsi fra due quinte verticali, dopo la strettoia delle ghiaie fini e compatte ci portano alla cresta. Verso destra e fra i mughi eccoci all’anticima, Ermanno dichiara che per oggi basta e avanza, proseguo da solo sottocresta su pendii erbosi (la cresta è invasa dalla mugheta) indi mi alzo all’ometto di vetta, di ben due metri più alta della precedente ma con panorama identico. Con la variante 4 ore e mezza, difficoltà alpinistiche non ce ne sono, la gita si dipana sempre su sentieri segnati, solo la salita alla cima richiede una certa dimestichezza con questo tipo di terreni e l’assenza di tracce. Tornati sul sentiero osserviamo che il ghiaione scende a ventaglio fino ai pascoli della casera de Sòt, ci lasciamo scivolare più o meno dolcemente, poi riprendiamo il sentiero della salita. 2012.

1 La costa nel bosco di betulle

2 Guado del torrente

3 Casera Laghèt de sòt

4 Fioriture a lato del sentiero

5 Sul sentiero per la casera Laghèt de sora

6 Flora rigogliosa sotto la Casera Laghèt

7 Cima delle Monache (a sin.) e Cima dei Frassin

8 La Casera Laghèt, in alto la Forcella dei Frassin

9 Fiori nei pressi del ricovero

10 Il nostro sentiero è quello diretto a Forc. Spe

11 Cima e Forcella Spe dall'errata Valle dei Lares

12 Faticoso ingresso nel canale di salita

13 Il canale

14 Il compagno in salita

15 L'uscita fra due quinte rocciose

16 Per ghiaie alla cresta

17 La verdeggiante cresta

18 Panorama sui Monfalconi

19 Dall'ometto di vetta la Cima dei Preti

20 Cima Sella  e Valle dei Lares

21 In discesa

22 Il ghiaione

23 Il ghiaione

24 Il gruppo della Vacalizza

26 Orchidea

27 Guado del Torrente

Lepa Spica (Cima Bella, Veliko Spicje) 2398 m – una lunga cavalcata fra Isonzo e valle dei Laghi

La lunga cresta fra la valle dell’Isonzo e quella dei Sette Laghi culmina a 2398 m con questa alta cima(It. Vetta Bella)  dagli accessi  molto lunghi da tutte le parti se non si vuole spezzare l’itinerario in due giorni, cosa possibile e consigliabile vista la presenza di due acconci rifugi. Non è il nostro caso, decidiamo di affrontarla in giornata dalla Val Trenta, gli amici sono gli ancora presenti sul campo Mauro e Sandro ai quali si aggiungono Sandrone e un certo Fausto che da tempo si è convertito ad attività più riposanti tipo piscina, ballo e bici. Poco prima del Paese di Na Logu, ultimo della valle, una strada bianca ai tempi percorribile si alza per un centinaio di metri fino a dei casolari di quota presunta sui 700 m. Restano solo (si fa per dire) altri 1700, per prima cosa dobbiamo arrivare al passo Cez Dol, valico fra la nostra Val Trebiscina e l’opposta Zadnica, 1963 m, la comoda mulattiera che la risale ci va a fagiolo, prima all’ombra del bosco poi fra verdi prati con stupende fioriture. Poco prima del passo si trova una casera e una cappelletta, la vecchia mulattiera dalla pendenza costante e con muri a secco di probabili origini militari continua a destra fino alla sella Prehodavci 2071, all’origine della nostra cresta e presso la testata della mitica Valle dei Sette Laghi. Poco più in alto vi è stato eretto un rifugio, non lo degniamo di uno sguardo, di fatiche ne abbiamo già abbastanza in programma. Procediamo a sinistra camminando su placche lavorate di un candore accecante poi ci alziamo verso la cresta, si evita un primo rilievo, si potrebbe evitare anche il secondo a nome Malo Spicie 2312 ma saliamo anche questo per continuare poi seguendo il filo di cresta, dov’è necessario si trova qualche attrezzatura, in un paesaggio che rivela quasi ad ogni passo nuovi scorci, dei fiori ho già detto ma sono sempre presenti. In cinque ore e mezza tocchiamo la vetta popolata oltre che da noi solo da qualche stambecco. La via di discesa più breve sarebbe quella già conosciuta ma nessuno di noi ha mai percorso la valle dei laghi e  c’è una traccia segnata che ci attira verso di essa. Ci impegniamo su questa con difficoltà non maggiori di quelle superate, fra cuscinetti fioriti e saltini rocciosi arrivando sulle rive del terzo lago per poi cominciare la faticosa rimonta al passo ammirando, anche per tirare il fiato, il lago grande e quello verde, gli ultimi due sono ancora coperti dalla neve. Scendendo la natura ci offre un ultimo regalo, l’arrossamento al tramonto delle pareti della cima da dove arriviamo. 10 ore in tutto, Giugno 1997. Il giro è assai consigliabile, per i pochi tratti muniti di funi metalliche non occorre caricarsi dei materiali di autoassicurazione, richiede solo un passo sicuro, il dislivello in salita supera i 2000 m.

