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Archive for febbraio 2011

Cima Piccola di Lavaredo 2857 m, via Helversen e Spigolo Giallo (via Comici)

febbraio 18, 2011 Lascia un commento

Come eravamo nellQuando nel lontano 1982 vidi per la prima volta le Tre Cime facendone il facile periplo in tranquilla compagnia e ammirai le evoluzioni di una cordata di alieni sullo Spigolo Giallo mai avrei pensato che qualche anno dopo li avrei imitati e parafrasando Innerkofler, il futuro primo salitore della Piccola che rispose a una domanda di Kugy e dei fratelli Zsigmondy – di ritorno dalla Grande- sulla possibilità di scalare la Cima Piccola con la famosa risposta “Sì, se si avesse le ali!”,  avrei detto se mi ci porta l’elicottero! Feci in seguito qualche progresso e ebbi la fortuna di arrivare sulla cima di tutta la fantastica triade, la Ovest, la Grande, la Piccola e anche sulla Piccolissima come straordinario.

La via Helversen

Nel canale a SudLa via chiamata Helversen in realtà fu aperta dai fratelli Sepp e Veit Innerkofler che vi accompagnarono il detto dottore nel 1890  fu la prima della parete N ed è un pò passata di moda. Il primo tratto è il più facile, ma è frequente trovarci della neve oltre a roccette piuttosto friabili, mentre la parte superiore è su roccia molto solida, per camini fessure e pareti con difficoltà fino al quarto superiore. Avevamo studiato bene la lezioncina quando decidemmo di affrontare l’onerosa trasferta sia per la distanza che per il pedaggio della strada da Misurina al rifugio Auronzo. Onde evitare di attaccare a Nord con il freddo della mattina pensammo di fare un collage di vie, partendo da S per la via della parete Est di Witzenmann e compagni che da S arriva alla sella della parete N (Con la Punta di Frida), indi traversare a Nord e tornare alla nostra salita rendendo anche il percorso più omogeneo come difficoltà. Lasciammo la stradina che costeggia a sud i ghiaioni che scendono dalle Tre Cime, percorso da una moltitudine di persone, e ci portammo all’attacco dello Spigolo Comici dove con grande sorpresa ci toccò disciplinatamente fare la coda. Arrivato finalmente il nostro turno in breve abbandonammo la folla e con un bel traverso su una esile cengia verso destra ci portammo alla rientranza verticale fra le due cime, di roccia molto solida e levigata dall’acqua, attrezzata anche come via di discesa a doppie di cinquanta metri. Dalla forcella  si traversò camminando su ghiaie fino ai nostri camini per renderci conto che gli apritori se la erano cavata molto bene all’epoca visto che anche con i materiali moderni trovammo la salita molto impegnativa. Fra l’altro godemmo della salita in perfetta solitudine che dall’attacco della Comici in cima oltre a noi non c’era anima viva. La discesa si effettua a S nei pressi della via comune  tutta a corde doppie sugli ancoraggi in loco e scegliendo a ghiribizzo se farle da 25 o da 50 metri.

 

Lo Spigolo Giallo
Il Sorapis dal lago di Misurina

I Cadini di MisurinaUn paio d’anni dopo due giovani e forti scalatori mi invitano a fare una salita in veste di terzo incomodo fra di loro, senza definire bene la loro proposta. Si parte il sabato pomeriggio e dopo aver cenato a Auronzo ci trasferiamo a Cortina e poi dalla strada del passo Falzarego prendiamo la stradina per il rifugio Dibona e obbligano il povero vecchio, nonostante le sue rimostranze, non a passare la notte nell’accogliente e dotato ogni conforto suddetto rifugio, ma in un lurido edificio abbandonato detto Albergo Trieste, ricovero per roditori e alpinisti squattrinati, con materassino e sacco a pelo. Passata malamente la notte il mattino seguente è bellissimo ma le alte cime sovrastanti sono imbiancate dalla prima neve e scartate altre opzioni decidono di ripiegare (loro!) sulla salita del mitico Spigolo Giallo, la via verticalissima aperta da Comici nel 1933 assieme a Zanutti e alla Mary Varale, di quota più bassa, ma che ha comunque dei passaggi di VI grado. Ripercorriamo per strade semideserte (siamo a Settembre) le strade per  Passo Tre Croci, Misurina e su all’Auronzo con una sportiva guida da qualifica di formula uno e conseguenti ansie del sottoscritto. Viste le condizioni climatiche in giro ci sono pochissime persone e la coda presente all’attacco che ricordavo dalla salita precedente non esiste. I patti sono questi: i due forti si alterneranno al comando e lo scarso seguirà, spero solo di non farmi tirare su di peso. La salita è molto faticosa, ma ce la faccio al pelo, solo concedendomi qualche aiutino su alcuni chiodi. Arrivati sulla spalla, manca solo il camino finale da superare per la vetta, che i due si rifiutano di raggiungere, tanto è solo di IV , quindi ridiscendiamo incolumi alla base.


