Archivio

Archive for the ‘Prealpi Giulie Occ.’ Category

Musi q. 1866, due salite dalla Val di Mea

Maggio 23, 2013 2 commenti

Questa è l’unica cima della catena raggiunta da un sentiero segnato, il n. 737, il punto di partenza è un paio di km a monte di Tanataviele sulla strada per il passo di Tanamea a circa 700 m di quota dove conviene parcheggiare anche se una sterrata attraversa le ghiaie del torrente verso sinistra ma conviene non fidarsi troppo. La traccia ben evidente sale facile in ambiente molto pittoresco a destra la gola del rio Zalodra poi si traferisce sul lato opposto, si alza per canaloni fino alla spalla del M. Ruscie 1621 m, dove ha inizio il tratto impegnativo della salita, dapprima si sta sulla cresta, dove diventa impercorribile ci si sposta a destra in un canale prevalentemente erboso piuttosto ripido (e scivoloso se bagnato) che risale con l’aiuto di un cavo metallico, alla fine delle attrezzature facili rocce conducono alla bella cima.

3 novembre 1985

Siamo, come si vede dalla data, praticamente al Paeleolitico. La gita è stata cagione di qualche dissidio familiare, anche il giorno prima mi ero eclissato al sole dei monti, come ben si sa alpinista fa rima con egoista (forse questo l’avrò già detto) ma all’epoca ero proprio assatanato.  Con cinque amici di quei anni lontani arriviamo in vetta in tre ore e mezza senza ostacoli di rilievo a parte i resti di una spolverata di neve che contribuisce a creare una luce affascinante. Non ci sono alternative al rientro, bisogna farlo per la via di salita.

1 I Musi

2 La Valle del Torre

3 Il tratto finale

4 La Cima q. 1866

5 All'inizio della discesa

6 In discesa

7 Sosta con spuntino

8 Traversata del torrente Zalodra

9 Il selvaggio ambiente dei Musi

10 Colori autunnali a fondovalle

1 Maggio 1997

Vado o non vado? Alla fine parto da solo al pomeriggio e sono le tre quando incomincio a camminare, devo essere stato abbastanza allenato per arrivare alla vetta in due ore e un quarto, la via è pulita anche se in giro si vede parecchia neve, la giornata con qualche innocua nuvoletta è magnifica e fresca come si conviene alla stagione, mi fermo anche al nuovo bivacco dedicato a Brollo (Dino, mi pare) un alpinista gemonese recentemente scomparso e di utilità dubbia, anche oggi non si vede anima viva. Con la mezz’ora di sosta in cima  alle sette sono di nuovo alla macchina, attualmente si fa fatica a rispettare i tempi CAI.

11 Genziane

12 Il versante dove si sviluppa il sentiero 737

13 Torrette pinnacoli e barbacani

14 La cima q. 1866

15 Dalla Cima verso ENE, sotto il Canin il Veliki Rop, la cima più elevata della catena

16 La Cresta del Cjampon

17 Verso O lo sguardo spazia fino alle Dolomiti

18 Canin e Veliki Rop

19 Stratificazioni

20 Ritorno alle genziane

Categorie:Prealpi Giulie Occ. Tag:

