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Hochkonig 2941m, la traversata cresta Est-versante Sud

agosto 29, 2017 3 commenti

Al terzo giorno di permanenza nelle Alpi del Salisburghese ci prefiggiamo di salire l’Hochkonig  (Alto Re), una delle vette più alte di questi monti visto che sfiora  i 3000 metri (per la precisione sono 2941), decisi a sfruttare fino in fondo i pochi giorni a disposizione. Salutata a Mulbach la nostra padrona di casa ci dirigiamo verso Est per la strada di fondo valle ma per poco, la lasciamo per alzarci a sinistra (sempre asfalto) fino all’ Arthur Haus (1502m) dove parcheggiamo. Le mucche al pascolo e i balconi fioriti ci accompagnano fino alla bella malga Mittelfeld. Poco più in alto una coppia di amici si ferma, forse non usi alla nostra maniera sconsiderata di andare per monti. Continuando sulla verde (all’inizio) quanto facile e lunga dorsale Est saliamo verso il rifugio con belle visioni sull’ambiente calcareo circostante, spicca l’ostica Torsaule, un elegante torrione, incontriamo anche una simpatica e attraente escursionista solitaria con la quale tutti, a parte forse la componente femminile, vorrebbero intrattenersi più a lungo. Ma i rudi alpinisti non cedono a queste lusinghe e procediamo a oltranza nel vallone verso la vetta, intanto il sole scompare sotto qualche innocua nuvola e la temperatura diventa più frizzante. Proprio in cima si trova il rifugio Matras Haus dove una birra è obbligatoria, anche se forse sarebbe preferibile, visto il clima, qualcosa di più caldo. Il ghiacciaio che si estendeva a Nord è attualmente ridotto a nevaio mentre a meridione si occhieggia il ripido versante di roccia. Non ci dilunghiamo troppo, il libro di Messner consiglia la traversata passando dai Teufels Locher, due finestroni simili all’Okno del Prisojnik nelle Giulie. Purtroppo anche il nostro interprete dà forfait e torna indietro  più prudentemente per la via conosciuta, restiamo in quattro a calare verso meridione al circo Birgkar. I due fori non li troviamo, in compenso il versante, piuttosto ampio, ci riserva tutte le gioie del ravano: esposizione, placche friabili e detriti ci accompagnano lungamente. La mancanza di cartine e guide danno il loro contributo, comunque facciamo attenzione a non smarrire i segni. Tiriamo un sospiro di sollievo all’uscita nel bosco verso destra, siamo illesi ed è già un buon risultato. Qui il sentiero (sempre ben segnalato) conduce al passo Dietener (1379m) dove il giorno precedente, guarda il caso, avevano prudentemente lasciato una macchina. Siamo accolti da una coppia (padre e figlio) di suonatori di trombone. In nostro onore, conosciuta la nazionalità, si esibiscono nel Carnevale di Venezia  destando la commozione nei nostri duri cuori di pietra. Il mezzo di trasporto previdentemente parcheggiato il giorno prima sul valico è ancora presente.

La cima con Gigi , Eliana, Cinzia e Ermanno. Discesa, tutti meno uno compreso il vostro redattore.

Schonfeldspitze (2653 m), la non facile traversata della cima più elevata del gruppo

agosto 27, 2017 2 commenti

Segnata ma non facile e anche esposta (secondo grado) è la via normale della quota più elevata del gruppo. La traduzione maccheronica dovrebbe essere Cima del Campo bello o giù di lì. Dopo l’exploit mattiniero ci dirigiamo verso la cima superando il versante Ovest  per cenge e risalti rocciosi di buon calcare, in un passaggio un po’ più impegnativo dobbiamo anche usare lo spezzone di corda che per eccesso di prudenza abbiamo nello zaino. La vetta, ornata da una pietà scolpita in legno a grandezza naturale, è molto visitata e condividiamo la solita bottiglia di vino che ci siamo portati con i presenti. In discesa seguiamo solo per un breve tratto la via di salita, da una cengia ci spostiamo verso Est con un percorso alternativo più facile verso Est arrivando a una forcella (Buchen?). Dalla base torniamo al rifugio svoltando a sinistra percorrendo un facile vallone in un gratificante ambiente carsico d’alta quota a chiudere l’anello. Ci prendiamo anche qualche goccia di pioggia (la variabilità del meteo rimarrà una costante di questi giorni) e recuperate le nostre masserizie scendiamo a valle. Recuperato i mezzi di trasporto ne lasciamo uno al passo (Dietner Sattel, 1379m) stringendoci nell’altro (in sette!), per il giorno seguente è in progetto una traversata con arrivo proprio qui. Quindi riprendiamo la via per il nostro punto d’appoggio, lo sperimentato gasthof di  Maria Alm che è poi una frazione di Mulbach zum Ochkonig dove ceniamo. La signora è anche proprietaria di un B. e B. nelle vicinanze e si presta a ospitarci anche per una sola notte. Qui combiniamo un mezzo disastro, un’ulteriore bottiglia messa in fresco sotto lo sgocciolio di un lavandino (al quale non funziona il troppo pieno) provoca un allagamento. Siamo rei confessi, la nostra ospite ci assolve dichiarando che come si è bagnato anche si asciugherà.

