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Archive for aprile 2011

Torre Nuviernulis 1881 m – Fessura Feruglio IV+, via Degli Amici II

La Torre Nuviernulis da NE

La prima volta che ho salito questa bella torre, satellite del Sernio, fu durante una gita sociale della SAF allo stesso quando ancora facevo parte della squadra corse e assieme a un altro scellerato mentre aspettavamo i comuni mortali per riempire la giornata arrivammo in vetta salendo, non ricordo più se per la Via degli Amici o la normale che hanno più o meno la stessa difficoltà, un secondo grado su roccia molto solida, probabilmente la migliore del gruppo. Ci ritornai qualche anno dopo promosso sul campo a aiuto istruttore del corso di alpinismo da capo cordata con due allievi scalando la fessura Feruglio sul versante E, che dopo un attacco piuttosto ostico entra in un buio camino per uscire infine in cima o per canalini o per uno spigolo (la scelta fu questa) molto più simpatico ma con difficoltà calanti (max. IV+). Per arrivarci, da Moggio si risale la val Aupa fino a Bevorchians da dove a sinistra si prosegue a un piccolo parcheggio (Circa 700 m di quota). Ora a piedi si sale in un’ora e mezza al bel rifugio Grauzaria a circa 1200 m di quota, ottimo punto di appoggio per escursioni e scalate nei monti circostanti,  ristrutturato e attualmente ben gestito da una coppia di appassionati, all’epoca sempre aperto tipo bivacco. Per arrivare ai piedi della nostra torre bisogna scarpinare ancora seguendo un sentiero che porta al Foran da Gjaline, una sella che divide il versante di Moggio da Paularo. Da questa si va a sinistra perdendo qualche metro per poi rimontare alla sella Nuviernulis, 1700 m circa, passaggio obbligato anche per la normale al Sernio. 1984-1989.

9 Aprile 2011
I soliti entusiasti giovincelli mi annunciano tramite SMS che sabato hanno l’intenzione di andare sul Sernio e sono piuttosto perplesso, un pò per la lunghezza, quasi 1500 m di dislivello, come seconda obiezione per la neve che a N è ancora piuttosto abbondante nonostante il precoce caldo di questi giorni e in ultimo ci sono stato già quattro volte, ma alla fine acconsento. Tempo molto bello mentre saliamo al rifugio, facciamo una breve sosta al ruscello per nascondere la bottiglia di Cabernet che si sono portata a conforto del nonnetto al ritorno segnalando con un piccolo ometto il posto, ma avrebbero potuto lasciarla anche sul tavolo del ricovero dato che non vedremo nessuno in tutta la giornata. Già salendo al foran capisco che verseremo molto sudore perchè la neve molle ci fa sprofondare parecchio. Anche la salita alla forcella Nuviernulis ci fa soffrire parecchio oltre che perdere molto tempo. Qui giunti propongo, visto che mancano ancora 400 abbondanti m di dislivello e quasi tutti innevati, di salire la Torre percorrendo la via degli Amici in versante Sud, che ha difficoltà di secondo grado. I giovinastri acconsentono anche se non abbiamo nè il casco e neanche un misero spezzone di corda. D’altra parte si sono iscritti al corso di alpinismo e questa sarà una salita propedeutica allo stesso. Mi metto comunque in testa alla compagnia e seguendo i radi segni comincio a arrampicare sul bel calcare (dò anche una capocciata allo stesso in un momento di distrazione) e superando anche un bel canalino innevato arriviamo sulla esile cima felicemente. In discesa percorriamo con qualche problema di orientamento la via comune e quando arriviamo alla forcella O tiro comunque un bel sospiro di sollievo. Riprendiamo quindi il calvario del ritorno soddisfatti ma con i piedi fradici. Scoliamo l’ottimo liquido precedentemente occultato e così rifocillati divalliamo. Uno dei tre compagni aveva scordato i calzettoni e ha fatto il percorso con due paia di calze di cotone, uno sottile della festa e un acquisto da un ambulante nordafricano, così guida scalzo piazzando astutamente i pedalini fradici sotto i tergicristalli e con l’auto addobbata in tale fatta andiamo a farci una birra al Leon Bianco di Moggio. Arriviamo a casa e i calzetti sono perfettamente asciutti.

Grignetta 2186 m, Cresta Segantini III – Corna di Medale 1029 m, via Cassin V

Sopra “Quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno” si eleva il gruppo calcareo delle Grigne, storica palestra di arrampicata degli alpinisti lombardi, qui si sono fatti le ossa fra gli altri, per citarne solo due, Cassin e Bonatti. Anche noi, fantozziani al loro confronto, decidiamo di farci una breve visita in un fine settimana di due giorni e mezzo.  Arriviamo a Lecco all’imbrunire per salire in un deserto Pian dei Resinelli, località di villeggiatura a circa 1200 m di quota dove è stato costruito perfino un piccolo grattacielo!, e peniamo parecchio a trovare un letto, combinando infine nell’unica pensioncina aperta che si fregia del nome rifugio. Oltre allo storico compagno Nevio (oramai da anni in estremo Oriente) della compagnia  fa parte anche una delle tre coppie che ho modestamente  contribuito a formare nell’ambito delle associazioni alpinistiche udinesi (connubi tutti felicemente riusciti, probabilmente ho sbagliato lavoro,  avrei avuto più successo come sensale di matrimoni). La coppia ha abbandonata da anni la montagna dopo un incidente stradale convertendosi al mare e navigano ora per il mar Adriatico su una barca a vela in legno rimessa a nuovo dal marito, uomo dal carattere pessimo ma con le mani d’oro. Tutti personaggi presenti alla trasferta in Paklenica (in un precedente post sul Velebit).

La Cresta Segantini

Guglie della GrignettaLa Grignetta è la cima più  alpinisticamente interessante con tutte le sue torri di buona roccia; il mattino seguente il tempo è abbastanza incerto, chiediamo lumi sull’evoluzione meteo ai  nostri padroni di casa che ci tranquillizzano affermando che al mattino fa sempre così ma poi  risplenderà il sole. Il nostro programma prevede per oggi la Cresta Segantini, una classica di difficoltà medio-bassa che ci sentiamo in grado di superare senza  problemi. Con ai piedi le scarpe ginniche e nel sacco le lisce ci incamminiamo allegramente sul sentiero che conduce al rifugio Rosalba che poi abbandoniamo salendo a destra a prendere la Direttissima, una via ferrata  che ci introduce in un mondo minerale molto frastagliato fra le aguzze guglie della Grignetta  che seguiremo fino all’attacco al Colle Valsecchi, una selletta di cresta. Ogni tanto qualche raggio di sole fa capolino tra le nubi . Ci leghiamo cominciando a arrampicare, il sole è sparito, superiamo parecchi gendarmi di cresta, un solitario assatanato in scarponi e picozza Hummingbird ci supera rapidamente e vedendo che in giro ci sono parecchi nevaietti ci viene il dubbio di aver sbagliato qualcosa con le nostre scarpette. Siamo quasi al Pilone Centrale quando ci si rizzano i capelli per l’elettricità statica e si scatena la baraonda di lampi e fulmini e in breve la pioggia che cade si trasforma in neve. Cominciamo la ritirata sulla via già percorsa con visibilità nulla tanto che aggirando una torre mi trovo davanti la compagna che era dietro e le chiedo  come ci sia arrivata e lei mi fa notare che non si è mossa. Bisogna assolutamente levarsi dalla cresta e ci caliamo alla cieca in un canalone ancorando il cordino a una clessidra trovata per sbaglio. Un’altra doppia di cinquanta metri e ci troviamo su  un terreno meno verticale, peccato che sulla seconda lo scrivente deve scendere arrampicando in quanto i compagni anche tirando come forsennati non riescono a fare scorrere le corde. Con minori problemi arriviamo al sentiero del rifugio che dovevamo intersecare per forza. All’ improvviso riappare il sole, la perfida Grigna ci irride risplendendo della nevicata di cui si ammanta: ci ha giocato un bel pesce d’Aprile, infatti oggi è il primo.

 

La via di Riccardo Cassin al Medale

La bella parete S della Medale

Il diedro dLa  via aperta dal fortissimo Riccardo Cassin con Dall’Oro(Boga) dopo varii tentativi  sulla Corna di Medale, una spendida pala rocciosa sopra il paese di Laorca fra Lecco e i Resinelli, fu la prima della parete Sud e la Banda Musicale  di Laorca salì alla base per confortare con la musica il bivacco degli alpinisti. Diventata una classicissima (anche se dopo furono aperte decine di vie, tutte più difficili) conta oramai parecchie migliaia di ripetizioni, non potevamo fare a meno di provarci. Scendiamo dai Resinelli fino al paese suddetto per salire all’osteria del Medale, storica base d’appoggio dei numerosissimi Lumbard che frequentano queste pareti. Oggi è una bellissima giornata primaverile sì che possiamo arrampicare in maniche corte e stranamente siamo le uniche cordate impegnate costì. La parete è verticale, il dislivello è di circa 350 m di solidissimo calcare solo a tratti con qualche albero, utile per le soste, ma anche con delle piante fiorite. Ricordo in particolare il diedro di attacco e una placca lavorata dall’acqua piuttosto ostica. Superiamo bene anche il traverso di quinto (qualcuno lo quota anche di più), un po’ lisciato dai numerosi passaggi, una breve sosta in cima (Lecco e il suo lago sono sotto di noi), la discesa su sentierino con qualche attrezzatura,  una fermata più lunga all’osteria per ritemprarci e riprendiamo la via di casa. Ci ritorneremo per la rivincita? Chissà…
2 Aprile 1989

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Clap Piccolo, alpinismo esplorativo

Dal Pieltinis, da sin. Clap Piccolo, Clap Grande, Creton di Culzei

Nelle Dolomiti Pesarine fra la forcella di Pradibosco e il Passo Elbel si trovano dei monti ancora allo stato primigenio, con scarsissime tracce umane, limitate a qualche raro segnavia nel canalone di Pradibosco per l’accesso alla Creta Livia, è il piccolo ma selvaggio sottogruppo del Clap Piccolo. A partire da O, troviamo le Tre Lame, la Crete Brusade, il Creton e la Torre, la più ardita di tutte le Pesarine seconda per quota solo al Clap Grande, e ultima la Creta Livia già citata. Nelle tre volte che ci sono stato non ho mai incontrato anima viva fino al rifugio De Gasperi dove  sono transitato in discesa.

6 Ottobre 1991 – Tre Lame 2322 m, via D’Armi, De Antoni, Gilberti e Soravito, II-III, 1 pass. IV – 200 m

Autunno in val Pesarina

Casera Mimoias

Il Campanile di Mimoias

Tre Lame parete S con la rampa della viaIn questa bellissima giornata autunnale risaliamo la Val Pesarina oltre Pian di Casa fino al piccolo parcheggio da dove saliamo per la forestale alla casera Mimoias e al sovrastante passo di Elbel da dove lasciamo il sentiero per attraversare verso destra per erbe arrivando alla base della verticale parete S della nostra meta. Qui due dei partecipanti avevano adocchiato la possibilità di aprire una via nuova sulla rampa che  sale verso la cima, da O verso E coinvolgendo nell’impresa il sottoscritto e altri due pretendenti, piuttosto restii.
C’era comunque un motivo. Sei mesi prima in una disgrazia sullo spigolo del Glemine perdeva la vita sotto i nostri occhi il caro amico Flavio, sono ormai trascorsi vent’anni anni da quella triste giornata e volevamo in qualche modo ricordarlo intitolandogli la salita. La rampa è a tratti sporca d’erba ma la qualità della roccia è buona e arriviamo in cima senza grossi problemi, la discesa al passo  per pendii erbosi anche se ripidi e quache roccetta non ha difficoltà, per noi cinque tutti istruttori di alpinismo.
Tuttavia da un esame più attento (all’epoca non era ancora uscita la nuova edizione della guida delle Alpi Carniche) apprendiamo che siamo andati a fare una prima che non lo era più già dal 1932 e probabilmente ne abbiamo fatto l’unica ripetizione.
P.S. Non molto tempo fa sono andato da solo a fare la traversata del Pleros e in vetta ho trovato un cippo con inciso il nome dell’amico scomparso ivi portato dai suoi coscritti del paese, Rigolato.

20 Agosto 2006 – Traversata Passo di Elbel a Forcella Pradibosco con salita delle Tre Lame 2322 m, Crete Brusade 2393 m, Clap Piccolo 2439 e Torre Pesariis 2430 m – II grado

Solite chiacchiere inconcludenti alla società alpina friulana. Previsioni pessime per il fine settimana. Solito giro di birre al solito bar. Un po’ galvanizzati dalle birre, fra le varie proposte esce questa traversata che riscuote poche approvazioni, solo due si dichiarano interessati, lo scrivente e il giovane bibliotecario. La domenica mattina risaliamo la val Pesarina fino al Pian di Casa a 1200 m, il tempo è piuttosto incerto ma non pessimo. Schiaffiamo nello zaino(del più giovane) una mezza corda, imbrago, qualche cordino e moschettone e iniziamo la salita in direzione rifugio e ai ruderi della casera Clap Piccolo deviamo a destra verso casera Mimoias e il già conosciuto passo di Elbel. Da questo su a sinistra per terreno facile arriviamo velocemente sulla prima delle tre lame. Da qua è tutto incognito e le nuvole basse che si aggirano non invogliano certo alla prosecuzione ma siamo determinati: indossiamo l’imbragatura con il poco materiale che ci siamo portati. Bisogna seguire fedelmente la cresta affilatissima con le varie discese e risalite nella nebbia che a momenti si apre a un raggio di sole (adoperiamo la corda a Tarzanetto nelle calate) per risalire infine su terreno più facile alla cima della Crete Brusade.Dalla Crete Brusade scendiamo alquanto in versante sud a traversare un canalone arrampicando scioltamente senza sicurezze sul secondo grado, aggiriamo un risalto in versante e finalmente ci appare il versante di sfasciumi della via normale del Clap Piccolo che ci meritiamo abbondantemente. Verso oriente ci appare vicina la Torre Pesariis e più in là aguzza fra le nebbie la Torre di Clap Piccolo. Ridiscendiamo all’insellatura est, abbandoniamo gli zaini e portando solo la corda scaliamo per un caminetto svasato di roccette piuttosto solide (secondo anche qui), l’ennesima cima della giornata, la torre intitolata al paese degli orologi sottostante. Ora la  perfetta conclusione della giornata sarebbe di terminare sulla più bella cima del gruppo. Ma le ore sono passate e la nebbia si è fatta più fitta e minacciosa, il vecchio è praticamente cremato e bisogna trovare la via di discesa. Vaghiamo per un pò nelle vicinanze di Forcella Pradibosco e scendendo una cinquantina di metri il culo che ci accompagna ci fa avvistare un segno. Seppur le rogne non siano finite pensiamo che anche stavolta è andata. Superiamo in discesa vari saltini e in salita alla fine usciamo dal micidiale canalone, un lungo traverso su erba in piedi fra i torrioni ci porta infine alti sul vallone di Clap Grande. Ora si scende ripidamente fra  provvidenziali e ben appigliati mughi e roccette, poi per prati ripidissimi e alla loro base esultanti una traccia di sentiero ci deposita al Rifugio De Gasperi. Il gestore si interessa alla  desueta traversata e in vena di generosità ci offre anche una birra accompagnata dalle parole fatidiche: “vedo che vi siete dedicati all’alpinismo esplorativo!!”

