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Archive for luglio 2017

Vert e Modeon, un giro alternativo dai Piani del Montasio

luglio 29, 2017 3 commenti

La prima volta sul Montasio… solo e sprovveduto ne ho fatto la traversata da solo agli albori della carriera. Salito per la via del canalone Findenegg da Ovest sono poi sceso per la scala Pipan, un’impresa eroica per quegli anni. Tuttavia la ormai disertata via normale per la forca verde e la cresta Est resta sempre una bella salita naturale e senza troppa ferramenta. In questa occasione gli obiettivi sono diversi, ci prefiggiamo di salire al citato intaglio e poi proseguire verso ESE senza mete precise, si vedrà in corso d’opera. Raggiungiamo la località turistica di Sella Nevea partendo Chiusaforte nel canal del Ferro e da questa per la ripida strada asfaltata ci portiamo al parcheggio dei Piani del Montasio (Casere Pecol, 1517m). Dove iniziano una moltitudine di itinerari, scegliamo il sentiero segnalato che fra rigogliose fioriture sale verso le creste in direzione NO fino a poco sotto la forca Disteis per un doveroso sguardo agli abissi sulla Val Dogna. Da qui si dipartono le tre vie più battute alla cima principale, la Findenegg da O, la scala Pipan e pure la normale. Ci accodiamo ai pretendenti facendoci largo fra i numerosi stambecchi  sulla traccia che risulta un po’ esposta, passiamo poco più in basso dell’attacco alla scaletta dove c’è la coda, numerosi alpinisti stanno trafficando con imbragature cordini e moschettoni. Li lasciamo ai loro lavori, proseguiamo sulla traccia segnalata che con un traverso ascendente porta alla Forca Verde, 2587m con l’unica compagnia di alcuni quadrupedi. A sinistra si stacca la via comune al Re delle Giulie Occidentali, dal lato opposto un sentierino senza difficoltà esce al Vert Montasio 2661m. La vista sulla vetta principale è spettacolare, coronata da scenografiche nuvolette si presenta come un colossale torrione. Torniamo alla base per la stessa via, salutiamo l’amico che per oggi ne ha abbastanza per proseguire sulle cenge attrezzate del sentiero Leva fino ad arrivare sotto la cima del Modeon che quota 2606m. Al contrario delle vette già nominate qui la vernice come i segni latitano, bisogna consultare il sempre utile Buscaini, dice primo grado. Si sale senza itinerario obbligato per paretine, scaglie e canalini di solidità dubbia. Poco sotto la cima incontriamo solo un solitario stambecco maschio che fa il chilo su un pilastro poco più in basso (come avrà fatto ad arrivarci resta un mistero).  Poi ci caliamo cautamente al sentiero Leva più o meno per la stessa strada. Ripresi i segni ci incamminiamo sulla bellissima cengia che seguita verso Est arriva alla Forca del Palone, 2242m. Ora basta, scendiamo verso l’altopiano, peccato che non ci sia la minima traccia di sentiero e la rigogliosa vegetazione ostacoli un po’, se ci si mette anche a pensare a zecche e vipere non se ne viene fuori . Quindi rintracciamo il sentiero e l’amico disperso che ci ha aspettati poco distante. Il terzo uomo è il solito Mauro.

Ciampizzulon e Pleros, due solitarie dai Piani di Vas

Ciampizzulon

Terze, Clap e Siera… sulla Catena montuosa fra la val Pesarina e quella dal Degano arriva fino a Sappada si trova una moltitudine di mete interessanti quanto poco battute, ancora meno dopo il fallimento della società che gestiva gli impianti di risalita che da Cima portava sotto la Creta Forata. Per queste due salite l’approccio scelto è da Rigolato, una forestale in parte asfaltata arriva ai Piani di Vas (1293m) e continua sterrata e con divieto fino alla casera Ciampizzulon, riattata a ricovero e oltre ancora fino a casera Tuglia. L’occasione viene fornita da un concerto in loco tenuto dal Grop Coral Gjviano (mia moglie è una corista), arriviamo in auto fino al rifugio, visto che ormai conosco a memoria il loro repertorio decido di andare a fare un giretto. Adocchiato un sentiero che si alza a un verdeggiante dorso che si stacca dalla cresta principale verso Est mi ci avvicino, la traccia continua anche in seguito per riuscire in fine alla sella fra il Pleros e la meta odierna a sinistra. Ci salgo percorrendo l’abbastanza esposta cresta NO, la percorro mettendoci un po’ di attenzione e la seguo fino alla cima più elevata che quota 2085m, meno di due ore. La discesa è la stessa, arrivo in tempo per il pranzo.

