Globoko (1828m) e Planje (1863m), fra l’Isonzo e il lago di Bohinj
Assenza di neve e cielo azzurro ci accompagnano in questa gita decembrina sullo spartiacque fra l’Isonzo e il lago di Bohinj. Da Stupizza e Caporetto costeggiando le azzurre acque del fiume più bello del mondo scendiamo a Tolmino. Da qui una stretta rotabile asfaltata sale al remoto villaggio di Tolminske Raune (924m) dove parcheggiamo. In una profusione di indicazioni ci incamminiamo astutamente sul sentiero più ripido che conduce alla malga-rifugio di Planina Razor (1315m), in chiusura stagionale). Da dove ci si affaccia a un vasto altopiano limitato da creste di bianco calcare. Della grande guerra rimangono numerose mulattiere militari, non c’è che l’imbarazzo della scelta per raggiungere una meta. Ci alziamo su una di queste verso NE raggiungendo il passo Globoko (1816m) da dove ci si affaccia alla valle del lago. Decidiamo di continuare, la mulattiera prosegue a mezzacosta e poi ridotta a esile sentiero guadagna la cresta. A tratti sottile e friabile richiede qualche attenzione e passo sicuro ma permette di meritare una cimetta, dovrebbe trattarsi del Planje (1863m). La vista è spettacolare, spiccano il vicino Tricorno e, oltre la valle della Sava, i monti di Kamnik. Bello anche il controluce verso i colli,la pianura e il mare. Poco più in basso passiamo accanto a un fortino abbastanza ben conservato, ma è ora di scendere… Invertiamo il senso di marcia imboccando una ulteriore traccia che senza problemi ci riporta su terreno più agevole. Purtoppo i viveri scarseggiano e non resta che tornare a valle percorrendo il sentiero piu’ diretto (un unico passaggio esposto è una cengia abbondantemente assicurata con cavo metallico) che ci riporta al paesello e alla macchina. Sette ore in totale (soste comprese), con Saro e Sandro, il 9 Dicembre del 2015.
Trasferimento: dal rifugio del Dom a Randa (1439m) e alla Weisshornhutte (2932m)
Con quattro quattromila all’attivo la settimana è stata già un successo e ci caliamo un po’ bruciacchiati verso il fondo valle, ovvero Randa (1439m), il villaggio da cui siamo avviati qualche giorno addietro. A metà strada assistiamo impotenti al recupero con elicottero di un alpinista infortunato. Ci concediamo pure un pranzo nello stesso ristorante visitato al nostro arrivo e dove eravamo stati bene accolti .Prima di ripartire alleggeriamo un pò gli zaini dirigendoci verso l’opposto versante della vallata. La meta è la Weisshorn Hutte, un rifugio a 2932 di quota a SE della montagna omonima, che si raggiunge pur faticosamente ma senza difficoltà alcuna seguendo un sentiero che si alza prima fra i larici e poi in terreno aperto. I problemi sorgono per il pernottamento, siamo alla vigilia di ferragosto ed è sovraffollato, ci vogliono laboriose trattative per ottenere un giaciglio. (lo scrivente dorme, per modo di dire, su un tavolo). Ideale per l’ambiziosa impresa in programma l’indomani. Con Sandro (Sandron) e Nevio, un fratello di montagna scomparso recentemente.
Taschorn (4491m) da NO, un’avventura sulla seconda quota del gruppo
Galvanizzati dai successi dei giorni precedenti e con il tempo che rimane stabile decidiamo di tentare anche il temuto gemello del Dom, il cui toponimo si deve al villaggio di fondo valle per l’appunto Tasch. Inferiore come quota a questo di una cinquantina di metri ma molto meno battuto. La via da percorrere partendo dalla Dom Hutte (2940m) non è la normale della cresta Sudest (già abbastanza impegnativa) ma l’opposta via da NO. Anche per questa come nelle precedenti salite bisogna partire di notte con le pile frontali seguendo dapprima la ben battuta (e conosciuta) pista della via comune al Dom sul Festigletcher. Abbandonandola per valicare sulla destra (Est) con qualche difficoltà l’alta forcella Festi Kin Lucke . Al sorgere del sole ci caliamo nel parallelo Kingsgletcher destreggiandoci fra i numerosi crepacci , lo rimontiamo lungamente favoriti comunque dalle ottime condizioni di neve dura grazie all’esposizione. Superando anche un modesto seracco arriviamo infine alla cresta rocciosa finale di solido Gneiss dove ci sentiamo più a nostro agio. Il bel tempo ci accompagna fino alla croce di ferro eretta in cima. Giuro che non ricordo se in discesa abbiamo ripercorso la via di salita (più probabile) o la di poco meno impegnativa via normale. AD+ o D- a seconda delle condizioni del manto nevoso, ottime nel nostro caso. Resta comunque un micidiale impegno giornaliero anche per il cospicuo dislivello di circa 1700m. Scendiamo seguendo le nostre tracce per pernottare ancora una volta al rifugio di partenza, dove gli italiani si vedono raramente. Alla sera telefono anche a casa, a caro prezzo visto che l’era dei telefonini doveva ancora arrivare. La simpatica gestrice del rifugio vuole dare anche un saluto a mia moglie tranquillizzandola sul mio stato di salute. Con Sandro e Nevio.
13 Agosto 1997