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Cristallino di Misurina 2775 m, un’invernale

L’inverno è stato poco propizio per gli sciatori ma per gli amanti del ravano sulla neve è stata un’ottima annata vista la scarsa nevosità. Siamo oramai alle ultime battute e decidiamo per una trasferta in Dolomiti in quel di Misurina. Due soli partecipanti, ho con me il solito Maurin. La meta, che d’estate viene raggiunta scarse volte percorrendo un vecchio sentiero militare ci sembra abbastanza accessibile. Dopo qualche incertezza all’inizio rintracciamo il sentiero (alle spalle degli alberghi che si affacciano sul lago) che porta all’abbandonato da parecchi decenni rifugio Popera, situato su un bellissimo ripiano a est delle cime più alte del gruppo, dove arriviamo giusto in tempo di mettere in fuga un gruppo di camosci che si godevano il sole sui ghiaioni. La giornata è fredda e ventosa ma la neve ghiacciata ci impone subito i ramponi. La nostra destinazione ci appare a destra, con il canale nevoso obbligatoriamente da percorrere prima dei pendii sommitali. E’ molto ripido e saliamo con le dovute cautele, al suo sbocco siamo indecisi sulla direzione da prendere, non si capisce dove sia la cima. Arrivati in cresta la seguiamo verso destra dove vediamo una non lontana croce di vetta e finamente ci arriviamo, è fatta con le assi recuperate dalle baracche del 15-18. Non siamo stati dei fulmini, quattro ore per la salita (ci metteremo tre in discesa), ma l’importante su questi scivoli ghiacciati è non sbagliare. La giornata molto bella in basso si guasta rovinandoci così il panorama verso N con la Croda Rossa e le Dolomiti di Sesto che si riesce solo a intravedere. Per la discesa non ci resta altro che ripercorrere le nostre tracce.

I resti del rifugio PopenaIl Sorapis dal ex rifugio

Camosci al galoppo

Il Cristallino di Misurina (la cima è sulla verticale del rif.)

Il canale nevoso della salita

In salita nel canaleVerso la cima, alle spalle spunta l

Sulla cresta finale

Dalla cima vista su Piz Popena e Cristallo

Verso le Dolomiti di Sesto

Javorscek 1555 m – Gruppo del Monte Nero


Fiorirura di Elleboro esagerata  Una delle frane del Rio Slatenik  Nel rio Slatenik Kal Coritenza e il Rombon  Sulla riva dellIl primo tentativo a questa boscosa cima lo facciamo da Oltresonzia, paesino che si raggiunge da Plezzo scendendo a varcare l’Isonzo e proseguendo un riva sinistra su strada bianca fino a uno slargo vicino a un altro ponte dove si lascia l’auto. Si incomincia a salire dapprima per stradina che ben presto si trasforma in sentiero che corre alto sul rio Slatenik. E’ una giornata umida e nebbiosa e pur in mancanza di segnavie proseguiamo abbastanza tranquillamente fino a arrivare ai margini di frana di una specie di fino terriccio nero come il carbone. La attraversiamo facendoci la traccia e trovando al di là di nuovo al nostro sentierino. Andiamo avanti e incontriamo di un’altra frana un pò più larga e la superiamo come altre di dimensioni minori ma a una svolta una sorpresa ci attende: quella che abbiamo davanti è molto larga e scoscesa e il torrente ci attende impetuoso là sotto. Decidiamo di aggirarla al di sopra nel bosco su terreno che si rivela piuttosto ripido e scivoloso perdendo parecchio tempo; al di là ritroviamo il sentiero che ci conduce a dei fienili ormai abbandonati da decenni e qui, complici la neve, le erbe alte e la nebbia perdiamo la traccia definitivamente finendo nel greto del torrente che seguiamo per un pò. Poi decidiamo di battere in ritirata, finora non ho mai bivaccato e non vorrei iniziare ora che gli acciacchi della vecchiaia cominciano a farsi sentire. La domenica seguente ci riproviamo da Kal Coritenza. Tempo splendente, lasciamo l’auto al monumento di fronte alla gostilna e su sentiero segnalato scendiamo all’Isonzo che si passa su una pittoresca passerella e in una fitta  faggeta saliamo all’abbandonata malga Golobar e alla sella Cez Utro soprastante su neve dura da ramponi. La cima è a destra e ci si arriva per una dorsale alberata con molti resti bellici (qui correva la linea austroungarica), senza sentiero ma intuitiva. La cima è libera da vegetazione e il panorama sulle Giulie è vastissimo. Purtroppo la pila della reflex ha reso l’anima già alla passerella, tanto che quest’anno ci ritorno assieme a due compaesani anche per completare la documentazione foto. Tempo bello e poca neve ma dura. Sotto la cima assistiamo alla fuga di due camosci sul ripidissimo versante SE, ora che accendo la digitale spariscono. Salita facile ma faticosa (1200 m il dislivello). Marzo 2008, marzo 2011.