P.S. Fotografo spesso i fiori ma  il mio interesse botanico non arriva fino a cercare i nomi delle piante sulla guida delle Ed. Paoline in mio possesso.

1 Dente di Cane

2 Casera Trebiscina e passo Cez Dol

3 Botton d'oro alla casera

4 La Cappelletta prima del passo

5 Fiorellino

6 La mulattiera per il Prehodavci

7 Passo Prehodavci, il corno sullo sfondo è il Razor

8 Campi solcati

9 Il rifugio è poco più in alto

10 Soldanelle

11 Placche all'attacco della salita

12 La Valle dei Laghi

13 La costiera a Est della valle

14 Il Tricorno dal Malo Spicje

15 Sulla cresta

16 Il Grintavec con sullo sfondo Jof Fuart e Montasio

17 Sulla cresta

18 Un'altra immagine del Tricorno

19 Ancora fiorellini

20 In cima

21 La valle dell'Isonzo

22 A Sud gli altopiani del Krn

23 Gli stambecchi non soffrono le vertigini

26 Basta un pugno di terra...

27 Rododendri sulle rive del lago grande

28 Uno dei laghi più alti

29 In risalita

31 La cresta dalla Val Trebiscina

32 Luci del tramonto sulla Cima Bella

Monte Ciadin – Dopo una rischiosa solitaria una salita in numerosa compagnia

Il piccolo Massiccio del Chiadin o Ciadin consiste essenzialmente in un crestone con varie elevazioni a Sud del Peralba.

22 Marzo 1992 – La Cresta Est

Mia moglie canta nel coro di Givjano-Givigliana da moltissimo tempo pur non essendo di origini carniche, la lascio nel paesello a festeggiare non ricordo quale ricorrenza per ripartire subito da solo verso Forni Avoltri, il sentiero per il Chiadin si imbocca subito a monte del paese fra il ponte e la galleria a circa 900 m. Il tempo è discreto e nonostante salga rapidamente nel bosco il maltempo è più veloce di me, passo alcuni fienili prima di uscire sulla spalla detta Giogo del Ciadin 1799 m, continuo sul pendio erboso fino alla Cima Est 2252 m poi attraverso sottocresta fino alla cima principale 2287 m dove incontro uno sparuto gruppo di sconsiderati mentre le nuvole si abbassano. Torno indietro con loro, intanto comincia a nevicare e la visibilità si riduce a pochi metri, non mi arrendo e arrampico fino alla rocciosa vetta centrale 2269 m perdendo i provvisori compagni. E’ il momento della ritirata, chiamo gli altri escursionisti, li sento parlare ma non riesco a localizzarli, scendo a casaccio sull’erba resa ancora più insidiosa dalla neve fino all’inevitabile scivolata, riesco a fermarmi solo dopo parecchi metri piantando le unghie sul pendio. C’è mancato un filo per finire sulla prima pagina del Messaggero entrando di diritto a far parte dell’eletta categoria delle vittime della montagna, ora riprendo la calma e continuo a scendere più attentamente, perdendo quota le nuvole si diradano, non nevica più e alla fine rintraccio il sentiero e vado a riabbracciare la consorte senza fare verbo dell’accaduto. Quattro ore e mezza in tutto.