Verso il Clap PiccoloTorre di Clap Piccolo 2462 m – 4 Ottobre 2009 – II

Con due figuri di sicura fede ravanatoria, uno ancora meno giovane di me, l’altro è un ragazzo non arrivato ancora alla cinquantina (che ci portiamo a garanzia della riuscita dell’impresa) risaliamo ancora il sentiero che ci porterebbe al rifugio De Gasperi in una esemplare giornata autunnale. Arrivati al ramo O del canalone di Pradibosco abbandoniamo i segnavia per risalirlo fra i suoi sfasciumi. Ma per poco, che tosto viene abbandonato prendendo a mancina una ripida rampa erbosa fino a quando viene sbarrato da una mugaia con esemplari di dimensioni considerevoli nonchè di veneranda età. Ci entriamo volenterosi districandoci faticosamente dato che bisogna rientrare nel canalone che più in basso ha un salto. Dopo impari lotta ci affacciamo sul detto canale, ci caliamo, lo attraversiamo per risalire sull’altra sponda con qualche modesta rogna. I prati superiori molto ripidi e assolati ci costano parecchio sudore per arrivare alla base delle rocce. Dopo una sosta per riprendere le forze riattraversiamo di nuovo verso destra a raggiungere di nuovo il nostro amato canale e ricominciamo di nuovo a salire ora su roccette piuttosto solide e in questo tratto troviamo i segnavia della normale alla Creta Livia (uniche tracce umane della salita) ma vengono ben presto abbandonati. Ora dobbiamo arrivare alla selletta che divide l’anticima Ovest dalla vetta risalendo una specie di colatoio stretto e lisciato dall’acqua e dalle pietre con qualche passaggio abbastanza impegnativo. Alla sella bisogna scendere brevemente per poi risalire una rampa in ombra dall’aspetto non molto rassicurante, tratto chiave della salita. E’ il momento del nostro ragazzo. Estraiamo a questo punto la corda e ci leghiamo e lo spediamo in avanscoperta. Non ha problemi, ci recupera, abbandoniamo qui la cavezza e per scaglioni piuttosto friabili in breve arriviamo sulla disertata quanto esile vetta che comunque è ornata da una piccola campana. In discesa facciamo lo stesso percorso, ma all’incontro con i segnavia continuamo con questi, sul percorso che avevo già calcato in precedenza e con gli stessi fastidi. Arrivati al rifugio (Ultimo giorno di apertura) la signora ci chiede se siamo stati sulla ferrata dei cinquanta, alla nostra risposta esce il gestore dalla cucina chiedendoci informazioni sulla via da noi seguita, affermando che saranno vent’anni che lì non ci va nessuno. Al nostro commiato esce sulla soglia con un trombone e ci fa un concerto di approvazione.
Queste salite le dedico a tutti coloro che si lamentano delle montagne troppo affollate.

In sosta, in alto da sin. la Torre e la Creta Livia

In salita nel canale

Il tiro di corda chiave della salita

Il Gatto e la Volpe in cima, Pinocchio fotografa

Clap Grande e Creton di Culzei

Discesa nel canalone di Pradibosco

Rioda 2046 m, due gite con le cjaspe

Costa di Rioda dalla Val Pesarina, 23 marzo 2011

Al solito ritrovo del mercoledì nei pressi di piazzale Chiavris i dipendenti dell’INPS ed enti analoghi partecipanti alla gita sono ben cinque, e la somma totale dei loro anni arriva quasi a tre secoli e mezzo, ma sembrano ragazzini mentre stipano alacremente le masserizie (e loro stessi) in un’unica vettura e se ne partono con meta la val Pesarina e più precisamente al Pian di Casa, 1242 m, punto di partenza per il rifugio De Gasperi al Clap Piccolo. Ivi giunti proseguono per un paio di centinaio di metri e abbandonano l’auto: dopo un breve percorso in discesa ai margini della pista di fondo arrivano alla casera Tamarut dove inizia il sentiero che intendono percorrere. Ai margini del bosco c’è un enorme cumulo di neve: una valanga caduta con l’ultima recente sciroccata. Partono quindi in varie direzioni alla ricerca di un segnavia che viene rintracciato aggirando la slavina e cominciano a salire nella pecceta su neve dura. Dopo un breve tratto sono costretti a attraversare il canale collettore dov’è precipitata la massa nevosa, perdono e ritrovano il sentiero varie volte e il terreno si fa piuttosto ripido tanto che sono costretti a usare i ramponi, riattraversano la slavina poi la pendenza diminuisce e il bianco manto si smolla al sole ed essi, da previdenti quali sono ripongono i ferri da piede per mettere le ciaspe che sprofondano anch’esse nella neve non trasformata. Intanto il sentiero si è misteriosamente dileguato e la casera Rioda si deve essere nascosta da qualche altra parte. Però notano sulla loro destra una specie di cupolone che sembra accessibile lungo una dorsale poco ripida e galvanizzati ripartono verso questa. Quando ci arrivano il mistero si rivela, oltre a notare le numerose valanghe precipitate su tutti i versanti, scoprono che la casera si trova in una valletta al di là e più in basso di dove si trovano, e al di sopra di essa la ormai inacessibile meta della salita: il Monte Rioda. Mettono mano alla carta constatando che il crestone ha un nome, trattasi della Cresta di Rioda, di un centinaio di metri più bassa che si collega al monte omonimo con un arco di cerchio scendendo prima a una forcella (Rioda anch’essa).
Quando arrivano sulla cimetta si ritengono appagati, si mettono a prendere il sole in maniche corte godendosi la magnifica giornata. Il rientro lo fanno più o meno lungo lo stesso itinerario, con la trafila inversa, ciaspe-ramponi-solo scarpone, rientrando (salvo uno con un graffio all’avambraccio) illesi al Pian di Casa, dove festeggiano con una pasta Carnica (Salsiccia, funghi, ricotta) e adeguate bevande.

La Costa di Rioda dalla val Pesarina

Monte Rioda da Sauris, 30 marzo 2011

Non mi piace lasciare cose incompiute e il mercoledi seguente con gli stessi concorrenti decidiamo di riprovarci da un altro versante più breve e solatio, quindi ci rechiamo a Sauris di Sopra 1400 m.
Su stradina innevata ma sulle tracce di ignoti predecessori arriviamo alla forcella Festons a 1860 m di quota, ora disdegnando la bella traccia battuta che sale a destra alla croce del Morgenleit seguiamo sul lato opposto una pista lasciata da uno scialpinista che su neve dura ci porta in breve al monte Festons. Qui finisce la pista ma ci appare intonsa la nostra lunga cresta nevosa. Non ci facciamo intimorire dalle slavine cadute dai due lati della dorsale stessa e proseguiamo rigorosamente sul filo superando faticosamente tutti gli innumerevoli risalti che la costituiscono fino alla cima dell’ Oberkovel. Nel frattempo siamo costretti a calzare le ciaspole e con un ultimo traverso arriviamo infine al desiato Rioda (tre cime in un colpo solo, ottimo risultato per un collezionista come il sottoscritto). Giornata con qualche innocua nuvoletta primaverile ma con uno strepitoso paesaggio. In cima i compagni, sicuri della vittoria, estraggono il necessario per un brindisi, si può anche scegliere fra bianco e rosso. Per la discesa, non volendo rifare i saliscendi dell’andata, ci caliamo verso sud con l’intenzione di attraversare in piano sotto la cresta fino alla stradina, finendo immancabilmente nei soliti casini. Ci arrestiamo infatti sull’orlo della frana che interrompe frequentemente la strada fra Sauris e casera Razzo. Bisogna risalire. A tale notizia un partecipante viene colto da atroci crampi intestinali e si apparta dietro un piccolo larice, dopo questo breve intervallo ripartiamo verso la cresta e le nostre tracce. Dopo lunghe sofferenze, quando riguadagnamo la cima del Festons, dalla quale è tutta discesa, l’indisposto estrae una bottiglia di cabernet religiosamente conservata, che siamo costretti a consumare per alleggerigli lo zaino. Il resto della gita non merita menzione, per il percorso sette ore soste comprese.

La cresta Festons- Oberkovel-Rioda

Ancora sulla cresta

Sulla cresta

La vetta del sospirato monte

Bivera e Clapsavon

Discesa... in salita

Sauris di Sopra