Coritenza

La passerella sul più bel fiume del mondo, l

Fioritura di elleboriFioritura precoce

La fitta faggeta

Il monte Javorscek dalla ex Planina Golobar

Faggi contorti sulla dorsale

Sulla dorsale. a cercare rogne sull

Lipnik e vallone dei Caprioli dall

In cima con le Giulie Orientali dal Grintavec al Tricorno

Il gruppo del Canin

Il gruppo del Monte Nero

Postazione di mitragliatrice in galleria

Croda Bianca, Ciarido, Ciastelin

…e il sole calante le aguglie
tinga a le pallide dolomiti
sì che di rosa nel cheto vespro
le Marmarole care al Vecellio
rifulgan, palagio di sogni,
eliso di spiriti e fate…

                                                                                                              Giosuè Carducci, Cadore

Le Marmarole da SO

Croda Bianca 2841 m, spigolo SE (Via Fanton)

Il Pian dei Buoi, altopiano ondulato a circa 1600 m di quota è raggiungibile da Domegge per una stretta rotabile a senso unico alternato, al mattino si sale, il pomeriggio si scende. Magnifico punto panoramico sulle dolomiti d’oltre Piave, di Sesto, Antelao e Carniche è servito anche da ben tre Rifugi, il Marmarole, il Ciareido e il Bajon.
Che la giornata sarebbe stata leggermente complicata l’avevo capito già dal mattino: la moglie del mio compagno che avrebbe dovuto fare da turista mentre noi saremmo andati a fare la via della parete S di quarto grado, quando arriviamo- in un tempo da qualifica- sopra Ampezzo, ci costringe a fare una sosta tecnica per rendere ai prati il pranzo del giorno precedente. La seconda manche, fino a Domegge registra solo una media da gara e al posto tappa rinuncia alla cena, saliamo poi al rifugio Bajon con passo più regolare e viene ivi abbandonata senza più niente da dare ma piuttosto pallida. Nell’avvicinamento alla parete ci perdiamo di vista tra le fitte mugaie e quando alla fine ci ritroviamo si è fatto tardi per incominciare la via che è piuttosto lunga. Il mio socio se ne va alla ricerca della consorte che aveva come destinazione il rifugio Chiggiato, il sottoscritto invece prosegue verso forcella Peronat, un roccioso intaglio a E della Croda. Qui arrivato noto una cengia rocciosa che sale verso lo spigolo SE e dopo un veloce consulto al Berti che parla di secondo grado decido di andare a vedere. Abbandono lo zaino,  parto e senza difficoltà arrivo sulla cresta dove incontro un bollino: è pure segnalata. Incomincio a arrampicare su roccia solida piuttosto rapidamente. L’arrivo in vetta è emozionante e quasi sono commosso: sono su una delle grandi montagne del gruppo. Non c’è in vista anima viva, la giornata è limpida e sono circondato da un’infinità di vette. Per la discesa la scelta è obbligata, devo recuperare le mie masserizie in forcella e torno sui miei passi.Quando arrivo su terreno più verde e orizzontale, fermatomi a una fontana per chetare la sete, sperimento tutte le delizie dei crampi alle gambe. Poco dopo entro trionfante al rifugio Bajon dove non c’è alcuna traccia dei miei passeggeri che si fanno aspettare ancora un paio d’orette. Mentre io correvo la coppia pascolava per sentieri tranquillamente. Tuttavia quel giorno trascorso è stato per me molto importante perchè mi ha confermato che avrei potuto diventare da uomo di pianura un montanaro.

Il rifugio Casera Bajon

FiorituraMonte Ciarido 2504 m, via normale

La seconda cronoscalata Domegge-Rifugio Bajon ci vede ancora protagonisti a bordo della mitica landinetta,  dal nome del monocilindrico trattore degli anni ’50, una 127D familiare. Handicappati dalla minor potenza del mezzo e da due pit stop per un inconveniente meccanico allo scarico che a ogni grattata sullo sterrato si divide in due  trasformando l’ansimante ronzino in un bolide rombante pur senza guadagno di HP ci classifichiamo terzi (su tre partecipanti). Al ritorno serale invece il nostro pilota, dopato da robuste dosi di merlot esprime tutte le sue doti funanboliche e non ha rivali, mentre il panico dilaga nel navigatore e fra i passeggeri.
Veniamo ora alla nostra salita, i cui partecipanti sono ben undici, quasi una gita sociale ma solo nove  calcheranno la cima. Il tempo infatti è pessimo e nere nuvole gravano su di noi, i decisionisti prevalgono e dopo una breve sosta al rifugio abbandoniamo i due rinunciatari e ci avviamo verso le crode. Siamo a E della Croda Bianca, dove si elevano ancora parecchie cime di un trecento metri più basse ma non per questo meno ardite e frastagliate: il sottogruppo del Ciastelin. Non so come ma riusciamo a trovare nella nebbia la via comune da sud, una salita di primo grado per roccette e canalini molto simpatica e resa più impegnativa perchè a tratti sporca di neve fresca, tanto che nel caminetto finale piazziamo un pezzo di corda per aiutare i meno pratici di queste faccende. In cima un previdente estrae una bottiglia di bianco dallo zaino con cui celebriamo la giornata.