Monte S. Martino 987 m – una gita spirituale ma anche enogastronomica

Due anni fa assieme all’amico BB e alla sua compagna mi sono aggregato alla gita di primavera del FAI condotta sapientemente da Renzo Paganello  rinunciando per una volta alla consueta lotta con l’alpe e pure alla fatica di trovare un itinerario possibilmente nuovo e rintracciarlo sul terreno. Il punto di ritrovo è sul piazzale della chiesa di Cepletischis poco a lato della strada per il Matajur da dove il gruppo piuttosto numeroso si avvia in discesa su una strada asfaltata che valica il torrente per risalire sull’altra riva fino al passo di S. Martino (fino a qui anche in auto) mentre il nostro mentore è prodigo di spiegazioni tanto sui resti militari che sulla vita degli antichi valligiani. Dalla sella una mulattiera si alza a sinistra su una placida dorsale nel bosco fra belle fioriture, esce a una radura per continuare poi sempre a manca sotto dei dirupi fino alla bella chiesa restaurata di San Martino, la rocciosa cimetta è poco più in alto e si raggiunge in pochi minuti. La discesa si sviluppa nel versante opposto, l’ambiente qui è abbastanza inselvatichito, ci sono solo pochi resti di antichi stavoli e fa un po’ di tristezza vedere tutto questo abbandono, all’inizio bisogna fare attenzione ai segni poi la traccia diviene più evidente e porta a un ponticello su un torrente da dove la vista si apre sulla bella borgata di Polava nota per il suo monastero buddista, meta finale del giro,  situato nel più vasto e ben ristrutturato edificio del paese. Qui il capogita ci ha prenotata una visita all’edificio di culto, fuori ci dà il benvenuto un’altare con bandierine di preghiera, per accedere invece all’interno ci si deve levare le scarpe, non ci sono sedie e ci accomodiamo più o meno scomodamente su dei cuscini e qualcuno pratico degli usi assume la posizione del loto (mi pare si chiami così), il responsabile del tempio cerca di spiegarci la filosofia Buddista abbastanza aliena dalla nostra mentalità, comunque la la sala sgargiante di colori è suggestiva, per di più qui soggiorna come ministro del culto un autentico Lama tibetano. Alla fine della visita i soliti raccomandati (due austriaci più lo scrivente con i suoi amici) vengono invitati nella casa che Renzo qui possiede, dopo i beni immateriali è il momento di pensare al corpo, due bottiglie di Cabernet con polenta e salame provvedono alla bisogna. Risaliamo su asfalto a Cepletischis, ai bordi della strada sono parcheggiati SUV e auto di grossa cilindrata presumibilmente appartenenti ai fedeli.

1 Cepletischis, il punto di partenza

2 La forra del torrente

3 La guida nell'espletamento delle sue funzioni

4 Fior di Stecco

5 Polmonaria

6 Campanellini

7 Pervinche

8 Tabella al passo

9 Il sentiero sulla dorsale

10 Fioritura di Crochi

11 La radura

12 La trattorabile sotto il versante roccioso

13 L'arrivo a San Martino

14 La Cima rocciosa

15 Con i due amici

16 Panorama velato sui borghi delle valli

17 Violis dal Mus

18 Elleboro

19 Discesa a Polava

20 Polava

21 Polava

22 Preparativi all'ingresso

23 Il Tempio

24 Il Lama, la Guida e BB

25 Tutto finisce a tarallucci e vino

Il Monte Testa Grande da Sud e da Nord

Dopo tutti questi anni devo confessare che nella prima salita probabilmente mi solo limitato alla cima più occidentale della lunga cresta del Gran Monte, il Mali Varh di  1466 m. Da Micottis, frazione di Lusevera alle falde della catena, circa 500 m di quota non c’è un sentiero segnato e quelli che portavano ai pascoli sono abbandonati da molto tempo, quindi si sale ad occhio dapprima nel rado bosco poi per pendii erbosi poco inclinati che ben presto diventano di neve. Quasi mi dispiace lasciare la mia traccia sul manto incontaminato, sulla cresta la neve lavorata del vento è uno spettacolo, la giornata offre tutta la nitidezza di uno splendido febbraio. Mille metri il dislivello, da solo.

 Il Cuarnan da sopra Micottis

 Testa Grande e Monte Briniza

 Pendii nevosi

 Dalla facile cresta vista sul Canin

 La catena dei Musi

 A O Cuarnan, Cjampon, la pianura e il Cavallo-ColNudo

 Neve ventata

 Le creste del Plauris

Al secondo tornante dopo le sorgenti del Torre (siamo sulla strada che dalla valle del Torre sale al Passo di Tanamea) a ben 570 m si trova l’inizio innevato dell’ampia mulattiera, la tabella con le indicazioni ci informa che il numero CAI è il 710, . Il compagno è l’amico Nino scomparso ormai da parecchi anni, che dispone delle tecnologiche racchette di corda della naja. Fa bene, dopo essere passati dalla Chiestta di Sant’Anna e dal villaggio alpino Crisalizza  il sentiero scompare sotto il profondo manto nevoso e devo cedere il passo al compagno con le cjaspe, d’altronde  siamo a nord nella prima settimana di Marzo. Arrancando penosamente ma con logica alpinistica  ci dirigiamo verso la sovrastante dorsale che seguita verso  sinistra ci conduce alla Testa Grante 1556 m, questa volta non ci sono dubbi, c’è anche il bastone di vetta. Tre ore e mezza dalla partenza. In discesa seguiamo le nostre tracce nel primo tratto poi optiamo per la discesa più diretta che passa dalle Casere Cripizza che sempre con il segnavia  710 ci riporta all’asfalto quasi due chilometri a monte dell’auto.