1 Dagli stavoli il Cimone di Entralais

2 La Cima dal Giogo del Ciadin

3 Dalla Vetta verso la cima centrale

4 Ambiente ovattato sulla cresta

19 Giugno 2013, traversata da S a N

Oggi è una giornata splendida per la montagna con un numero inusitato di compagni, ben sei sono gli sponsorizzati dall’Inps cui si aggiungono il Mauro che chiede un giorno di ferie e la Cinzia dopo oltre un anno di ingiustificata assenza. Siamo diventati più saggi e optiamo per la via più breve da Sud, il punto d’attacco è in Val Sesis ai Piani del Cristo (1420 m) cui si arriva da Cima Sappada consentendo di risparmiare ben 500 m di dislivello. A lato della baita sale nel bosco una stradella cementata che poi si trasforma in sentiero, con questo si esce dal bosco rimontando ripidamente dei fioriti pendii erbosi con qualche fotogenico affioramento roccioso. Si esce a una forcella di cresta e con alcuni tornanti si esce in vetta. Non siamo ancora completamente finiti, il dislivello di 860 metri è stato coperto in due ore. Il vasto panorama, specie sulle Carniche è molto bello ma dopo essersi rifocillati alcuni compagni poco propensi alla vita contemplativa entrano in agitazione tanto che metà della compagnia riparte verso la rocciosa cima centrale. Traversiamo appena sotto la cresta fino al castelletto sommitale di questa, proviamo a salirlo da Ovest con esito negativo poi scendiamo una scanalatura per risalire alla cresta Est. Un camino di una decina di metri (1° e 2°) deposita in vetta i tre superstiti dei quattro iniziali, sono i soliti Gigi,  Maurin e lo scrivente. Col il Mauro devo risalire dagli altri a recuperare gli zaini, gli altri due se lo sono portato dietro, qui giunti i bolli rossi che scendono verso Nord sono una sirena alla quale non sappiamo resistere, a me e al Maurin si aggiunge Cinzia già usa a simili missioni. Mentre gli altri ridiscendono sulla via di salita ci caliamo in questo versante più alpino per canali e roccette, è l’itinerario della cresta N, ben segnalato di recente e molto pittoresco, se la compagnia è numerosa bisogna fare attenzione ai sassi. Il tratto più impegnativo termina in un canale in parte innevato che esce in una verde valletta che scende verso destra, qui i segni si fanno più radi fino a scomparire del tutto. Scendiamo  per una saltuaria traccia una dorsale di abeti, la nostra costanza viene premiata con l’arrivo a una baita (Schòrdan, 1610 m, lo apprenderemo in seguito dalla carta che al momento non avevamo in dotazione). Da questa il sentiero, ora evidente esce sulla strada della Val Sesis poco più a monte del rifugio Rododendro. Arriviamo ai Piani del Cristo in contemporanea agli altri, dopo esserci rinfrescati nelle sacre acque del Piave approfitteremo dell’ospitalità del rifugio. Anche oggi il tempo, comprese le soste, è stato di 4 ore e mezza.

5 Gli inizi del sentiero

6 L'ambiente di salita

7 Fioriture

8 Siera, Clap e Terze

9 Un caratteristico passaggio

10 Sugli ultimi tornanti

11 Dalla Cima verso il Peralba

12 Il folto gruppo in vetta

13 Traverso alla cima rocciosa

14 Il versante Ovest

15 Alla base delle rocce

16 Il camino finale

17 I tre eroi in cima

18 In discesa

19 Il camino in discesa

20 Curiosi pinnacoli di cresta

21 Segnaletica all'inizio della cresta N

22 Versante Nord

23 In discesa

24 Ambiente roccioso molto complesso

25 Al sommo di uno dei vari canali detritici

26 Sulla rampa erbosa dominano Avanza e Crete Cacciatori

27 Più in basso la discesa diviene bucolica

28 La baita dove ritroviamo il sentiero

29 Val Sesis, una cascata del Piave

30 Il Rifugio al Pian del Cristo

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Le Balanzòle – La traversata da O a E con qualche sorpresa