Spalti e Monfalconi

La salita 1Monte Ciastelin 2570 m – Torre Ciastelin 2602 m, vie normali

In una bellissima(a valle) giornata estiva saliamo ancora al Pian dei Buoi. Tutte le cime sono nascoste da un grigio e compatto nebbione. Uno dei pretendenti alla Torre Ciastelin dichiara che resterà a oziare/gozzovigliare al Bajon, il gruppo dei sette ravanatori rimanenti parte e incomincia a vagare nel grigiore e arriva comunque in cima a un monte che guarda caso è il monte Ciastelin e non il Campanile. Siamo piuttosto contrariati ma insomma qualcosa abbiamo combinato ugualmente e dopo la obbligata sosta ripartiamo verso lidi migliori. Una improvvisa schiarita ci presenta attraente il nostro campanile e prima che la nebbia si infittisca di nuovo  riusciamo a individuarne la via di salita aperta dai fratelli Fanton, un ripido canale con passi di II. Che fare? Dopo un consulto altri tre partecipanti dichiarano di essere appagati, i quattro rimanenti più assatanati decidono di prendere due piccioni con una sola fava e riprendono la salita. Con passaggi anche aerei su dolomia piuttosto solida arrivano a meritare anche la seconda vetta, godendo anche del bel panorama quando  improvvisi squarci si aprono su crode vicine e lontane.

Il Campanile Ciastelin1987-1993-1998

Monte Teverone, concatenamento della cima di Valars e Busa Secca

marzo 13, 2011 2 commenti

Col Nudo e Teverone a sx innevati, la salita percorre il canalone centrale

Del gruppo del Col Nudo-Cavallo avevo salito negli anni pressochè tutte le cime principali e molte anche di quelle secondarie grazie alla vicinanza e comodità dei punti di partenza dai varii versanti, ovvero la Val Cellina, l’Alpago e la pedemontana fra Montereale e Aviano. Purtroppo rimaneva una sola fastidiosa ma importante lacuna nella mia collezione e inferiore come quota solo al Col Nudo questa trifida montagna.
Vi ho posto rimedio lo scorso ottobre. Con altri due volontari partiamo per l’anfiteatro alpagoto fino al paesello di Montanes e oltre fino alla località di Degnona raggiunta da una stretta rotabile, da dove inizia il sentiero segnalato che ci condurrà, speriamo, alla nostra meta. La cresta sommitale è in realtà composta da tre vette: il Lastramor è la più bassa a Ovest e richiede una salita indipendente e la immeritatamente trascureremo mentre la  centrale, a nome Cima di Valars è la più alta, 2345 m, e quella S, Cima di Busa Secca che quota 2328 m sono vicine e concatenabili. Le condizioni meteo non sono accattivanti e il cielo sopra di noi è plumbeo tanto che il terzetto  si riduce subito a una coppia. Ia salita inizia subito rapidamente e quando entriamo nel bosco a destra anche fangosamente ma migliora quando saliamo una pala erbosa molto ripida dove è stata intagliato un sentierino nella roccia che ci conduce a un intaglio da dove possiamo ammirare, per quanto consentito dalla nebbia che è calata, il ripido canalone che ci darà la direttiva della salita. Ci entriamo e faticosamente,  cercando di sfruttare i tratti più erbosi ma senza perdere di vista i radi segnavia lo superiamo arrivando alla base delle rocce. Qui la traccia svolta a sinistra in un mondo più roccioso ma a consolazione improvvisamente ci appare l’azzurro del cielo, la forcella fra le due cime con due persone che procedono piuttosto lentamente. Mi accorgo del lavoro che stanno facendo: appoggiando la mano su un segnavia, la ritiro verniciata rossa e bianca, sono due laboriosi indigeni che stanno risegnalando il percorso e li raggiugiamo nei pressi della forcella. Dalla forcella con aereo percorso su crestina a destra arriviamo sulla cima più bassa, la più comunemente salita, dove troviamo una croce ma anche il praticello ricoperto di puzzolenti pallini scuri, dev’essere passato di qua un intero gregge di pecore. Ripercorriamo i nostri passi sino all’intaglio e partiamo per la Cima di Valars, più impegnativa e esposta e poco segnalata dove l’amico si schiaccia un pisolino. Un mare di nuvole è sotto di noi e emergono quali immense isole tutte le montagne più elevate. La discesa si compie con lo stesso percorso, all’inizio piuttosto cautamente. Gita di circa 1100 metri di dislivello, quindi piuttosto faticosa.


Una immagine pastorale dellOttobre 2010

Tofana di Dentro 3238 m, un’invernale sfortunata

La salita: via normale, Dimai-Grohmann, 1865

Le tre cime principali di questo gruppo di monti si elevano possenti e massicce sopra Cortina d’Ampezzo. La più interessante alpinisticamente è la Tofana di Rozes con la sua grandiosa parete S, la famosa via ferrata e la bella via normale dal rifugio Giussani, la più alta, quella di Mezzo è stata in anni addietro valorizzata e rovinata da una funivia che arriva quasi in cima. La nostra cima, di soli sei metri più bassa, è la più appartata delle tre ed è anche la meno frequentata anche se ha una via comune facile e senza attrezzature.  Nonostante la quota molto elevata e approfittando della funivia che arriva comodamente a Ra Valles, 2470 m, ne riteniamo la salita possibile d’inverno attendendo condizioni nevose sicure, e questo avviene un 31 gennaio di parecchi anni fa. Da Cortina sbarchiamo dalla nostra cabina alle 9 e 30 sotto gli sguardi stupiti dei pochi discesisti e subito ci avviamo verso destra per facili nevai alla volta del ricovero Formenton, un resto del primo conflitto mondiale. Da questo ci affacciamo al ripido canale nevoso che sale verso la cresta NE (in estate sentierino fino ad essa), ora invece, dopo esserci attrezzati con picca e ramponi lo saliamo tutto. Alla fine della neve troviamo una paretina di rocce rosse e friabili che superiamo con grande delicatezza e qualche apprensione. Ora siamo a cavallo della cresta, esposta a sinistra sulla val Travenanzes e a destra sulle pareti  che precipitano verso Ra Valles. Il percorso è ben visibile fino alla vetta, interrotto un paio di volte da qualche modesto rilievo roccioso che si supera solo un risalto viene aggirato verso N, ma la neve è buona e il dislivello non è poi molto: siamo a quasi 3000 m d’altezza e la giornata se pur fredda è dal punto di vista paesaggistico veramente eccezionale: dalle Giulie, alle alte creste di confine con l’Austria, praticamente tutte le Dolomiti. Arriviamo dunque in cima alle due del pomeriggio. Una piccola croce in legno e legata con reticolato ricavati da resti bellici la segnala, dopo una breve sosta  bisogna ridiscendere alla svelta, la funivia non aspetta.

Tofana di Mezzo e di Dentro(a sin.) da CortinaCon tutta la prudenza necessaria ripercorriamo le nostre tracce rendendoci meglio conto dei precipizi che ci circondano e arriviamo all’intaglio, scendiamo cautamente il saltino roccioso a riprendere il canalone. Lo discendiamo fino a dove mancano pochi metri per il traverso che ci condurrebbe alle vecchie costruzioni quando il compagno che mi affianca improvvisamente comincia a scivolare verso il basso senza riuscire a fermarsi e facendo un paio di salti su dei massi ricoperti di neve arriva fino in fondo al canalone. Attendo gli altri due che erano rimasti leggermente indietro e ci caliamo tutti assieme. L’infortunato è cosciente e ha ancora le gambe buone, dobbiamo decidere sul da farsi, l’era del telefonino deve ancora arrivare. Spediamo il più giovane (e figlio del ferito) alla stazione della funivia a chiamare il soccorso, mentre noi aiutiamo l’amico a rialzarsi e sorreggendolo ci avviamo lentamente quanto faticosamente verso la stessa destinazione, non ci sembra il caso di stare fermi con il freddo che fa. Dopo un tempo che ci sembra lunghissimo il ragazzo ritorna e subito dopo avvertiamo il rombo dell’elicottero che carica il malcapitato con destinazione Istituto Codevilla in loco, ma non solo, torna subito indietro per portare i tre rimasti che si avviavano stancamente alla funivia a piedi volando alla stessa e con il viaggio di servizio tornano a valle. Piuttosto abbacchiati ci rechiamo all’ospedale: la prognosi è di un paio di fratture agli arti superiori che lo costringeranno per un pò a fare la pipì in compagnia delle giovani infermiere del nosocomio. Nonostante questo, appena levato il gesso riprende con la montagna che frequenta felicemente tuttora.

Cortina e le sue montagne

Sulla cresta di ritorno

In discesa

Il salto di rocce in discesa

La Croda Rossa al tramonto