 La Chiesetta di S.Anna

 Mulattiera nel bosco

 Il villaggio Crisalizza

 Il versante N del Gran Monte

 Verso la cresta

 Arrancando nella neve fresca

 Dalla Cima panorama sui Musi

 Dal bastone di vetta Cuarnan e Cjampon

 La cresta del Gran Monte e il Canin

 In discesa

Musi, la cresta fra casera Nischiuarch e la Bocchetta di Zaiaur

La scelta delle gite si fa sempre più complessa e per di più viene quasi sempre rimandata all’ora della partenza, con l’aggravante della sempre più scarsa propensione a uscire dal letto in ore antelucane nelle gelide mattine invernali come pure quella di andare a imbarcarsi in grandi imprese. Per questo ultimo giro del 2012 (siamo arrivati al 30 dicembre) propongo ai soliti compagni Ermanno Gigi e Maurin questa cresta che avevo notato dallo Zaiaur qualche anno fa riponendola poi nel cassetto dei progetti. Niente cime blasonate su questa dorsale lunga in linea d’aria circa tre km, le svariate elevazioni non hanno neanche un nome sulla carta ma solo la quota, il punto di partenza, è il parcheggio prima del ponte sul Riobianco m 826 poco oltre il passo di Tanamea sulla strada che da Tarcento sale a Uccea. Qui ci sbrighiamo a partire, il luogo in ombra e al gelo non ammette indugi, il sentiero segnalato comincia oltre il ponte a sinistra inoltrandosi nel bosco di faggi (oggi ne vedremo una quantità), poco più in alto con il sole tutto diventa più accattivante, ci sono solo un paio di contropendenze per evitare dei dirupi ma alle casere Nischiuarch si arriva comodamente senza pestare neve, e siamo a 1182 m d’altezza, una sosta è d’obbligo, ci sono pure delle panche. Poco sopra a Est si trova il monte omonimo che per oggi non c’interessa, ci avviamo per un paio di tornanti sulla mulattiera diretta a S. Anna di Carnizza fino alla sella sovrastante dove a O attacca il crestone, all’ inizio come larga dorsale alberata (e innevata), dove si restringe il groviglio dei tormentati faggi ci obbliga allo spostamento in versante Nord, la neve diventa dura ma non richiede attrezzi anche se il terreno è abbastanza ripido, ci sono anche dei radi segni sugli alberi e in breve conquistiamo il primo cimotto, m 1339 m, da qui in poi il nostro itinerario segue fedelmente la cresta con a volte dei brevi spostamenti sui ripidi erbai a Sud. Dopo la seconda elevazione 1417 m, perdiamo un compagno che divalla a meridione seguendo una esile traccia che dovrebbe dirigersi ai ruderi di una casera sottostante, il che ci mette in apprensione. Ora che la cresta è spoglia di vegetazione la vista si amplia anche verso le Alpi Carniche, e saliamo in successione le altre quote, 1384, 1517, 1468, di nuovo 1517, 1554 e 1608 fra le quali ogni volta occorre calarsi, ma di poco, alle forcellette intermedie, a volte il percorso richiede un poca di attenzione. Una crestina innevata ci porta all’ultima di esse, per salire la cima di m 1658, la più elevata vedo il Mauro, che fa da apripista, porre mano alla piccozza, difatti la pur poca neve è ghiacciata, sarebbero più comodi i ramponi, ma mettersi a trafficare sul pendio è poco salutare. La vetta è stata visitata salendo dalla sottostante Bocchetta di Zaiaur, anche sulla cima di questo avevamo notato delle presenze. Ora non ci sono più problemi, scendiamo in forcella poi ci lasciamo scivolare verso valle. La mulattiera ha un paio di risalite, alla prima mi viene il crampo classico all’interno coscia destra, al secondo sul lato opposto, poi per fortuna è tutta discesa. Siamo in pensiero per il dissidente, ma ci aspetta semicongelato al parcheggio, la bottiglia di bianco in auto è a temperatura ideale, ci inzuppiamo la pinza del Mauro, un altro paio di soste ci allena lo stomaco per capodanno.