1990-1992

Pic Cjadin 2302 m – un’uscita con scialpinisti e ciaspolatori

febbraio 15, 2011 Lascia un commento

Devo confessare che non sono un grande appassionato delle cjaspe, preferisco a queste e ai relativi bastoncini i più agili e sicuri picozza e ramponi, tanto che a tutt’oggi in questo inverno le ho adoperate una volta sola,  tuttavia in certe occasioni sono utili per andare a godersi l’ambiente della montagna innevata naturalmente su pendenze modeste. Nel venerdì notte precedente a questa uscita in pianura erano caduti ben 25 cm di neve e quando mi è stata proposta questa meta ero piuttosto perplesso riguardo alle condizioni stradali: ricordo ancora con terrore la scalata del Coglians invernale, la vecchia Astra arrivò baldanzosa fino all’ ultima rampetta prima del rifugioTolazzi,poi si rifiutò di proseguire, retrocendo fino da Canobio, nonostante tutti i  miei disperati tentativi di farle cambiare idea, prima, retromarcia, freni, freno a mano, tutto inutile, meno male che le due profonde e ghiacciate tracce la guidarono evitandoci il salto nel rio Fulin.

Canale e Capolago dal rif. TolazziPic Cjadin

Sosta, in alto forc. Morareet

Il Pic CjadinLa compagnia è piuttosto eterogea: due auto con sei scialpinisti e due cjaspolatori. Con sorpresa già verso Osoppo non è caduto neanche un fiocco di neve e le campagne sono gialle e in montagna idem sì che arriviamo senza problemi a Collina e da Canobio dove parcheggiamo. Su questa cimetta scistosa, in estate utta verde di prati non ci ero mai stato, pur trovandosi poche decine di metri più in alto del sentiero che dal rif. Marinelli conduce verso la frequentatissima normale del Coglians, è quindi un’ottima occasione per incrementare di un’unità il mio carnet di salite. Il primo impatto con il clima esterno è micidiale che la temperatura è bassissima e sveltamente ci incamminiamo lungo la forestale ben battuta fino alla casera Morareet, qui calziamo le ciaspole proseguendo, finalmente al sole, la nostra cima ben in vista, verso il rifugio Marinelli. Notiamo degli scialpinisti sulla cresta, più mattinieri di noi. Fino al rifugio il tempo è bello, poi entriamo nella nebbia che è improvvisamente calata molto fitta, tanto che non si capisce se si vada in salita o in discesa, ci accorgiamo di aver raggiunto il culmine solo sull’orlo di pendii e precipizi che cadono su tutti i lati meno quello di salita. Rimandiamo a tempi migliori la consueta merenda, i compagni con gli sci trafficano con le pelli di foca e sveltamente ridiscendono, noi due più imbranati li inseguiamo a ritrovare la visibilità al rifugio. Dopo questo scendiamo senza tanti zig-zag direttamente lungo la linea di max pendenza e a metà strada mi si spezza un attacco delle racchette, levo anche l’altra e con sprofondamenti varii raggiungiamo la casera, per la legge di Murphy il nostro Cjadin risplende nuovamente al sole. I nostri amici ci attendono al Tolazzi dove ci aspetta il meritato ristoro, il mio giovine compagno si guadagna anche un principio di congelamento a un alluce.

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Alta via del CAI di Gemona

Era già più di un mese che l’amico Mauro detto Maurin mi scassava gli zebedei per andare a fare d’inverno questa temibile, per la lunghezza, traversata. Dopo vari tentennamenti, mi sono detto ora o mai più: è passato parecchio tempo dall’ultima nevicata, le previsioni danno bello stabile, il versante sud si è ripulito dal bianco manto e mi decido incautamente a assentire all’insana proposta, dal lontano inverno del 1988 non metto piede sul Cjampon, quando vi salii in solitaria lungo la rampa Est, un attraente scivolo di neve, se in condizioni buone, come trovai all’epoca. La via originale prevede la partenza da sopra Gemona e l’arrivo a Musi nell’alta valle del Torre, che scartiamo immediatamente per i problemi logistici che comporta per il recupero dell’auto:  decidiamo quindi di partire da E, con due auto di cui la prima viene lasciata a Cesaris e con l’altra si prosegue fino a Pers: partiamo alle sei e sono le sette quando alle prime luci ci incamminiamo alla volta del Foredor, la sella che divide Cjampon e Cuarnan, poi per la via normale arriviamo sul detto Cjampon dopo tre ore.