Dopo un mese passato praticamente agli arresti domiciliari giovedì scorso ho ripreso l’attività con i soliti pensionati e una ripetizione, per la domenica si fa vivo il Maurin, per non fare una gita di coppia contatto anche Ermanno, latitante anche lui da gennaio visto che fino a quando c’è neve si dedica alle uscite con “les breis”, leggasi scialpinismo. Fra le varie opzioni vince questa delle Balanzòle (bilancette), il percorso stradale più corto è quello della Valcellina fino a Longarone poi la Valzoldana, a Forno con la strada in parte sterrata saliamo nella valle del Pramper al Pian della Fopa, parcheggio e divieto di transito, m 1210 (un giorno o l’altro devo provare la navetta che al modico costo di sei euro porta alla malga). Ma siamo duri e puri e ci avviamo pedibus calcantibus (non ho mai studiato la lingua di Cicerone) evitando il sentiero proseguiamo sulla strada, scelta che si rivela oculata, poco prima della casera un comodo sentiero sale a destra in Val Balanzòla e alla forcella del Moschesin 1940 m, inizio della nostra traversata. L’ondulata dorsale fra la sella e il Pra de la Vedova, 1857 m, dove si trova il rifugio Sommariva, è il nostro obiettivo con le sue varie elevazioni, le principali quotano 2064, 2080, 2093 e 2142 m. Ci troviamo al limite O della Schiara, sottogruppo del Talvena con le Cime maggiori ancora innevate, d’altronde il paesaggio è molto bello verso le Dolomiti Zoldane. Cominciamo a salire verso Est per detriti prati e macchie di mughi passando sopra un vecchio edificio militare in rovina, non ci sono segni, solo un ometto avvisa che ci troviamo su una delle quote. Siamo soli sulle ondulazioni, l’unico disturbo acustico è dato da un tale che vaga in compagnia di un cagnetto urlando a squarciagola il nome di un compagno che ha perso, spero che l’abbia finalmente ritrovato, noi proseguiamo passando sotto a degli spuntoni rocciosi dove la cresta si assottiglia fra due versanti piuttosto ripidi. Giunti senza problemi sulla quota 2093, siamo divisi dalla cima più alta che resta più a Nord da un profondo intaglio, la trascuriamo senza rimorsi, non rientra nell’ottica del nostro traverso. Continuando verso il Pra della Vedova la cresta diventa aerea e rocciosa e tocca adoperare tutti e quattro gli arti, sotto un ultimo rilievo e in terreno più domestico ci sdraiamo sull’erba per la consueta merenda. La discesa si svolge in un canale che sbocca sul piazzale d’arrivo della teleferica del rifugio (aperto ieri), siamo nei pressi del sentiero e scendiamo direttamente alla Casera di Pramper dove troviamo un degno ristoro prima di calare a valle percorrendo stavolta il sentiero fra boschi e ruscelli. Tre ore per la salita, Giugno 2013.

1 La stradina per la Casera Pramper

2 Le Balanzòle dal sentiero per Forcella Moschesin

3 Il Castello di Moschesin

4 salendo in forcella

5 Forcella di Moschesin, vista su Spiz e Pramper

6 Salendo alla dorsale le Cime del Bachet innevate

7 Fioritura di Primule

8 Casermetta in abbandono

9 Salendo in cresta stupendi panorami

10 Mugo secco ed erica ben vegeta

11 Ambiente prativo nel primo tratto

12 Verso Est la cresta diviene sottile

13 Gendarme di cresta

14 Sulla cresta

15 Dalla q. 2093 il tratto già percorso

16 Salita a un ulteriore rilievo

17 Con discesa interessante

18 L'ultimo risalto

19 Di nuovo in discesa, a destra il rif. Sommariva

20 Discesa

21 La Casera di Pramper

22 Il meritato ristoro

23 Guado fra la casera e il parcheggio

24 Dal posteggio gli Spiz di Mezzodì

Ciuc di Vallisetta (m 2090) – una volta basta

Di solito non stendo le relazioni delle gite limitandomi di solito ad annotare data, tempo impiegato e compagni (a volte neanche questo), nel  primo tentativo al Ciuc ho fatto una eccezione in vista di un futuro ritorno. Il punto di partenza è stato Patoc, un paese semi abbandonato alto sulla Val Raccolana dove arriva una stretta rotabile 770 m circa, il giorno è il 27 Marzo dell’88 e il compagno indimenticato è il Nino Lucardi da Montenars. Riporto qui le note d’allora: dal paese salire per prati al sentiero della Via Alta, a un bivio tenere la destra salendo lungamente prima di attraversare due importanti gole, dopo la seconda (che dovrebbe essere il rio Malinberg) una freccia con scritto “Ciuc” indica l’inizio del percorso. Salire a destra fino al letto di un ruscello che si attraversa mantenendo la direzione, una costa erbosa porta ai dirupi della sorgente del rio, verso sinistra si arriva a una radura inselvatichita con i ruderi di uno stavolo. Su diritti per un’erta costa che termina sotto dei salti rocciosi, da qui a destra per cenge erbose in parte alberate, si evita a sin. un tratto franoso passando su un ponte fatto con due tronchi di dubbia tenuta. Più ripidamente per verdi e mughi si arriva infine alla cresta del Ciavalot 1686 m, dirimpetto al selvaggio versante Sud del Gruppo, su tutto domina il Cimone, verso Ovest Mucul e Ciuc, la forca della Puartate, sulla cengia alla base del Mucul è ancora visibile il riparo di assi dei fienaioli (Clapusc del Tunco), fino a qui quattro ore. Il sinistro rombo delle slavine e la neve molla ha segnato l’ora del ritorno, comunque la salita è un po’ segnata a bollini rossi.

1 Patoc

2 Sulla Via Alta

3 La Cresta dei Musi Ancora innevata

4 Un passaggio della salita

5 Resti di gradini in legno

6 Lo spettacolo dalla cresta del Ciavalot

7 Sul Ciavalot

8 La Cresta del Canin

9 In discesa di fronte al Sart

23 Giugno 1991. Questa volta i compagni sono Cinzia e Diego, l’ambiziosa meta è la via della Dolina a Cimone, pertanto ci portiamo corda, imbrago e un poca di attrezzatura varia, solo che quando arriviamo sul Ciavalot  siamo già allo stremo, inerpicarsi con questo clima afoso su sassi eriche e ginestre con un carico pesante taglia le gambe, se poi si teme rettili e zecche è meglio stare a casa. La meta di ripiego diventa allora il Ciuc di Vallisetta, lasciamo qui praticamente tutto, zaino compreso, una cresta erbosa ci porta alla cengia alla base delle pareti, traversiamo a sinistra fino allo sbocco dell’erto canale fra il Ciuc e il Mucul fino alla sella che li divide, una facile verde dorsale esce sull’ampia vetta. Sei ore. L’obbligato rientro si svolge per la via già fatta impiegando praticamente lo stesso tempo, quando mettiamo piede a Patoc siamo praticamente disidratati, conserviamo la sete ancora per poco, recuperata l’auto passiamo il ponte sul Raccolana, poco più a valle l’alveo roccioso di un rio rinfresca le nostre membra e la bottiglia di Tocai custodita nell’automobile.

10 Ancora in ombra la Val Raccolana

11 Il verdeggiante ambiente della salita

12 Una dorsale fra due impluvi

13 In alto il Ciuc

14 La cresta finale, al sole spunta il Montasio

15 Di fronte alle pareti del Cimone

16 Con i compagni in Cima

17 Il Mucul dalla cresta, in discesa

18 In discesa

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La Cima di Terra Rossa m 2420 per il canalone dell’Huda Paliza

giugno 10, 2013 2 commenti

750 sono i metri di dislivello dell’Huda Paliza, il canalone nevoso che dall’Alta Spragna (una carnizza fra le più suggestive delle Giulie, circondata com’è dalle pareti del Jof Fuart e del Montasio) sale alla Forca di Terra Rossa con pendenza di 45° e rimane una bella salita di neve/ghiaccio. Valutiamo che il due Giugno,   Festa della Repubblica, sia il momento giusto per questa via a lungo vagheggiata, i fatti ci daranno ragione, in estate di solito all’uscita non c’è più neve ma detriti e resti di reticolati. I partecipanti oltre allo scrivente sono i soliti, in quegli anni, e fidati Nevio e Daniele. Da Valbruna ci portiamo a Malga Saisera, 1004 m, posteggio. Traversate le ghiaie del torrente si trova il sentiero segnato che sale verso l’Alta Spragna e il Bivacco Mazzeni con bel percorso che dopo il tratto iniziale  si alza in una gola rocciosa con una cascata. Un centinaio di metri prima del bivacco lasciamo il sentiero deviando a destra per saltini rocciosi e arbusti che si trasformano presto in campi nevosi e da dove si vede il canalone che da qui appare piuttosto sinuoso, più in alto notiamo cinque sci alpinisti che ci stanno anticipando. La giornata è calda e soleggiata tanto che la neve non richiede l’uso dei ramponi e procediamo abbastanza velocemente inoltrandoci fra le erte pareti che rinserrano la gola, in alto placchiamo uno scialpinista che dopo una caduta sta scivolando a valle e prima dell’uscita li raggiungiamo. Loro si fermano sotto la Forca di Terra Rossa 2330 m, che rimane difesa da una piccola cornice, noi siamo più assatanati e superiamo anche questa e anche se nel frattempo è calata la nebbia ci avviamo a destra arrivando sulla Cima di Terra Rossa 2420 dove fra l’altro non avevo mai messo piede. Siamo abbastanza allenati, 3 ore e 30’ il tempo impiegato. Di panorama non se ne parla, dopo una breve sosta ripartiamo, superiamo di nuovo la nostra cornice e ridiscendiamo, in basso il sole riappare mentre le cime restano avvolte nella caligine. L’anno è il 1991.

1 Il Montasio da Malga Saisera

2 Sul sentiero del Mazzeni

3 Il Canalone dell'Huda Paliza

5 I puntini sono cinque scialpinisti che ci precedono

6 L'amico Nevio

8 L'ambiente suggestivo della salita

9 In vista della Forca di Terra Rossa

10 Nella parte superiore

11 Daniele

12 All'uscita

13 Il canale dalla Forca

14 Cima di Terra Rossa

15 Cima di Terra Rossa

16 La cornice della Forca in discesa

17 La cornice

18 Sui nevai iniziali rispunta il sole

19  L'alta Spragna

L’anello della Croda da Lago con digressione ai Lastoni di Formin (2657 m)

Dopo 15 giorni di pioggia decidiamo per una trasferta in Dolomiti dove pare risplenda sempre il sole, al nostro passaggio da Cortina in effetti il tempo è bello, saliamo verso il Falzarego deviando poi a sinistra sulla strada per il passo Giau, il mio compagna indossa per scaramanzia un abbigliamento balneare anche se i bianchissimi pantaloni corti che sfoggia gli vanno abbastanza larghi. Puntualmente già prima del ponte di Rucurto 1700 m, punto d’inizio del giro, navighiamo nella nebbia fitta. Valichiamo con due ponticelli il rio Costeana e un suo affluente cominciando a salire nell’abetaia con il segnavia 437, che nei pressi del Cason di Formin 1843 confluisce nel sent. 434 che seguiamo brevemente fino al bivio dove teniamo la destra, il sentiero ora 435 sale la Val Formin. L’ambiente anche se con scarsa visibilità è molto suggestivo, a tratti appaiono le ardite pareti della Croda da Lago, usciamo dal bosco d’alto fusto poi dalle mughete, il sentiero s’inerpica tra le rocce, poco prima della forcella Rossa di Formin 2462 m troviamo anche delle lingue di neve, a tratti una fitta pioviggine ci inumidisce, stimiamo giustamente che sia solo umidità. A destra della forcella incominciano i lastroni fessurati che si devono percorrere per la nostra vetta, purtroppo il campo visivo è diminuito ulteriormente e andiamo avanti alla cieca, spostandoci sulla sinistra finalmente rintracciamo gli ometti, seguendo questi ci meritiamo la cima dove il prode amico estrae dal sacco la boccetta dell’elisir miracoloso (volgarmente grappa). Torniamo alla forcella, il tempo sta tentando di migliorare, a momenti ci appaiono le eccelse crode circostanti, scendiamo nel versante opposto, sempre con lo stesso numero di sentiero, lo lasciamo per salire per tracce evidenti ma senza segni a una forcella (circa 2330 m) fra il massiccio principale della Croda da Lago e un cimotto quotato 2383 m., affacciandoci così al verde vallone del Rifugio Palmieri, poco più in basso un branco di camosci sta pascolando beatamente. La nostra discesa sul ghiaione li mette in fuga, a valle ritroviamo il nostro amato sentiero 434 che amenamente conduce allo storico edificio (ancora chiuso) e alle rive del piccolo lago di Federa. Fra fioriture di rododendri ci caliamo alla bella radura del Cason di Formin, poco sotto finalmente rivediamo il sole, al bivio riprendiamo la traccia fatta in salita che ci porta all’oggi solitario parcheggio. Sette ore soste comprese difficoltà nessuna, 12 Giugno 2011.