1 Il sentiero per la casera

2 Casera Nischiuarch

3 Sosta alla casera

4 L'inizio è su una docile dorsale

5 La prima quota è alberata

6 Gli amici sulla prima cima senza alberi

7 Lo Zaiaur e il restante tratto di cresta

8 Dal Peralba al Coglians, a sin. Sernio e Grauzaria

9 Una delle tante risalite

10 Pleonastico ometto in cresta

11 Vista sul Canin

12 Verso la penultima cima

13 Un momento della traversata

14 La cima più alta della cresta e lo Zaiaur

15 Calata all'ultima forcelletta della cresta

16 Ghiaccio per la risalita finale

17 Ultimi metri

18 In cima con l'amico Vigjut

19 Lo Zuc dal Boor

20 La bocchetta dello Zaiaur

21 La nostra cima da SO

Il Cadin dei Musi a San Silvestro

dicembre 28, 2012 2 commenti

Per chiudere in bellezza l’annata alpinistica ne sfruttiamo pure l’ultima  giornata, il tempo continua a essere splendido con un clima quasi primaverile e sui versanti Sud delle Prealpi non c’è traccia di neve, ai due storici compagni Ermanno e Maurizio si è aggiunto un biondo ragazzo omonimo del Santo odierno, la meta è la cima più occidentale dei Musi, il Cadin alto 1818 m. Punto di partenza della gita è Tanataviele 627 m, un borgo semi abbandonato a monte delle sorgenti del Torre, lasciata qui l’auto un sentiero segnato arriva dapprima a Plan di Tapou, un altopiano in passato a pascoli e fienili, ora del tutto rinselvatichito, a un bivio lasciamo a sinistra la traccia principale diretta a forcella Musi per proseguire verso Nord al valico della Stilizza, un intaglio da dove i valligiani si recavano in Val Resia. Il sentiero è stato riattato anche con la posa di qualche assicurazione e ci arriviamo senza problemi. La cresta E da percorrere ha un notevole sviluppo con qualche saliscendi è parzialmente innevata, ogni tanto si scende brevemente a Nord e la piccozza risulta necessaria ma il percorso è gradevolmente panoramico e in tre ore copriamo i 1200 m di dislivello che ci separano dalla vetta. In discesa, prima di arrivare alla Stilizza e per dare un po’ di condimento alla gita, adocchiamo un canale che ci sembra acconcio alla bisogna, lo imbocchiamo senza esitazioni e per le solite facili roccette miste a erbe verticali  in breve ci portiamo su terreni meno inclinati, rinvenendo in seguito una antica mulattiera in disuso che scende all’altopiano. Giunti al paese, per festeggiare sia l’onomastico che l’anno uscente, ci siamo portati dolci e spumanti, che consumiamo sotto il tepore del sole calante. La sera vado poi con tutta la famiglia a una festicciola in casa di amici, alle due del mattino crollo addormentandomi sulla sedia, il troppo a un certo punto stroppia. 31-12-1988.