Pleros 2314m, la traversata

Nella precedente visita avevo intravisto sulla selletta una vetusta tabella di legno con la scritta Monte Pleros. Devo confessare che avevo appena cessato (e venduto) la minima azienda artigiana dove avevo in pratica passato tutta la vita, da un impegno quotidiano alba-tramonto per sei giorni su sette mi trovavo con troppo tempo libero a disposizione e questo mi metteva in crisi visto che di ferie nella vita ne avevo fatto ben poche. Per di più dopo i sessanta bisognerebbe anche mettere giudizio prima di imbarcarsi, e da soli, in simili avventure. Parcheggio come la volta precedente ai piani di Vas per arrivare poi alla forcella Ciampizzulon. Da questa ci si abbassa a una conca con massi nel versante pesarino (SE) quindi  sbiaditi bollini per esposti pendii erbosi e canalini (primo grado, c’è anche un cavetto di sicurezza),nell’ultimo tratto la pendenza si attenua e per la cresta Est arrivo in cima. La Croce di vetta posta dai compaesani è dedicata al povero Flavio Alfarè di Rigolato, un amico caduto qualche anno prima sul Glemine. In discesa seguo la più facile via normale, la cresta Ovest porta prima all’intaglio con la Creta della Fuina per poi scendere il canalone Nord a massi e per tracce di sentiero con il quale si riesce alla forestale per Casera Tuglia. Seguita verso destra riporta a Cjampizzulon dove si riprende la via conosciuta. La guida indica 3.50 ore per la sola salita, ero più gagliardo, 4.10 in tutto.

 

Mi scuso per la grafia del Friulano che proprio non riesco a estrarre da Words

2° Campanile di Popera (2657m), la normale dal rifugio Berti

luglio 19, 2017 5 commenti

Prima di tutto un ringraziamento ai lettori, qualche giorno fa il sito ha superato le 300.000 visite che per un dilettante come rappresentano un traguardo considerevole. Dal rifugio dedicato ad Antonio Berti, romantico cantore delle Dolomiti di Sesto e autore della guida grigia della zona, ero già passato agli inizi della mia poco luminosa carriera in occasione dell’anello delle ferrate. Partendo come in questo articolo dal Rifugio Lunelli (1568m) raggiungibile in auto dai Bagni di Valgrande in val Comelico con una rotabile dove si parcheggia. Da qui un comodo sentiero con segn. 101 s alza a supera sulla sinistra una barra rocciosa con cascatelle ed esce quindi al vallon Popera, un bell’anfiteatro fra le crode dove si annida il frequentato edificio (1958m), a S lo sfondo comprende anche le aguzze guglie dei campanili fra i quali svetta per eleganza e quota l’oggetto dell’articolo. La relazione oltre che nel volume “Dol. Orientali parte II” citato sopra è inserito anche nella guida di Buscaini-Metzeltin  “Dolomiti, il grande libro delle vie Normali”. Per l’attacco si seguono dapprima i segni della via ferrata Roghel che si abbandonano per salire i ghiaioni che scendono dalla cresta.  Vista da vicino la guglia fa una certa impressione, ci bardiamo di tutto punto per affrontare la parete d’accesso alla forcella dei Campanili assicurandoci alle soste di calata. La forcella è una sottile cresta che si segue verso sin. anche per cenge sotto il 3° campanile e complicazioni varie fino a sotto la vetta che si raggiunge arrampicando in parete Sud con difficoltà di II e III su roccia nel complesso buona. Il tempo non aiuta, il cielo resta nuvoloso e solo al pomeriggio tende a migliorare. La discesa nei tratti più ripidi si fa tutta a corda doppia. La via è stata aperta nei primi decenni del secolo scorso dai pionieri dell’alpinismo dolomitico italiani e tedeschi.  Gli orari: partendo alle 5 da Udine alle 8.45 cominciamo a salire arrivando in cima alle 12.30 e al parcheggio verso le quattro P.M. Due le cordate, io con Paolo e Sandrone con Sandro M. La frequentazione è scarsa, troppo facile per i Top Climbers e irraggiungibile ai comuni escursionisti.

 

Cima NE di Marcoira (2422m) dal Passo Tre Croci

Per questo giro (e parecchi altri ultimamente) profittiamo della meritevole guida “111 cime attorno a Cortina” dei presumo indigeni Caldini-Ciri-Majoni che propongono oltre a mete più di moda parecchie cime secondarie ma non per questo meno interessanti specie per noi villici provenienti dagli italici confini orientali.  Il passo  Tre Croci 1809m,  fra Misurina e Cortina è il punto di partenza abbastanza elevato di questo itinerario, arrivarci non è la strada dell’orto, Sappada e poi la Valle dell’Ansiei, prima di Misurina si svolta a sinistra e in breve lo si raggiunge parcheggiando ai bordi della statale. Non senza qualche difficoltà che il posto, fra il gruppo del Cristallo a N e il Sorapis a S è parecchio trafficato. Seguendo le indicazioni percorriamo una strada bianca poi sentiero con segnavia 213 fino a un bivio dove prendiamo a sinistra fino a sotto un canale ghiaioso gradinato con delle assi di legno che fuoriesce alla forcella Marcoira 2307m. Qui si tralascia il sentiero segnalato iniziando a traversare per tracce sempre più scarse verso Est. Qui non c’è più nessuno, per verdi e detriti passiamo prima a mezzacosta sotto la Cima Ovest più arcigna finendo ad affacciarci alla forcella fra le due.  Si continua poi sullo stesso tipo di terreno dove fanno la comparsa le stelle alpine, sono di dimensioni piuttosto piccole ma fanno sempre piacere. Ora si sale più ripidamente fino a meritare la simpatica cimetta, la croce di legno è ricavata presumibilmente da resti bellici. Sostiamo  in solitudine poi riprendiamo il cammino, il prato visto dall’alto appare più impiccato ma ce la facciamo senza ruzzolare a valle. Però non ci caliamo dalla forcella ma continuiamo a traversare verso O in ambiente simpaticamente roccioso incontrando anche un tratto attrezzato con cavi metallici fuoriuscendo  alla forcella Ciadin (segn. 223, 2378m) che scavalchiamo tornando sul versante del passo. Incontriamo un paio di escursioniste teutoniche, anche loro della terza età, una delle due passando sotto un tetto da una bella zuccata, la prognosi non è comunque infausta. Passiamo prima sotto le Cime del Laudo e continuando riagguantiamo il percorso fatto in salita. In questa parte l’apparecchio fotografico dà misteriosamente forfait  e mancano le prove. Con Sandro e Saro nel Luglio 2015, senza fretta in circa sei ore.

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Cima Bianca (2175m), l’ultimo rilievo della Cresta del Leone

Torniamo per l’ennesima volta in val Cimoliana e al parcheggio di pian Meluzzo sotto il rifugio Pordenone, circa 1150m. Continuando lungamente sulle fiumane di ghiaie del solco principale (sent. 361) e trascurando l’imbocco della val Monfalcon di Cimoliana bisogna arrivare all’ulteriore vallone di sinistra che sale verso il bivacco Marchi Granzotto il segnavia è il 359 e la valle quella del Monfalcon di Forni. La cresta divisoria, per motivi ignoti denominata del Leone, offre parecchie cime dalla scarsa o nulla frequentazione a causa delle difficoltà, assenza di segni di passaggio e altre amenità del genere. L’unica presente nel mio repertorio è la protagonista di questo articoletto che rimane la più accessibile senza troppe complicazioni nonché la più a Sud della citata dorsale. Ci alziamo quindi verso il bivacco sulla destra orografica, quando si passa sopra a un paio di laghetti è il momento di abbandonare il sentiero mirando alla visibile forcella Bianca a monte della vetta. Non senza esitazioni a dire il vero a causa dell’assenza di tracce di passaggio che si trovano però più in alto. Dalla sella ci si arrampica per rocce in parte friabili ma anche affidabili su camini e cengette con logica alpinistica (assicurando il meno sicuro della compagine con uno spezzone di corda). Le difficoltà sono sul primo o poco più ma la cima è un sorprendente quanto aereo balcone sulle montagne e vallate circostanti. Ridiscesi alla forcella rifocillati e incoraggiati da una bottiglia di bianco consumata sul posto ci viene l’idea di calarci dalla parte opposta che dovrebbe riportare (a meno di sorprese) prima nella parallela valle Monf. di Cimoliana e quindi in val Meluzzo. Nonostante le pessimistiche previsioni di una sparuta minoranza (ci sarà mica qualche salto roccioso?) si rivela la scelta giusta, un morbidissimo quanto vergine ghiaione ci scodella a fondo valle. Protagonisti i soliti pensionati, non trascurabile una minoranza femminile. Giugno 2005.

 

Grosses Wiesbachhorn (3564m), obiettivo mancato

Situata a nord del Grossglockner e seconda solo a questo per bellezza si eleva questa magnifica piramide di roccia e ghiaccio. Sulla ripida parete NO, inclinata fino a 60°, l’alpinista teutonico Riegele usò per la prima volta i chiodi da ghiaccio. Nel 92 eravamo talmente gasati da precedenti esperienze coronate dal successo che la mettiamo in programma. Con Marino, Sandrone e Nevio partiamo il sabato mattina, non ricordo per quale percorso (c’era forse già l’autostrada e il tunnel ), al di là dei Tauri ci dirigiamo verso Ovest fino ad arrivare alla turistica località di Kaprun nella valle del Salzbach. Con notevole salasso per le nostre finanze saliamo su un’affollata piattaforma di legno, in attesa di un mezzo di risalita. Con sorpresa invece  è questa che comincia a salire fino a una stazione di autobus in galleria, in corriera si arriva ai due invasi artificiali sovrapposti di Mooserboden, 1962m. Passando sopra il coronamento della diga arriviamo sulla riva opposta, il luogo è impressionante e siamo stupefatti. Il dislivello fra i due laghi è importante come d’altronde l’opera d’ingegneria idroelettrica. Dopo lo sbarramento ha inizio il sentiero per il rifugio Heinrich Schwaiger (2802m) situato sotto la parete No del Wiesbachhorn , il clima piuttosto incerto con qualche nuvoletta ma anche degli sprazzi di sole ci rendono alquanto fiduciosi. L’accoglienza è calorosa, anche se non spiccichiamo in quattro una parola di tedesco il gestore fa di tutto per metterci a nostro agio. Con tutta probabilità qui gli italiani devono essere più rari che le proverbiali mosche bianche. Dopo cena come di consueto stento a prendere sonno e sento le raffiche di  vento che infuriano tutta la notte, ottimisticamente penso che ripulirà l’atmosfera. Niente di più sbagliato, il mattino seguente nevica e fuori è tutto bianco tanto da precludere anche la via della più facile cresta O (Kaindgrat), l’unica opzione rimane la ritirata. L’agevole sentiero del pomeriggio precedente è diventato piuttosto sdrucciolevole e ci caliamo con prudenza per non aggiungere i nostri nomi al lungo elenco dei caduti della montagna. Mi diletto peraltro a fotografare gli sgargianti colori dei fiori che spuntano dalla neve, come diceva Rossella in Via col vento, domani è un altro giorno, purtroppo lavorativo.

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