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Archive for the ‘Alpi Bernesi’ Category

Jungfrau 4158 m – via normale per il Rottalsattel e la cresta SE – PD, misto

Siamo al sesto giorno e oggi vogliamo ridiscendere a Grindelwald ma non senza fare la salita della cima più famosa e frequentata delle Alpi Bernesi che è la Jungfrau (la Vergine), costringendo Nevio a una ripetizione. Salutati i gestori della Monchsjochhutte 3650 m partiamo in direzione dello Jungfraujoch alle 5.15 fino a all’intersezione con la pista ben battuta della via normale dove mettiamo mano a corda, piccozza e ramponi. Ci si alza per facili rocce poi si continua su una cengia di neve orizzontale per poi salire a un dosso nevoso (in caso di nebbia il percorso è poco evidente). Da questo si osserva la forcella fra il Rottalhorn a S e la nostra destinazione a Nord (Rottalsattel, 3885 m), passaggio obbligato della via, difeso da uno scivolo ghiacciato molto ripido ed esposto alla caduta di cornici dalla cresta della cima sopranominata. Il pendio è ben gradinato, dalla sella ci si alza ancora una cinquantina di metri quindi si attraversa a sinistra fino alle rocce della cresta. Lasciamo qui i nostri pesanti zaini, la cresta è in condizioni ideali, lo gneiss è solido, asciutto e senza neve, la sicurezza è garantita da cinque fittoni, alle 8.45 posiamo i piedi sulla cima. Le nuvole a forma di pesce preannunciano un cambiamento del tempo, dopo mezz’ora ripartiamo. Litighiamo in discesa col Maurin che vuole levare i suoi tecnici ramponi che fanno zoccolo, ma sotto la neve molla (oggi fa molto caldo) si cela il ghiaccio vivo, alla fine li tiene e senza altri inconvenienti alle 11.45 siamo alla stazione, il treno parte tre quarti d’ora dopo e verso le quattro arriviamo a Grindelwald. Dobbiamo avere un aspetto poco rassicurante, bruciati dal sole, luridi e puzzolenti e con la barba di una settimana. Abbiamo l’ indirizzo dell’ Hotel Sonnenberg dove un rappresentante de blave di Mortean si è accasato sposandone la proprietaria con il suo fascino latino, è al completo e Oscar Candolo è fuori, ma la gentile signora ci mette a disposizione la camera della figlia, se ci accontentiamo a dormire in tre. Fatta la doccia e sbarbati siamo rimessi a nuovo, dopo cena rientra il consorte in compagnia del sarto del paese, sono stati in giro per taglietti (le buone abitudini non si dimenticano), la serata continua, noi ci siamo portati delle bottiglie di vino nostrano che alterniamo a quello svizzero, il sarto fa dei pisolini, nei brevi risvegli scola un bicchiere per tornare subito dopo fra le braccia di Morfeo. Anche noi siamo in condizioni precarie, è dalle quattro che siamo in piedi, ma non possiamo ritirarci che verso le undici. Grati e riconoscenti l’indomani partiamo a mezzogiorno verso casa  via Passo Grimsel, Furka, Gottardo e Chiasso arrivandoci alle nove, il bottino, quattro quattromila più la ciliegina dell’Eiger è stato considerevole.

Bibl. Alla fine del nostro giro abbiamo acquistato “Guide des Alpes bernoises –Sélection d’itinéraries” di Maurice Brandt, ed. Club Alpino Svizzero, in francese interpretabile con una conoscenza scolastica come la mia.

Gross e Hinter Fiescherhorn, una stupenda traversata

Dopo quattro giorni e tre pernottamenti alla Monchsjochhutte 3600 m cominciamo a avere un’idea della grandiosa complessità dell’Oberland Bernese, l’alba del quinto ci vede pronti per un’altra salita visto che il meteo ci è favorevole. Siamo ancora alloggiati al rifugio del Monchjoch da dove scende a Sud il ghiacciaio Ewingschneefeld che dopo un arco a Ovest confluisce con altri nel circo di Konkordia dando origine all’Alestchgletcher. Sulla sinistra (Est) del bacino glaciale si innalza una cresta che comprende tre quattromila e svariate cime minori che desta il nostro interesse.

Gross Fiescherhorn 4048 m, cresta NO, AD

Il nome lo deve al paese di Fiesch nella valle del Rodano. Sveglia alle quattro, alle cinque siamo operativi e entriamo subito nella nebbia, scendiamo sul ghiacciaio sulle pista lasciata da due guide che ci precedono e ci staccano, attraversiamo verso destra salendo poi alla nostra cresta a Sud del Walchenhorn, il primo risalto roccioso della catena con il mare di nuvole che ristagna sotto di noi siamo a 3600 m circa. La cresta nevosa della salita ci appare davanti affilata e alquanto ripida, non ci saranno più problemi di orientamento. Le condizioni della neve sono perfette, il risalto finale si può percorrere  sul filo roccioso (II-III) come appena sotto in versante E , tutto di ghiaccio. Optiamo per quest’ultimo procedendo di conserva, tipo di progressione nella quale bisogna avere assoluta fiducia nei compagni. Alle otto di mattina lo spettacolo che ci si offre dalla cima è incomparabile dalle nuvole basse emerge oltre a tutto l’Oberland la catena delle Alpi Occidentali dal Rosa al Cervino, le Alpi di Uri ecc.ecc., fra l’altro la guida indica un tempo di 4-5 ore, stiamo incominciando a carburare viste le tre ore impiegate.

Hinter Fiescherhorn 4025 m, via normale, F

Dalla cima maggiore scendiamo arrampicando su buon gneiss la cresta Sud (PD) guadagnando l’ampia e nevosa sella fra le due cime, Fieschersattel 3923 m, poi evitiamo verso Est un arcigno gendarme roccioso e per cresta mettiamo nel carniere un ulteriore 4000 e sono le nove e mezza.

La discesa in versante O, PD+ 50°

Torniamo sui nostri passi fino alla forcella da cui ci caliamo all’inizio in un canalino roccioso dove occorre stare accorti ai sassi mobili, indi si scende per uno scivolo nevoso alla crepaccia terminale (è il tratto più impegnativo) che varchiamo per un esile ponte di neve. Non è ancora finita che ci tocca vagabondare in una zona di crepacci, quando arriviamo al più docile letto dell’Ewingschneefeld tiriamo un bel sospirone di sollievo. Siamo a circa 3400 m di quota, non ci resta che salire arrancando nella neve molla fino al nostro amato rifugio dove rientriamo cremati dal sole e dalla fatica ma soddisfatti alle quattro del pomeriggio. Qui incontriamo tre italiani, gli unici della settimana che guarda caso sono corregionali, due udinesi e un solitario carnico che vuole salire la Jungfrau senza neanche un pezzo di corda e rimarrà deluso.

 

Monch 4099 m per il ramo S della cresta E, PD

Il vento dei 4000 ha flagellato il rifugio tutta la notte, il mattino dopo proviamo a uscire ma non è il caso, la visibilità è scarsa e cade un fitto nevischio, se avessimo ritardato qualche ora non so come sarebbe andata a finire, l’Orco ci ha graziato mostrandoci  solo gli unghioni senza azzannarci. Nevio si dedica al bricolage col suo rampone diviso in due pezzi, tenaglie e filo di ferro fanno miracoli, riesce a sistemarli. Alle ore dei pasti viene assegnato un tavolo e solo quando è al completo si prende posto a un altro e così via, il menù svizzero è se non altro abbondante, certo non è la cucina italiana comunque si sopravvive. Nel bagno una gelida corrente d’aria sale dalla tazza, ottima per la crioterapia, ma quando ci si alza la stessa folata fa veleggiare la carta e occorre essere lesti ad acchiapparla, rimetterla al suo posto e chiudere. Per il resto ci annoiamo, i clienti come le riviste disponibili sono tedeschi, lingua a noi sconosciuta. Solo verso sera comincia a schiarire poi la luna si affaccia dalla dirimpettaia cresta, per domani si prevede bel tempo.

Il Monch

E’ la cima centrale della magnifica triade che incombe altissima su Grindelwald, l’origine del nome (il Monaco) è sconosciuta e sui suoi versanti di roccia e ghiaccio sono state tracciate numerose vie di varia difficoltà, i nostri ambiziosi progetti sono frustrati dalla neve caduta il giorno precedente e optiamo per la via normale. Cominciamo alle sette, un orario di tutto riposo per queste zone, spostandoci di circa 400 m in direzione Ovest (verso la stazione dello Jungfraujoch). Dopo esserci legati cominciamo a salire per sfasciumi e gradoni di roccia resi delicati dalla neve cui segue una prima cresta prima nevosa poi di misto dove comunque teniamo i ramponi, a causa dell’innevamento si dimostrerà il tratto più impegnativo. Oltre questo la cresta si raddrizza e diventa completamente nevosa e alquanto sottile. Si congiunge poi con la cresta che proviene da NE. Senza più problemi ma facendo attenzione alle grosse cornici verso Nord ci si dirige verso Ovest e con poco dislivello si guadagna la Cima dove siamo ancora tormentati dal vento, la vista verso Sud con enormi ghiacciai e scure montagne potrebbero far pensare all’Antardide, si vedono anche i colossi delle Pennine, a nord i verdi altopiani e pianure dei Cantoni elvetici. Due ore e 45’ per i poco più di 400 di dislivello (3-4 ore l’orario della guida), ci fermiamo una mezzoretta poi scendiamo per la via conosciuta incrociando numerose cordate partite più tardi, in due ore siamo sul ghiacciaio. E’ da poco passato mezzogiorno e decidiamo di fare una visita alla stazione, qui troviamo di tutto e di più, negozi e bancarelle, gallerie scavate nel ghiaccio con relative sculture fatte dello stesso materiale e una moltitudine di giapponesi di ogni età e con gli abbigliamenti più svariati, dal pantalone corto con sandali in su. Il percorso orizzontale fino al rifugio è battuto, oggi la clientela non manca,  poco prima di arrivarci, accompagnata da due Guide incontriamo una signora bendata che probabilmente non aveva fatto bene i conti con gli UV, ho provato con la saldatura, una cosa terribile. Poco dopo le tre varchiamo la soglia del nostro ostello.

Eiger 3970 m, Mittellegigrat, sulla schiena dell’Orco, D

Fra pochi giorni scade il ventennale di una breve (una settimana) ma proficua trasferta nelle Alpi Bernesi assieme a Nevio e Mauro di età a scalare 50, 40 e 30  anni all’epoca. Partiamo l’otto agosto alle quattro con destinazione Grindelwald a nord del gruppo, via Gottardo e attraversando mezza Svizzera saliamo a Interlaken ricca località turistica fra due laghi, che non degniamo di uno sguardo, verso l’una  arriviamo nella linda cittadina trovando vicino alla stazione un parcheggio gratis, cosa piuttosto rara. Nello zaino una corda da 9 mm, cordini e moschettoni, qualche chiodo da ghiaccio e varie relazioni prelevate dalla rivista Alp, la carta viene reperita in loco. Acquistiamo il biglietto del trenino dello Jungfraujoch A/R al modico prezzo di 100.000 lirette, valido 10 giorni, alle due partiamo dalla Kleine Scheidegg, affollata località famosa per la vista sulla Nord dell’Eiger. Sul vagone siamo gli unici muniti di pesanti zaini, non vogliamo fare tutto il percorso, alla stazione Eismeer 3160 m dopo aver ammirato il panorama il treno con tutti i turisti riparte, rimaniamo con la sola compagnia dell’addetto. Alla nostra domanda ci indica una specie di porta stagna in ferro, aprendola siamo investiti da una folata di aria gelida, siamo ancora in maniche e pantaloni corti, bisogna travestirsi da alpinisti prima di varcarla.

Salita alla Capanna Mittelegi 3355 m, AD- con pass. di III

Un buio tunnel con fondo a tratti ghiacciato esce sul ghiacciaio, le numerose pietre presenti ci consigliano di avanzare qualche decina di metri in una zona più tranquilla, la luce dopo il buio della galleria è abbagliante, ora siamo in ballo. Ora procediamo verso sinistra sul ghiacciaio Challifirn fino alla base delle rocce salendo in ultimo una lingua di neve, verso la sua fine ci spostiamo a Est su placche, poi facili cenge ci conducono alla cresta e al bivacco, 3 ore. Qui ci sono due Guide con i clienti che preparano pizzoccheri per tutti, c’è anche da bere, birra compresa, il listino è appeso a una specie di cassetta per le elemosine, per il pagamento ci si affida all’onestà degli alpinisti. Ci avanza anche tempo per ammirare il tramonto.

La Cresta NE, Mittelegigrat, D

Resta il migliore itinerario a questa famosa vetta per l’alpinista medio ma da non sottovalutare specie con innevamento abbondante, bisogna essere determinati e non perdere tempo. Dal bivacco appare più come un ardito spigolo che una cresta, nonostante sia stata attrezzata in tempi lontani con 200 m di corde fisse viene ancora classificata come difficile. Il mattino dopo le Guide partono al buio (4.30), noi non ci sentiamo di arrampicare con le frontali e ritardiamo alle 5.45. Non ha bisogno di descrizioni, si rimane costantemente sul filo, solo il risalto più alto si scala con l’aiuto del canapone più lungo in versante N, verso la fine diventa di neve abbastanza sottile e troviamo condizioni ideali, poco dopo le 11 usciamo in vetta.

Discesa per la cresta S, traversata per gli Eigerjoch alla Monchjochhutte 3629 m, AD

Alle 11.30 è già ora di partire, notiamo verso O delle nuvole ancora lontane, comunque è meglio affrettarsi. Scendiamo verso O in cresta sulla lunga complicata  vecchia via normale ora poco percorsa del versante Ovest che abbandoniamo sulla verticale dell’Eigerjoch N 3614 m, una forcella che divide l’Eiger, composto di calcare grigio scuro da una cresta di gneiss, troviamo due ancoraggi per doppia (uno con in loco una corda abbandonata da chissàchì) e senza grosse difficoltà rimettiamo i piedi sulla neve della sella. Per la prosecuzione verso la forcella a S, 3759 m, bisogna traversare più o meno sul solido filo la dorsale di Gneiss già detta, 3770 m che non ha nome!, qui abbiamo qualche problema di orientamento sui tratti rocciosi (sui nevai troviamo una traccia), a Nevio si spezza anche un rampone, in fine arriviamo a una facile dorsale di neve che scende sul ghiacciaio. Faticosamente ci dirigiamo seguendo delle labili tracce verso il rifugio, nel frattempo le nuvole accompagnate da raffiche di vento gelido ci hanno raggiunto e alle 17.30  varchiamo la soglia della capanna, gli altri due non so, io sono alla frutta.

Al rientro a valle apprendiamo che il giorno di maltempo seguente una cordata è precipitata, qualche anno dopo alcuni scafati alpinisti, invogliati dalle nostre diapo sono stati costretti a bivaccare.