1 La cresta dei Musi ancora in condizioni autunnali

2 Il Cadin dei Musi

3 Indicazioni al bivio

4 Salita alla Stilizza

5 Uscita in cresta

6 Lontano il golfo di Trieste e l'Istria

7 Un tratto roccioso della cresta

8 In cresta

9 La catena dei Musi

10 Controluce

11 Una contropendenza

12 Dalla cima verso il Canin

13 Torniamo sui nostri passi

14 La variante di discesa

15 Qualcuno si esibisce in ampie spaccate

16 Mulattiera desueta nel faggeto

17 Addirittura un viottolo

18 Plan di Tapou

Plauris, traversata da Sud a Nord

Il Plauris con i suoi 1958 m è il re delle Prealpi Giulie Occidentali e le vie di salita sono piuttosto lunghe e faticose, quella che comporta il minor dislivello parte dalla curva del Gran Rio in val Venzonassa, m 514 cui si accede per rotabile da Venzone, chiaramente quella scelta nel lontano Dicembre dell’87 dal nostro esiguo gruppetto di tre, era il giorno 20 quindi per ventiquattr’ore la nostra gita non era classificabile come  invernale, d’altronde per questi monti le stagioni più indicate sono quelle di mezzo o l’inverno se le condizioni lo consentono, mai ci sono stato d’estate. Lasciata l’auto al piccolo parcheggio saliamo ripidamente alla bella chiesetta di S. Antonio e dopo un breve traverso a Est sul sentiero diretto a Casera Ungarina ci inerpichiamo senza sentiero fra la vegetazione alla meglio fino a uscire sui vasti pendii erbosi che scendono dalla dorsale e che più in alto diventano nevosi, fa piuttosto caldo, qualche slavina è già scesa e procediamo fiduciosi fino alla breve barra rocciosa che ci separa ancora dall’agognata meta, non oppone difficoltà di rilievo, nonostante qualche dubbio usciamo a pochi passi dalla vetta. Grande è la sorpresa all’incontro con un altro alpinista e ancora maggiore perché lo conosciamo, è l’amico Nino da Montenars che arriva da Portis per la Val Lavaruzza da solo! La giornata stupenda ci consente di ammirare le bellezze che ci circondano ma poi non resta altro, come sempre, che scendere. Con opportunismo pari alla nostra sfacciataggine io e miei due degni compari avevamo già intravisto l’eventualità di fare la traversata, se qualcuno ci porta a recuperare la macchina, l’interpellato, che è un buono acconsente. C’è da percorrere un tratto della cresta Ovest, all’inizio arrampicando su roccette in seguito sul filo nevoso fino a una forcella da dove ci si cala in versante Nord con neve buona, il nostro autista, munito delle sole racchette pensa bene di fare una scivolata che si conclude dopo alcuni danni e con lievi sbucciature a una mano, riprendiamo il cammino, il bianco manto ci accompagna fino all’igloo del bivacco Bellina, dove ritroviamo i segni del sentiero 728 che ci accompagna, in ultimo scendendo piuttosto impiccato a lato della cascata del torrente a un viottolo asfaltato nei pressi di Portis 240 m. Così voglio ricordare anche l’amico di parecchie invernali, Nino Lucardi, forte, appassionato e generoso, ormai da tanti anni scomparso in un incidente alpinistico.

1 La Chiesetta di sant'Antonio

2 Dai pendii erbosi la valle del Tagliamento

3 Incontro con la neve

4 Incerta salita verso la cresta

5 Canin, Monte Nero, Lavara e Musi

6 Si esce alla cresta come sempre per banali roccette

7 In vetta incontriamo l'amico Nino

8 Lavara e i Musi, lontano il Matajur

9 Vista sul Canin

10 Discesa a Ovest

11 Dalla Cresta bella vista sulle Alpi Carniche

12 Sulla cresta

13 Il Plauris

14 Inizio della discesa verso Nord

15 Il versante Nord

16 Il bivacco Bellina

17 Faggi stentati in Val Lavaruzza

18 Dal Plauris la cresta prosegue con altre più selvagge cime

19 Il ripido sentiero che cala verso Portis

20 Le calde luci del tramonto ci accompagnano nell'ultimo tratto di discesa

Cima di Campo m 1762, ritorno nella valle della Venzonassa

novembre 28, 2012 2 commenti

A quasi trent’anni fa risale la mia prima volta su questa cima, all’epoca la valle non aveva ancora le strade e i pochi nuclei abitati avevano avuto il colpo di grazia dal terremoto del 76 e la traversata da Tanataviele a Venzone era una classica meta dell’escursionismo primaverile. La gita è stata fatta nel Maggio del 1985 assieme a due amici di quei tempi lontani partendo direttamente dalla periferia di Venzone, quindi da poco più di 200 m d’altezza. Questa montagna divide con il Lavara la palma della distanza affacciandosi sulla Val Resia, il sentiero ha il numero 705 e corre sulla sinistra della vallata (salendo), passando per Borgo Manstrui e la chiesetta di S. Antonio in quell’anno ridotti ancora a macerie, poi sale nella faggeta a Casera Ungarina, da qui prosegue verso la Casera del Confin e la Forca Campidello  m 1532  con il numero 725. Il versante Nord era ancora innevato, non c’erano (e non ci sono attualmente) segni, quindi si salì il pendio ad occhio fino in cresta e per questa in vetta. Ci venne poi la balzana idea di scendere alla Venzonassa verso Sud, una bella scivolata sui nevai fino ai ruderi della Casera di Campo, poi si scese senza sentiero nel bosco finendo in uno schianto di faggi causato da una slavina lavorando parecchio per uscirne, un altro bel tratto fra alberi secolari prima di incontrare qualche traccia e sortire al fondovalle.