1 Verso forc. Foredor

Il primo sole arrossa il CjamponSono contento di aver portato i ramponi: le poche chiazze di neve che abbiamo incontrato in salita sono ghiacciate, il mio compagno li ha lasciati in auto, ma lui è come un felino, non cade mai. Nella salita facciamo un tratto assieme a un altro anziano (come me…) alpinista della bassa salito da Gemona, che conoscevo di vista e con cui parlo per un po’ delle comuni conoscenze e esperienze, poi lo lasciamo, la sua meta è la cima principale, la nostra è molto più in là. In cima facciamo una breve sosta poi ripartiamo, la cresta, in linea d’aria da qui alla forcella Dolina è lunga più di cinque Km, quindi ne abbiamo di strada da fare. Come previsto il versanti N sono innevati mentre quelli opposti puliti: il Maurino parte e subito si accorge che i ramponi erano necessari, la neve varia da dura a ghiacciata, estraiamo la picca riponendo gli ormai inutili bastoncini mentre io metto anche i ramponi procedendo abbastanza agevolmente sul filo nevoso, intanto il mio compagno sfoggia le sue già ben note doti di equilibrismo. La cresta è subito affilata e tortuosa con  innumerevoli risalti da attraversare, vergine di tracce quanto entusiasmante per l’ambiente e i panorami a giro di orizzonte, facciamo una breve sosta sul Faeit, la prima cima certificata, proseguiamo alla volta della seconda, l’Ambruseit senza difficoltà di rilievo, la discesa di quest’ultimo per roccette, prevede un ultimo saltino esposto dove troviamo tre  fittoni, con un resto di corda non più affidabile che non ci sentiamo di collaudare, e con il loro aiuto ci caliamo lasciando la nostra ben custodita nello zaino(tratto più impegnativo). Avanti alla volta della cima seguente, la Siroche Dolegne che ancora attraversiamo. Dopo questa si passa sotto la Siroche Gjaline, l’unica cima che viene trascurata dal percorso, dove si affronta disagevolmente una scivolosa discesa in versante sud fra arbusti di piccole ginestre senza una traccia definita; si risale alla cresta dal lato opposto, il Cuel di Lanis comincia a avvicinarsi, in un’ultima traverso incontriamo cinque metri di provvidenziale di cavo fisso. Il Maurin non è più lui e accusa qualche crampetto mentre le mie gambe pur notevolmente acciaiate tengono ancora. Arriviamo sotto il Cuel di Lanis difeso sul nostro versante da ripidissime pale erbose e ci chiediamo da dove diavolo dovremo salirlo, ma il percorso ci invita astutamente a S da dove la china è meno ripida e qui festeggiamo liquidando il mezzo litro di nero che al mio socio non manca mai nel sacco, tengo solo ancora due sorsi del mio tè di riserva. Altre sei ore.

7 Il Cjampon dalla cresta, andando verso il FaeitSu questa cima qualcuno ha messo piede di recente e scendiamo su tracce nei nevai a nord del Postoucicco fino al bivio con il sentiero che risale alla forcella Dolina, siamo praticamente cotti e ci tocca anche fare la traccia  nella neve ma alle quattro del pomeriggio ci arriviamo e diamo fondo agli ultimi liquidi rimasti prima di divallare nel ripido canalone, non senza aver riposto le picozze per fare un pò di nordic walking con i bastoni. Dopo questo incontriamo il sentiero per Cesaris che con innumerevoli tornanti e basse pendenze ci deposita al paese cremati alle sei di sera, non senza aver goduto di un magnifico tramonto. L’auto del Maurino giace oramai solitaria sulla piazzetta dell’ameno paesello, ma un’ultima sorpresa ci attende: le chiavi dell’auto sono scordate in quella parcheggiata a Pers, depositiamo gli zaini e il resto (la vecchia Tipo del mio compare rimane sempre aperta)  e partiamo rassegnati e assetati a prenderla, questi ultimi tre chilometri sono quanto ci vuole per rilassare i muscoli e in tre quarti d’ora ci siamo: ore 18.45. Al primo bar una birra per me, mezzo di minerale all’amico e i saluti, una telefonata per rassicurare i familiari e la storia finisce. 11ore e 45 minuti, domenica 6 febbraio 2011, e questi sono i festeggiamenti del XXIII anniversario, se pur con un mese di ritardo, del connubio alpinistico con il compagno odierno, conosciuto durante una storica salita del gennaio 1988 al Canin.

Retrospettiva sulla crestaUn breve commento: la stagione e il giorno sono stati scelti giustamente, con un maggiore innevamento la fatica, i problemi e i tempi sarebbero stati ben maggiori, in primavera e estate il caldo e l’incontro con amabili animaletti tipo vipere e zecche sono più che probabili, il tardo autunno forse sarebbe consigliabile. La via, salvo il detto, è libera da attrezzature e i segnavia o i paletti biancorossi guidano, nei rari casi in cui si abbandona il filo, intelligentemente al percorso migliore. Una volta iniziata la traversata eventuali vie di fuga non ce ne sono, come mancano punti di appoggio, discese lungo i ripidissimi versanti sud sono sconsigliabili, il versante opposto, più boscoso, dà sulla val Venzonassa…quindi le incognite sono troppe. E’ consigliabile quindi una partenza antelucana per disporre del tempo necessario per rimediare a eventuali disguidi.