Steiernes Mer: tre cime prima di colazione

 Il mattino seguente profittando del tempo splendido (e del poco dislivello) andiamo a goderci il levare del sole su questa facile montagna nei pressi del Rifugio. Nessuna difficoltà, sentiero segnalato. Siamo in ballo e ci aggiungiamo in mattinata altre due vette, lo Schonegg (2398m) e il Wurmkopf (2452m) con le stesse caratteristiche.

4 Giorni nel Calcare del Nord: trasferimento dal Friuli al rifugio Riemann sul mare di pietra

Per variare il solito Menu Giulie-Carniche-Dolomiti e con l’ausilio di un vecchio libro di Messner sulle vie ferrate delle Alpi Orientali (e contando sulla conoscenza della lingua tedesca di Ermanno) decidiamo di fare una trasferta ferragostana di qualche giorno sulle montagne di calcare del Salisburghese, quindi oltre i Tauri. Gli aderenti sono parecchi rispetto alla media, al redattore e all’interprete si aggiungono due affiatate coppie di coniugi e una single, la parità fra i sessi è rispettata. Con tragitto prevalentemente autostradale arriviamo alla cittadina di Bischofschofen, qui prendiamo a sinistra (Ovest) la strada per la Dietner Sattel (forcella) e Muhlbach. Ci fermiamo per il pranzo nel villaggio di Maria Alm profittando dell’ospitalità del Gasthof ai margini della strada. La nostra chiassosa tavolata diventa subito la maggiore attrazione del locale mentre degustiamo le generose porzioni della cucina tipica annaffiando il tutto con qualche birra. Così rifocillati riprendiamo il viaggio non senza salutare calorosamente la padrona di casa che rivedremo in seguito. Valichiamo il passo Dientner proseguiamo fino ad Alm dove una strada parzialmente asfaltata sale sulla destra fino a circa 1300m dove si parcheggia. La prossima meta è il rifugio Riemann Haus (2177m) sul margine meridionale dello Steiernes Mer (Mare di pietra), un esteso altopiano carsico  di quota abbastanza elevata. Un sentiero molto pittoresco con qualche attrezzatura  supera intelligentemente la fascia rocciosa che lo difende. L’ambiente, anche se il colore del calcare è diverso ha qualche similitudine con quello del Canin. E’ sera quando chiediamo ospitalità al gestore, ahimè, i posti sono esauriti ma alla fine un giaciglio salta fuori e il personale si dà da fare per accogliere tutti gli affamati clienti. In segno di gratitudine gli offriamo un bicchiere di vino, si sdebita con un giro di grappe. Sentendoci  dei ladri accettiamo il baratto, seguono altri scambi etilculturali. Prima di coricarci usciamo a prendere un po’ d’aria. Senza inquinamento luminoso  il cielo risplende di un’infinità di stelle, un meraviglioso spettacolo un tempo comune anche nella bassa che ricordavo dai tempi dell’infanzia. Prima di commuoversi è meglio andare a letto.

Cima Grande di Lavaredo (2999m), alpinismo fai da te sulla normale

Della Piccola e della Ovest ho già malamente pubblicato qualcosa anche se il primo oggetto del desiderio è stata naturalmente la salita della più alta che per un solo metro (forse con la Croce ci arriva) non raggiunge i 3000 metri. Il solito Paul Grohmann accompagnato dalle guide Innerkofler Salcher si aggiudicò la prima assoluta già nel 1869 per la via poi diventata la normale. Ora le cose sono cambiate e la strada a pedaggio, anche se onerosa, dal lago di Misurina porta comodamente al rifugio Auronzo (2330m), in pratica fino all’attacco delle pareti Sud. Criticata dai puristi e osannata dai villeggianti alla fine è usata da tutti. Da un bel po’ di tempo non ci vado, ormai guarito per motivi anagrafici dalla peste arrampicatoria. Una volta sola ho pure pernottato in rifugio, purtroppo inutilmente, il mattino seguente pioveva a dirotto. Per questa gita d’antan (si parla dell’87) invece il tempo è stato bellissimo. L’altro capocordata di nome fa Amorino che abbreviato diventa il mio nome. Due parole sui due sconsiderati compagni, uno si chiamava Gigi detto il mestri per la sua professione, da qualche anno ormai passato nel mondo dei più, che da appassionato escursionista ambiva alla vetta. Coinvolgo nell’impresa anche Adriano, per motivi ignoti da sempre chiamato Bubine che fornisce anche l’auto, l’unico collegamento con la montagna era sua mamma nativa di Timau. Il quinto protagonista è mia moglie, oltre a fungere da pilota di riserva in caso di inconvenienti andrà a cercare soccorso in caso di inconvenienti. Dal rifugio ci incamminiamo sul sentiero che porta al Locatelli dove non si soffre certo la solitudine, arrivati sotto la Grande una traccia di sentiero sale all’attacco nei pressi della forcella con la Piccola. Spetta ai due esperti (poco) il compito di spiegare in 5 minuti tutte le manovre di assicurazione prima di partire. La via ha un dislivello di 450m con difficoltà che arrivano fino al III, segnalata con bollini rossi ha anche le soste attrezzate. Per un po’ le cose vanno abbastanza bene fino a un camino dove Adriano, l’unico senza casco, si prende un sasso in testa con copioso sanguinamento. Non è un danno irreparabile, gli cedo il mio provvedendo alla sicurezza con un berretto di lana. Ci mettiamo un’infinità ma alla fine la meta viene raggiunta, purtroppo le facce dei due novizi non sono molto allegre alla vista dei precipizi che ci circondano. Bisogna ripartire calando l’amico infortunato, il problema è il maestro che non si fida della cavezza per le calate e cerca di arrampicare in discesa procurandosi varie sbucciature a gomiti e ginocchia. Cala anche la nebbia.  Al termine della Via Crucis manca un’ultima doppia che naturalmente rimane incastrata, a forza di tira e molla viene, quando mettiamo i piedi sulla stradina è ormai il crepuscolo. La mia compagna in ansia stava per allarmare il soccorso, la tranquillizziamo. Arriviamo a casa alle ore piccole.

Per la relazione: la Guida del Berti (CAI-TCI) Dol. Orientali, Buscaini le 100 più Belle (Zanichelli)

 

Col Magnente (1524m) e casera Lavazeit (1813m), una gita forestale dalla Mauria

Le previsioni meteo danno poche speranze ma gli impegni sono impegni e partiamo comunque, con somma meraviglia si presenta all’appuntamento il Mauro che ha buttato giù dal letto anche suo figlio. Nei numerosi passaggi dalla Mauria, valico fra la Carnia e il Cadore, avevo adocchiato sulla destra del primo tornante in versante Ovest una tabella del CAI con varie destinazioni verso il gruppo del Tiarfin. Non ci ero mai stato e questa è già una sufficiente motivazione. Già in una curva prima di Forni, con il pilota un po’ distratto dal paesaggio, la Rav aveva preso una bella imbarcata sulla strada umida dando la sveglia ai passeggeri. Partiamo con l’ombrello, la carreggiabile sale fra gli innumerevoli stavoli (qui chiamati tabià) fino a un crocevia in loc. Stabie (1373m) dove prendiamo a sinistra, trascurando le varie segnalazioni (sent. del Papa e altre) ci alziamo fino a una cimetta alberata (quindi niente paesaggio) che stimiamo essere il Col Magnente, ben 1524m, o forse si trattava dello Stizzinoi? Tutto qui (diranno i miei fedeli lettori)? Non sia mai, torniamo al punto di partenza  per imboccare il sent. 207 che traversa lungamente in direzione Sudest con modica pendenza nel faggeto fino a un ruscello presso una briglia. Intanto si risveglia la cupidigia dei compagni alla vista di parecchie Mazze di Tamburo con contorno di Porcini. Poi finisce la ricreazione, dopo il guado la traccia comincia salire più impiccata (e anche meno battuta) per uscire finalmente sul panoramico terrazzo della Casera Lavazeit, fine della solitudine. Qui incontriamo un coro alpino di un paese sul Livenza in provincia di Pordenone più astutamente  saliti con la seggiovia del Varmost traversando in seguito costì. Ci offrono un saggio del loro repertorio, anche il cuore di pietra del mio compagno si commuove.  Nel recinto sottostante pascolano alcuni puledri, il più scafato pranza con la pasta avanzata. Intanto è uscito il sole e il panorama si apre verso le dirimpettaie dolomiti friulane. Resta solo il rientro, non ci sono alternative al percorso fatto in salita.

 

 

30 Luglio 2017

 

Kleine (quota ignota) e Grosse Gamswiesenspitze (2488), due gite dalla Dolomiten Hutte

agosto 8, 2017 2 commenti

Nonostante il nome le Lienzer hanno più affinità con le nostre carniche, di dolomia non c’è traccia alcuna essendo composte di un calcare grigio a volte peraltro solidissimo, che si presta all’arrampicata. Gli italiani sono rari mentre sono assai frequentate dagli austriaci anche per la vicinanza con la città di Lienz. Bisogna comunque trasferirsi nella valle della Drava, quindi la via prevede il Passo di Monte Croce Carnico e il successivo Gailsberg per poi risalire verso Ovest l’ampia vallata. Prima del capoluogo dell’Osttirol si devia a sinistra verso Lavant e seguendo le indicazioni si sale, sempre  su asfalto, una strada (attualmente a pedaggio che) arriva fino a una radura a 5 minuti dal rifugio omonimo dove si parcheggia, circa 1500m di quota. Da qui si sale (stradina o sentiero) al frequentatissimo Karlsbader Hutte,  posto nel circo terminale del vallone. In questa occasione non ci arriviamo, uscendo dal bosco si vede sulla destra l’attraente pilastro della Kleine Gamswiesenspitze (traduzione spannometrica: la piccola cima della vista dei camosci). Ci si abbassa nel vallone ghiaioso-detritico per alzarsi sull’opposto versante (solo tracce) fino all’attacco. La via è di roccia ottima, e abbastanza breve, le difficoltà sono sul terzo grado, per di più è attrezzata con dei chiodi speciali che in teoria non avrebbero bisogno di rinvii. Li usiamo comunque e senza grossi problemi arriviamo in cima. Qui incontriamo la moglie di un amico che è salita per la via normale da Sud che passa dalla forcella Kerschbaumertorl un duecento metri più in basso. La facciamo in discesa, non è elementare visto che bisogna usare le mani. Per la birra (o birre per la verità) ridiscendiamo alla ospitale Dolomiten Hutte. Con Ermanno, Gigi, Nevio, Sandron ed Eliana nel Luglio del 99.

Ritorniamo nel 2015 in Agosto. L’avvicinamento è lo stesso ma il programma è diverso, vogliamo salire la più alta. Dalla forcella con sorpresa vediamo che la salita fatta nella prima visita è stata trasformata in una ferrata con il nome di Madonna Weg. Che sarà mai, la affrontiamo senza alcuna di quelle attrezzature che vanno di moda adesso e perdiamo immediatamente un paio di amici che rinunciano. Non è nel mio carattere ma me ne pento quasi subito, rimpiango di non avere nel corredo neanche anche un misero cordino con moschettone, la salita è verticale speriamo bene… arriviamo prima sull’anticima e poi in vetta. La discesa sull’opposto versante non è di meno e quando finalmente arrivo sulla cengia tiro un sospiro di sollievo. Di fronte si vede la più verde cima maggiore e il sentiero che vi arriva. Mantiene le promesse, non c’è alcuna difficoltà e posso fumarmi la sigaretta dello scampato periglio (mi fa compagnia un giovane vizioso) mentre osserviamo le laboriose manovre degli alpinisti impegnati sulla minore, non li invidio. Dopo sei ore siamo ancora quasi miracolosamente illesi. Purtroppo le celebrazioni al rifugio si protraggono a lungo (ne diventiamo l’attrazione visto la confusione che si crea) con tristi conclusioni, la sorte vuole che mi tocchi anche onere del volante al ritorno.

 

Andrea, Mauro, Oscar, Sandro e Saro. Gli ultimi tre, dimostrando maggior giudizio, ci hanno aspettato in sella.

 

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La Tour Ronde e (di nuovo) la Cresta di Rochefort

30 Luglio, trasferimento da Udine al rif. Torino

Della settimana di ferie dedicata ai monti ho già parlato degli ultimi giorni passati nelle Pale di San Martino assieme a Nevio qui voglio ricordare il disastroso preludio.  Partiamo alle 4 del mattino, la meta prefissata è una via sulla parete Nord del Tricorno, ma ahimè nelle Giulie piove copiosamente. Invertiamo la rotta dirigendoci all’estremità opposta della catena alpina che è poi il gruppo del Monte Bianco. Per eccesso di prudenza ci siamo portati dietro una caterva di guide e nell’attrezzatura non manca piccozza e ramponi, così la scelta potrebbe estendersi all’intero arco alpino. Dalla Val d’Aosta (la Palud) saliamo con la funivia fino a 3322m, il rifugio Torino è poco distante, non abbiamo difficoltà a trovare ristoro e un giaciglio per la notte.

31 Luglio, la Tour Ronde 3792 m 

In mancanza di acclimatamento la meta non può essere troppo ambiziosa e il mattino seguente ci dirigiamo alla volta della frequentata Tour Ronde, che con i suoi rispettabili 3792m d’altezza in altri luoghi non farebbe la meschina figura di nano fra i giganti. L’avvicinamento è abbastanza laborioso, traversata la Vallèe Blanche  si sale prima a NO al Col des  Flambeaux arrivando sul Glacier du Gèant che rimontiamo verso Sud fino a raggiungere l’attacco arrancando faticosamente. In progetto c’era la via di Gervasutti in parete Ovest o come estrema via di ripiego, la Nord, ambedue comunque di ghiaccio. Le ammiriamo dall’attacco, di neve non c’è traccia alcuna e sono interamente rocciose, in mancanza di materia prima bisogna rinunciare. Anche la nebbia persistente non ci aiuta molto, la carta di riserva consiste nella  via normale che sale per cresta da SE. Continuiamo allora a traversare costeggiando le rocce verso sinistra fino ad arrivare (ed era ora) all’attacco. Anche qui non c’è molto da divertirsi, sotto la neve c’è del ghiaccio e bisogna stare attenti  ma se non altro non siamo più soli. Scavalcando o aggirando vari risalti del durissimo granito rossastro del Bianco (protogino) che si alternano ai tratti nevosi  finalmente posiamo i piedi in cima, ci abbiamo messo un’infinità e siamo esausti anche per la scarsa acclimatazione. Torniamo al rifugio seguendo all’incirca lo stesso itinerario. PD+, devo dire che per noi orientalisti è alquanto difficile ambientarsi in questi grandiosi terreni di gioco.

Primo Agosto, la Cresta di Rochefort, sul filo dei 4000

E’ l’unica ripetizione delle occidentali che ho già descritta in un precedente post. Rischiamo già la pelle nell’avvicinamento, una scarica di sassi precipita dal Dente del Gigante e facciamo appena in tempo a ripararci in un anfratto roccioso. Al contrario della volta precedente non incontriamo quasi nessuno, solo una cordata (guida e due clienti) ne percorre un primo tratto e poi rinuncia. E’ carica di neve con enormi cornici che sporgono alternativamente sui due versanti, noi proseguiamo fino al canalino che sale all’Aiguille, dove quasi tutte le cordate si fermano. E’ ghiacciato e per una volta riesco a calmare i bollenti spiriti del mio compagno. Ambiente grandioso e magnifico ma se non c’è nessuno ci sarà pure un motivo. La sera al rifugio, mentre sta piovendo, decidiamo di cambiare aria. Il mattino dopo mentre andiamo alla funivia è una giornata spettacolosa ma ormai il dado è tratto, seguiranno alcuni giorni di belle salite nelle più accoglienti e solari Pale di S. Martino.