8 Dicembre 2011, sulle Prealpi non è ancora arrivata la neve quando saliamo in val Venzonassa, sarà passata una decina di annetti da quando non ci metto piede, questa volta il punto di partenza è la curva del Gran Rio m 525. Il sentiero sale ripidamente fino a un bivio nei pressi della chiesetta di S. Antonio, ora ricostruita, con una breve deviazione andiamo a dargli un’occhiata prima di proseguire verso E sul sentiero n. 702 che scende ad attraversare la forra del Gran Rio per risalire nella faggeta a Casera Ungarina, anch’essa restaurata, qui arriva una strada forestale che obbligatoriamente bisogna percorrere fino alla Casera del Confin ora Agriturismo, nei mesi di apertura ci si può accedere in auto, nel frattempo il segnavie ora è il 726. Nei pressi dell’edificio sosta un mezzo della forestale, forse in agguato di qualche malcapitato che per risparmiare le gambe salga con un mezzo a motore, ma questa è una mia malignità, noi andiamo avanti verso Forca Campidello, valico con la Val Resia e magnifico panorama sulle Giulie Occidentali che sono ben imbiancate. Il versante Nord è tutto in ombra, saliamo senza via obbligata fra le alte erbe con qualche sperone roccioso che si evita nei canali e allietati da un gelido venticello fino alla cresta. Questa è erbosa, va percorsa verso sinistra fino a una anticima, mentre la vetta resta più a Est oltre un’insellatura e della quale non avevo memoria, vuoi vedere che nella visita precedente ci eravamo fermati qui? Giuro che non lo ricordo. Uno dei due compagni ne ha abbastanza, con l’altro proseguo in discesa per rimontare la crestina a mughi e rocce detritiche, lievemente ariosa ci conduce all’ometto finale. Scendendo, fra le due casere un amabile ghiaione scende alla strada sottostante, è un richiamo irresistibile anche se dopo è d’obbligo continuare sulla rotabile che è piuttosto lunghetta ma ci consente la visita dei borghi rimessi a posto di Prabunello e Maieron prima di tornare con una contropendenza al parcheggio. Quattro ore la sola salita.

 

Glemine, Cjampon e Cuarnan – una gita con il mezzo più ecologico

A chiusura di stagione (21 novembre di trent’anni orsono) l’ UOEI di Udine propone una gita con l’uso di un mezzo inconsueto, vale a dire il treno, l’itinerario proposto è l’anello del Cuarnan. Devo dire che non sono un affezionato cliente delle FS, l’ultima occasione è stata più di dieci anni fa alla conclusione anticipata della traversata Carnica a Pontebba con uno scassatissimo convoglio di pendolari e la volta precedente ero stato a Torino per motivi di lavoro, ero l’unico nello scompartimento che aveva pagato il biglietto intero. Ma veniamo alla gita, il ritrovo del numeroso gruppo è alla stazione di Udine con arrivo a Gemona alle 8.10, faccio parte però di un gruppo di cospiratori che si dissocia dalla maggioranza che viene abbandonata nei pressi del Duomo, a quei tempi ancora in ricostruzione, restiamo ora in dodici a salire la strada per le borgate più alte poi con un sentierino arriviamo nientemeno che all’attacco dello spigolo del Glemine, salita che ci era sconsideratamente proposta da Carlo Pinosa, l’unico all’epoca che avesse avuto qualche esperienza alpinistica con la corda, che fra l’altro oltre a non averla nessuno sarebbe in grado di adoperarla. La via classica corre sul filo e oppone anche passaggi di un buon 4°, ma la nostra scafata guida evita tutti i passaggi impegnativi tenendosi sulla sinistra dove occorre sì lottare con la vegetazione però le difficoltà sono parecchio inferiori così che nonostante le sofferenze arriviamo in cima tutti interi. Continuiamo sulla piacevole cresta seguente fino al ricongiungimento con la sterrata che sale al Foredor, l’ampia sella fra Cuarnan e Cjampon dove la pattuglia si riduce a otto, quattro se ne vanno a destra a ritrovare la gita ufficiale, i più accaniti dal lato opposto seguono i segni per la vetta della cima maggiore,a Sud ancora sgombra di neve, dove giungono senza problemi  anzi percorrono anche un breve tratto di cresta verso Est a raggiungere un’elevazione che parrebbe più alta infine tornano di nuovo al Foredor e incontentabili a completamento del trittico visitano anche il Cuarnan (la Chiesa è ancora un cumulo di macerie). Finalmente al ricovero danno fondo ai resti dei viveri e alla bottiglia di bianco che si sono someggiati tutto il giorno, ormai è l’ora che volge al desio, l’ultima galoppata si conclude al buio, sono puntuali all’appuntamento con tutti gli altri in stazione, il nostro treno parte subito, sono le 18.08.