1 Il ponte sul rio Costeana

2 Abeti d'alto fusto

3 La Croda da Lago

4 Gemme di mugo

5 Val Formin

6 Verso la Forcella Rossa

7 Sui Lastoni

8 Ometti segnavia

9 La Cima

10 Pioggerellina

11 Generi di conforto

12 Dosso con Ometti sopra la Forcella Rossa

13 Dalle nuvole appare il Pelmo

14 La forcella della discesa

15 La Croda da Lago dalla forcella

16 Camosci

17 Anche dai ghiaioni si può fiorire

18 Il Rifugio Palmieri

19 Il lago di Federa

20 Rododendri

21 Sulla perla delle Dolomiti il sole splende

22 Il Cason di Formin

23 Prati assolati, in alto le Tofane e l'Antelao

I Brentoni, cima O 2547 m per lo spigolo S e traversata alla vetta Centrale 2548 m

1 I Brentoni da S

2 Le Terze in controluce

3 L'attacco della salita

4 Fioriture all'attacco

5 Sullo spigolo

6 La cengia della Normale

7 Dalla Cima verso il gruppo del Popera

8 Verso Est

9 Giocherellando per creste

Il punto di partenza è poco più a ponente della sella Ciampigotto 1790 m, per noi friulani bisogna percorrere tutta la val Pesarina dove i paesi conservano molti edifici dalla tipica architettura, a Pesariis poi,  ultimo centro abitato prima della salita all’altopiano di Razzo troviamo anche il museo all’aperto dell’orologio, ma il tempo è tiranno e non consente troppe divagazioni culturali. I Brentoni danno il nome al gruppo (il plurale è dovuto perché le cime sono tre, la Ovest che probabilmente è la più frequentata per i limitati dislivello e difficoltà, la Centrale e la Est) e sono anche le più elevate.   Si lascia il mezzo meccanico a sinistra della strada che scende verso Laggio, sull’altro lato sale con pendenza moderata una sterrata con divieto che  in seguito si riduce a sentiero che sale nel bosco attraversando le due insellature di forcella Losco e Camporosso, poco prima delle pareti i segni si dirigono a sinistra verso forcella Brentoni, è il momento di lasciarli salendo per verdi e ghiaie all’attacco  della via dello Spigolo S alla cima Ovest, circa 2100 m. Numerosi sono gli itinerari e le varianti aperte nelle vicinanze dello spigolo e nella parete SW, quindi per dire il vero non sono certo dell’itinerario percorso 25 anni fa, comunque evitiamo a Ovest gli strapiombi iniziali salendo o sul filo o poco a sinistra (il socio è il Bepi, a riposo da parecchi anni pur essendomi di qualche anno minore) fino ad uscire sulla cengia dove arriva da O la via normale, la attraversiamo continuando sempre sullo spigolo, ora più facile che esce in cima (I e II, visto che siamo saliti senza corda). Per arrivare sulla vetta Centrale,  più alta, ci si cala alla selletta divisoria salendo poi a destra del filo di cresta, anche qui I e II. In discesa seguiamo i bolli della via comune, quindi il primo tratto dello spigolo poi la cengia verso O arrivando poco sotto forcella Brentoni a riprendere il sentiero, primo grado. Luglio 1988.

La seconda salita, Maggio 2000. Ancora qualche resto di neve resiste sul piano, ma le pareti sono abbastanza pulite. Siamo in sei di cui due necessitano di assicurazione spettante ai cosiddetti esperti, una cordata tocca al sottoscritto, i rimanenti salgono sciolti, probabilmente questa volta imbrocchiamo la via di De Infanti che ha un passo di III, la prosecuzione alla vetta centrale nella nebbia, che nel frattempo la giornata si è guastata, spetta a me con l’amico Vigjut sempre ingordo di nuove emozioni. La discesa identica alla precedente salita, per entrambi i giri fotocopia sono state impiegate sei ore.

10 I Brentoni a Maggio

11 Nuovamente sullo spigolo

12 Il mio secondo impegnato mentre Vigjut se la ride

13 Talvolta qualcuno immortala il ravanatore

14 Dalla cima O verso N

15 Nuvole minacciose verso  Tudaio e Tiarfin

16 La cima Ovest dalla Centrale

17 In discesa sulla normale

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