La Stazione di Gemona è a circa 200 m di quota, il Glemine 709 m non è segnato e ha difficoltà di 2° abbondante, il Cjampon 1709 m ha un breve tratto attrezzato, può considerarsi EE, fino a qui 1500 m di dislivello, per il Cuarnan 1373 m, facile, il dislivello sale a 1800 m.

Sul Verzegnis (1914 m) con la neve di Maggio

Quando scendiamo dall’auto a sella Chianzutan, 950m,  mi viene il pensiero che forse abbiamo mirato troppo in alto, già qui troviamo una spolverata di neve e il paesaggio circostante se non fosse per il fresco verde della vegetazione sarebbe più simile a una giornata invernale che non all’avanzata primavera in cui siamo. Ieri in pianura una perturbazione ha causato una fredda pioggia in pianura tramutasi in neve sui monti e alla sera da casa si vedeva bianco già il Cuarnan. Tengo questa considerazioni per me e mi incammino con il fido Saro sul sentiero 806 dalle tabelle poco oltre il bar e sul lato opposto della strada, per casera Val. Poco oltre casera Mongranda entriamo nella faggeta, l’ambiente è reso suggestivo dal bianco manto vergine che calpestiamo. Alla fine del bosco c’è  un canale da attraversare e il pendio nevoso ha fatto sparire la mulattiera (nella mia prima salita di molti anni fa, in una gita sociale dell’UOEI, anch’essa in primavera, qui trovammo neve dura e fummo costretti a mettere una corda fissa), ma oggi si riesco a fare una buona traccia. Arrivati all’anfiteatro della Casera Val 1661m vedo che qui si sono dati da fare, una strada ci arriva dalla sella del Lovinzola e la casera è stata rifatta lussuosamente (anche se non finita) in marmo rosso di Verzegnis. La temperatura si è alzata, dietro alla casera saliamo faticosamente nella neve molla verso Ovest alla sella che separa il Verzegnis dalla Cormolina (S.la Cormolina 1784m) dove ha inizio la cresta Nord della via Normale, dove troviamo meno neve che nel bosco, probabilmente ripulita dal vento. La cresta è abbastanza agevole, s’impenna solo verso la fine dove richiede cautela vista esposizione e l’innevamento, poi usciamo in cima dove di neve proprio non c’è neanche l’ombra. Tre ore per la salita, ci fermiamo quasi una, la giornata è splendida come il panorama a giro d’orizzonte e il vento che ci aveva accompagnato fino alla malga è cessato. Sono tentato di scendere lungo la cresta Sud, sembrerebbe pulita, ne percorriamo un breve tratto ma al primo incontro con la neve, che è diventata nel frattempo una scivolosa poltiglia, ci riduce a più miti consigli, risaliamo a ripercorrere la via dell’andata. Sembrano  impossibili i miracoli che il sole compie in mezza giornata, corre acqua da tutte le parti e la neve si è già dimezzata. Nel bosco la neve acquosa e le foglie di faggio hanno fatto una miscela micidiale sulla quale bisogna fare dell’equilibrismo, onore al compagno che nonostante la sua propensione ai ruzzoloni oggi ne fa uno solo, in poco più di due ore arriviamo al parcheggio.

17 Maggio 2012

P.S. Dal nostro efficientissimo servizio di spionaggio apprendo che un gruppo di pensionati a noi affine, autonominatosi  “Gli Scoiattoli”, nome quanto mai inappropriato, stabilisce già il lunedì gita e partecipanti comunicandolo al CAI onde essere assicurativamente protetti. Per il nostro sodalizio, componenti da uno a sei, il più giovane di noi (64 il numero di primavere) ha suggerito il più consono appellativo di bradipi. Essendo molto meno burocraticamente efficienti, la scelta del percorso viene di solito fatta al momento della partenza, per il numero basta contarsi, in quanto all’assicurazione ci affidiamo a San Maurizio.

Musi, alla cresta da Nord

Maggio 5, 2012 1 commento

Siamo già in autostrada in direzione Tolmezzo indecisi sul da farsi quando il mio compagno viene folgorato dall’ idea di andare sul Veliki Rop, la cima più alta della catena dei Musi da Nord, ovvero da Sella Carnizza, la relazione ci manca, in compenso cercando nel pacco di cartine ne esce una risalente agli anni ’80 in bianco e nero, l’unico sentiero segnalato è quello della Bocchetta dello Zaiavor, la proposta viene comunque accolta. Saliamo quindi in Val Resia e parcheggiamo l’auto agli Stavoli Gnivizza 1070m, era da parecchi anni che non passavo da queste parti e resto colpito dalle belle ristrutturazioni che sono state eseguite nel frattempo, fra cui anche due punti di ristoro che sono ancora chiusi. Da qui andiamo a sinistra e alla chiesetta di S.Anna imbocchiamo la vecchia mulattiera sopracitata (il numero è il 427) per abbandonarla poco dopo alla prima vallecola in direzione ovest detritica ma con cespugli e alberelli purtroppo senza alcuna traccia di passaggio, dapprima il percorso è alquanto sgradevole e la vegetazione ci passa anche qualche non gradito ospite sugli avambracci (leggi zecche). Perseverando il terreno come il paesaggio migliora diventando più aperto, alla nostra destra una crestina secondaria rocciosa con delle esagerate fioriture di Orecchia D’Orso, dalla catena principale a sinistra siamo separati da placche calcaree incarsite oltre che fitte distese di mughi, indi arriviamo a una simpatica forcella quota 1634 fra un cimotto alto 1703 m verso Nord mentre verso Sud si eleva la cima dei Musi quotata 1798 m, la prima a ponente dello Zaiavor. Sul versante nord l’innevamento è ancora abbondante, valutiamo la salita diretta da qui troppo rognosa, quindi cominciamo a traversare in diagonale ascendente i nevai  oltre la sella arrivando alle placche inclinate che scendono dalla nostra meta, scegliamo lo sperone che ci sembra più articolato, il calcare è di buona qualità, il tratto è  breve e usciamo sulla cresta erbosa, ancora qualche decina di metri verso destra  e arriviamo alla nostra quota. Il tempo è variabile ma non minaccioso, uno sbiadito bollino rosso ci invita a proseguire in discesa alla forcelletta seguente, qualche facile passaggio un pò esposto, saliamo ora per pendii erbosi alla Cima seguente di m 1844, tre ore fino a qui, dove poniamo fine alla nostra traversata, per proseguire in cresta fino al Viliki Rop, la cima più alta che è piuttosto lontana, circa un km, oltre al tempo più stabile servirebbe un minimo di attrezzatura (fra l’altro c’ero già stato parecchi anni fa e con lo stesso compagno, traversando dalla cima 1866 sopra al bivacco Brollo). Torniamo alla forcella e decidiamo di scendere sui nevai fino a una visibile dolina verso N, l’ambiente è di una bellezza selvaggia, tutto a placche lavorate, che dopo qualche peripezia fra mughi e brevi saltini, inghiottitoi e abissi, ci portano al caratteristico canale fra due stipiti rocciosi che avevamo già adocchiato dalla cima che si esaurisce  nella conca. La attraversiamo e con sollievo all’intaglio seguente reperiamo il primo di una serie di sbiaditissimi segni rossi e un ometto semidistrutto (probabilmente di speleologi) che seguiti a saliscendi ci conducono al recente segnavie del CAI che riporta a Sella Carnizza. Due ore per la discesa, agli stavoli stanno lavorando all’osteria Taj, di prossima apertura, ma un paio di birre ci vengono gentilmente concesse. Le difficoltà, oltre alla mancanza assoluta di tracce o segni sono al massimo di II.

3 Maggio 2012

Categorie:Prealpi Giulie Occ. Tag: