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Archive for the ‘Alpi Calcaree Settentrionali’ Category

Hoher Dachstein (2996m), la traversata da E a O

settembre 29, 2017 Lascia un commento

La sera precedente, dopo la batosta dell’Hochkonig, una coppia decide di tornare fra i patri lidi e restiamo quindi in cinque decisi a sfruttare fino in fondo il poco tempo a disposizione, ci spostiamo quindi a Ramsau alla ricerca di vitto e alloggio. Per il secondo troviamo ospitalità in un agriturismo alla periferia dell’abitato che al nostro arrivo pare deserto, andiamo a cercare il proprietario che si trova nella stalla. E’ una signora che sta governando le vacche, lascia il lavoro per mostrarci le camere. Arredamento e pulizia potrebbero entrare senza demerito nei telefilm di Heidi, letti e gli armadi sono tutti dipinti a fiorellini e scene pastorali. Non è contemplata la ristorazione quindi la sera ci trasferiamo in paese per la passabile ma abbondante cena, devo dire che la cucina dei nostri vicini non rientra fra le mie preferenze. Al nostro ritorno la padrona di casa si è messa in ghingheri vestendosi con l’abito tradizionale (spero di non essere ripreso, mi pare si chiami Dirndl) comunque ne restiamo sopraffatti.  La colazione del mattino non tradisce le aspettative, burro e marmellata ma anche formaggi e salumi, succo di frutta poi tè e caffè, sulla qualità di quest’ultimo è meglio lasciar perdere. Il perché della scelta della locaità sta nel fatto che ci troviamo vicini al gruppo del Dachstein, il più imponente di queste montagne.

Il programma odierno prevede la salita del Hoer Dachstein che raggiunge quasi i 3000m, oltre a essere la più alta della zona è anche la seconda quota calcarea del Nord superata (mi pare) solo dal Tribulaun in val di Fleres. In questi luoghi avevo già fatto un’arrampicata nel sottogruppo meno elevato del che si trova più a O, il Gosau Kamm. Anche se allora non eravamo stati favoriti dal clima eravamo rimasti un po’ sorpresi dal buon trattamento ricevuto. Tornando al meteo per contro oggi gli auspici sono ottimi e non c’è una nuvola. La stazione della faraonica funivia situata ai ai piedi della parete Sud (alta un migliaio di metri!)  costruita per lo sci anche estivo, è poco distante, consente di arrivare, senza fatica ma con qualche sacrificio alle finanze, alla stazione superiore posta ai 2694m dell’Hunerkogel. Il calcare bianchissimo dal quale ha preso il nome la montagna o viceversa, stratificato a banchi di varia altezza, è lo stesso che si trova anche nelle casalinghe Giulie, respiriamo quasi l’aria di casa… Ci avviamo ora sulla dorsale verso Ovest ai margini e sul pacifico ghiacciaio costeggiando i precipizi meridionali fino all’attacco della ferrata della spalla NE. Il nome è riduttivo, gli stagionati infissi sono scarsi anche se in ottime condizioni, pochi sono i cavi e bisogna affidarsi a gradini e maniglie. La salita è ben segnalata ma a causa della neve presente sulle cenge il percorso è piuttosto delicato e non ci sono concorrenti. Il dislivello non è molto, circa 300m, e arriviamo in cima senza tanti intoppi. La cima è molto frequentata, fra gli altri ci sono alcuni allegri elementi di una banda musicale, sono saliti per la via normale con tutti gli strumenti e ci deliziano con qualche brano, d’altronde questa è la patria di Mozart. Il panorama eccezionale offre fra l’altro i monti visitati nei giorni precedenti . In discesa optiamo  per la più battuta cresta Ovest, che arriva fino sella con la Mitterspitze (Windlucke, 2779m). Poi da questa bisogna attraversare un ghiacciaio (senza crepacci) e in seguito  alzarsi ulteriormente per un dosso intermedio fino alla Steine Scharte (forcella, 2721m), attrezzata su tutti e due  versanti. Tornati sulla neve e al percorso dell’andata risaliamo alla stazione della funivia prendendoci anche qualche rinfrescante  goccia di pioggia. Qui incontriamo per la prima volta dei connazionali, una coppia con pargolo in lacrime, non usciranno all’aperto. Al parcheggio nell’auto rimangono ancora viveri e bottiglie per celebrare il successo prima di intraprendere il lungo tragitto verso casa.

Anche per questa gita ci siamo basati sulle scarne ma sufficienti note del libro di Messner “Ferrate delle Alpi Orientali” ed. Athesia.

Con Cinzia, Eliana, Gigi e Ermanno, Agosto 2002

Hochkonig 2941m, la traversata cresta Est-versante Sud

agosto 29, 2017 3 commenti

Al terzo giorno di permanenza nelle Alpi del Salisburghese ci prefiggiamo di salire l’Hochkonig  (Alto Re), una delle vette più alte di questi monti visto che sfiora  i 3000 metri (per la precisione sono 2941), decisi a sfruttare fino in fondo i pochi giorni a disposizione. Salutata a Mulbach la nostra padrona di casa ci dirigiamo verso Est per la strada di fondo valle ma per poco, la lasciamo per alzarci a sinistra (sempre asfalto) fino all’ Arthur Haus (1502m) dove parcheggiamo. Le mucche al pascolo e i balconi fioriti ci accompagnano fino alla bella malga Mittelfeld. Poco più in alto una coppia di amici si ferma, forse non usi alla nostra maniera sconsiderata di andare per monti. Continuando sulla verde (all’inizio) quanto facile e lunga dorsale Est saliamo verso il rifugio con belle visioni sull’ambiente calcareo circostante, spicca l’ostica Torsaule, un elegante torrione, incontriamo anche una simpatica e attraente escursionista solitaria con la quale tutti, a parte forse la componente femminile, vorrebbero intrattenersi più a lungo. Ma i rudi alpinisti non cedono a queste lusinghe e procediamo a oltranza nel vallone verso la vetta, intanto il sole scompare sotto qualche innocua nuvola e la temperatura diventa più frizzante. Proprio in cima si trova il rifugio Matras Haus dove una birra è obbligatoria, anche se forse sarebbe preferibile, visto il clima, qualcosa di più caldo. Il ghiacciaio che si estendeva a Nord è attualmente ridotto a nevaio mentre a meridione si occhieggia il ripido versante di roccia. Non ci dilunghiamo troppo, il libro di Messner consiglia la traversata passando dai Teufels Locher, due finestroni simili all’Okno del Prisojnik nelle Giulie. Purtroppo anche il nostro interprete dà forfait e torna indietro  più prudentemente per la via conosciuta, restiamo in quattro a calare verso meridione al circo Birgkar. I due fori non li troviamo, in compenso il versante, piuttosto ampio, ci riserva tutte le gioie del ravano: esposizione, placche friabili e detriti ci accompagnano lungamente. La mancanza di cartine e guide danno il loro contributo, comunque facciamo attenzione a non smarrire i segni. Tiriamo un sospiro di sollievo all’uscita nel bosco verso destra, siamo illesi ed è già un buon risultato. Qui il sentiero (sempre ben segnalato) conduce al passo Dietener (1379m) dove il giorno precedente, guarda il caso, avevano prudentemente lasciato una macchina. Siamo accolti da una coppia (padre e figlio) di suonatori di trombone. In nostro onore, conosciuta la nazionalità, si esibiscono nel Carnevale di Venezia  destando la commozione nei nostri duri cuori di pietra. Il mezzo di trasporto previdentemente parcheggiato il giorno prima sul valico è ancora presente.

La cima con Gigi , Eliana, Cinzia e Ermanno. Discesa, tutti meno uno compreso il vostro redattore.

Schonfeldspitze (2653 m), la non facile traversata della cima più elevata del gruppo

agosto 27, 2017 2 commenti

Segnata ma non facile e anche esposta (secondo grado) è la via normale della quota più elevata del gruppo. La traduzione maccheronica dovrebbe essere Cima del Campo bello o giù di lì. Dopo l’exploit mattiniero ci dirigiamo verso la cima superando il versante Ovest  per cenge e risalti rocciosi di buon calcare, in un passaggio un po’ più impegnativo dobbiamo anche usare lo spezzone di corda che per eccesso di prudenza abbiamo nello zaino. La vetta, ornata da una pietà scolpita in legno a grandezza naturale, è molto visitata e condividiamo la solita bottiglia di vino che ci siamo portati con i presenti. In discesa seguiamo solo per un breve tratto la via di salita, da una cengia ci spostiamo verso Est con un percorso alternativo più facile verso Est arrivando a una forcella (Buchen?). Dalla base torniamo al rifugio svoltando a sinistra percorrendo un facile vallone in un gratificante ambiente carsico d’alta quota a chiudere l’anello. Ci prendiamo anche qualche goccia di pioggia (la variabilità del meteo rimarrà una costante di questi giorni) e recuperate le nostre masserizie scendiamo a valle. Recuperato i mezzi di trasporto ne lasciamo uno al passo (Dietner Sattel, 1379m) stringendoci nell’altro (in sette!), per il giorno seguente è in progetto una traversata con arrivo proprio qui. Quindi riprendiamo la via per il nostro punto d’appoggio, lo sperimentato gasthof di  Maria Alm che è poi una frazione di Mulbach zum Ochkonig dove ceniamo. La signora è anche proprietaria di un B. e B. nelle vicinanze e si presta a ospitarci anche per una sola notte. Qui combiniamo un mezzo disastro, un’ulteriore bottiglia messa in fresco sotto lo sgocciolio di un lavandino (al quale non funziona il troppo pieno) provoca un allagamento. Siamo rei confessi, la nostra ospite ci assolve dichiarando che come si è bagnato anche si asciugherà.

Steiernes Mer: tre cime prima di colazione

 Il mattino seguente profittando del tempo splendido (e del poco dislivello) andiamo a goderci il levare del sole su questa facile montagna nei pressi del Rifugio. Nessuna difficoltà, sentiero segnalato. Siamo in ballo e ci aggiungiamo in mattinata altre due vette, lo Schonegg (2398m) e il Wurmkopf (2452m) con le stesse caratteristiche.

4 Giorni nel Calcare del Nord: trasferimento dal Friuli al rifugio Riemann sul mare di pietra

Per variare il solito Menu Giulie-Carniche-Dolomiti e con l’ausilio di un vecchio libro di Messner sulle vie ferrate delle Alpi Orientali (e contando sulla conoscenza della lingua tedesca di Ermanno) decidiamo di fare una trasferta ferragostana di qualche giorno sulle montagne di calcare del Salisburghese, quindi oltre i Tauri. Gli aderenti sono parecchi rispetto alla media, al redattore e all’interprete si aggiungono due affiatate coppie di coniugi e una single, la parità fra i sessi è rispettata. Con tragitto prevalentemente autostradale arriviamo alla cittadina di Bischofschofen, qui prendiamo a sinistra (Ovest) la strada per la Dietner Sattel (forcella) e Muhlbach. Ci fermiamo per il pranzo nel villaggio di Maria Alm profittando dell’ospitalità del Gasthof ai margini della strada. La nostra chiassosa tavolata diventa subito la maggiore attrazione del locale mentre degustiamo le generose porzioni della cucina tipica annaffiando il tutto con qualche birra. Così rifocillati riprendiamo il viaggio non senza salutare calorosamente la padrona di casa che rivedremo in seguito. Valichiamo il passo Dientner proseguiamo fino ad Alm dove una strada parzialmente asfaltata sale sulla destra fino a circa 1300m dove si parcheggia. La prossima meta è il rifugio Riemann Haus (2177m) sul margine meridionale dello Steiernes Mer (Mare di pietra), un esteso altopiano carsico  di quota abbastanza elevata. Un sentiero molto pittoresco con qualche attrezzatura  supera intelligentemente la fascia rocciosa che lo difende. L’ambiente, anche se il colore del calcare è diverso ha qualche similitudine con quello del Canin. E’ sera quando chiediamo ospitalità al gestore, ahimè, i posti sono esauriti ma alla fine un giaciglio salta fuori e il personale si dà da fare per accogliere tutti gli affamati clienti. In segno di gratitudine gli offriamo un bicchiere di vino, si sdebita con un giro di grappe. Sentendoci  dei ladri accettiamo il baratto, seguono altri scambi etilculturali. Prima di coricarci usciamo a prendere un po’ d’aria. Senza inquinamento luminoso  il cielo risplende di un’infinità di stelle, un meraviglioso spettacolo un tempo comune anche nella bassa che ricordavo dai tempi dell’infanzia. Prima di commuoversi è meglio andare a letto.

Hochtor 2365 m, un monte calcareo presso Admont e la sua Abbazia

L’antica cittadina di Admont , in Stiria, è sorta attorno all’ Abbazia Benedettina fondata nel 1074, qui il fiume Enns, prima di volgere verso Nord a confluire nel Danubio ha scavato una gola nel calcare chiamata Gesause e lo stesso nome hanno preso i monti che la fiancheggiano con le loro alte pareti. La biblioteca sola vale il viaggio, è l’unico edificio che si è salvato con i suoi 150.000 volumi dall’incendio nel 1865. In stile rococò offre al visitatore nei suoi saloni dei preziosi affreschi oltre ai capolavori che sono le sculture allegoriche dei Novissimi, ai tempi della visita siamo stati avvicinati da un frate che pareva appena uscito dal Nome della Rosa, parlava fluentemente l’italiano e ci raccontò un poca della storia del luogo che aveva delle proprietà anche in Slovenia poi espropriate ai tempi del socialismo reale. La via per arrivarci è piuttosto lunga, se non vuole usare l’autostrada, da Klagenfurth si prende la statale per Vienna fino a qualche km prima di Judenburg si svolta a sinistra (è una via secondaria in un dolce paesaggio collinare), salendo al passo dei Bassi Tauri (mi pare si chiamasse così) che scende a Liezen, da qui si va a destra  e in breve si è arrivati alla nostra meta, proprio all’inizio del canyon.

L’Hochtor 2365 m è la cima più imponente ed elevata  del gruppo ma tutta la enorme muraglia a sud del fiume è impressionante, la guida alpinistica consta di oltre 1000 pagine per dire quanti itinerari vi sono. La nostra via parte dalla Haindlkarhutte, un rifugio a 1120 m, va verso E  a salire una facile parete (nominata Peterpfandl) che esce a una forcella di cresta, qui cambia direzione e nome, Rosskuppengrat, dal nome della cima a oriente della forcella e con percorso vario superando dei gendarmi, cenge, placche e tratti detritici fino in cima, risulta abbastanza lunga, per fortuna è segnalata, specie nei passi più impegnativi che non superano mai il secondo, noi non avevamo neanche la carta.

La cronaca. Brutto numero il cinque, due signore e tre maschietti più i bagagli erano troppi per la Skoda ma io che dopo 16 anni di astinenza non vedevo l’ora di collaudare la motocicletta, nuovo acquisto di seconda mano,  affido i bagagli alla quattro ruote e  viaggio da solo. Arriviamo in valle alle otto di sera, percorriamo la valle fino alle tabelle che indicano il ricovero, 580 m, prima di Gstatterboden dove ci solo le uniche case della gola e in un’ora ci siamo. Il luogo non è affollato, chiediamo informazioni e la gestrice ce le offre, alle pareti ci sono anche le foto di una salita che ha fatto portandoci il figlio dodicenne che impensieriscono qualcuno della compagnia. La parete  è in ombra, il calcare è simile a quello delle nostre Giulie, nei passi di arrampicata è solido, abbiamo la corda che viene usata solo per assicurare uno dei partecipanti, in forcella usciamo al sole, che strano non vedere nessuna cima conosciuta, siamo saliti allontanandoci dall’Hochtor che ora appare più lontano. Ora c’è da attraversare a destra su una cengia che verso la sua metà ha un salto (altro uso della corda), poi traversa un gendarme seguito da una placca che si percorre sul margine superiore (ancora la corda), le difficoltà diminuiscono, ora si sale perlopiù su detriti e facili roccette. In cima ritroviamo degli austriaci che abbiamo incontrato sulla via e dividiamo fraternamente con loro la bottiglia che ci siamo scarrozzati fin quassù.

Per la discesa bisogna optare per la via normale che parte da Sud, primo grado, solo che arriva a Jonbach un paesino in una diramazione del Canyon a parecchi km dal nostro parcheggio. La via non ha problemi, solo qualche passaggino su calcare lavorato, affido all’altro amico il compagno ormai impanicato e la corda. Poi il sentiero e al paese l’autostop, così ci perdiamo, sono l’ultimo e l’autista mi porta fino al bivio con la strada principale, qui Giove Pluvio scatena un temporale, in attesa che passi entro nel vicino Gasthof per una birra e uno strudel poi mi avvio al parcheggio. C…o! la skoda non si vede…per fortuna poco dopo riappare, erano andati a cercarmi. Affido il materiale di montagna, estraggo quello da biker, gli automobilisti andranno verso l’autostrada io ripercorro la via già conosciuta. Al ritorno si scatena il finimondo, tuoni fulmini e pioggia a dirotto, quando esco sulla statale ci sono anche dei pezzi allagati. A Klagenfurth mi perdo, finalmente a Tarvisio (la pioggia è cessata ma fa un freddo cane) imbocco l’autostrada e accucciato dietro al cupolino vado giù a manetta arrivando alla magione a mezzanotte passata. Meno male che domani vado a lavorare.

Per questa, come per altre salite oltre i Tauri abbiamo attinto a “Le Alpi Calcaree” di Walter Pause, stringato ma affidabile (purtroppo  in tedesco).

Grosse Bischofsmutze 2455 m, la via Jahn, IV+

Siamo nelle Alpi calcaree settentrionali, al di là dei Tauri e a sudest di Salisburgo. Dal  gruppo del Dachstein, la cui cima più alta manca per pochi metri i fatidici 3000 si dirama verso O una cresta di monti con cime meno elevate ma aguzze e frastagliate, dette il Pettine di Gosau, dal nome dell’omonimo paese posto a N. La più alta e famosa è quella intitolata, così nominato per la sagoma simile a una Mitria. Composte di roccia solidissima sono state teatro delle imprese dei più forti alpinisti austriaci e tedeschi,qui precipitò nel lontano 1913, durante un tentativo allo spigolo N del Manndlkogel in solitaria, quello che era all’epoca il più forte arrampicatore: Paul Preuss.  Alla metà di settembre di quell’anno decidiamo di trascorrere un fine settimana arrampicatorio in questi luoghi pressochè ignoti alla maggioranza degli italici scalatori, forti delle stringate relazioni lette sul solito volume “100 Scalate Classiche” del teutonico Walter Pause.

La Grosse Bischosmutze

All’antelucano appuntamento siamo in quattro, numero perfetto per questo genere di impegni in caso di rogne, oltre al mio compare, il solito Nevio, partecipano i due più scafati allievi del corso di roccia, il biondo Silvestro e il capelluto Andrea, tutti digiuni della lingua di Gohete. Arriviamo al fiorito paese di Filzmoos, affollato di pensionati in ferie, ove lasciamo il mezzo per salire con bel percorso alla Hofpurglhutte m. 1705 dove pernotteremo. In due ore e mezza ci arriviamo nella nebbia più fitta e qui troviamo pure una precoce nevicata. Sulla soglia si affaccia la severa nonchè attempata e nerovestita Frau che gestisce, ci sembra piuttosto militarmente, il grande rifugio. Messa al corrente delle nostre nostre intenzioni ci sconsiglia di affrontare la salita, un po’ a gesti un po’ ammonendoci con le parele schnee, eis che traduciamo con neve, ghiaccio. Sordi alle ammonizioni partiamo nella nebbia; arrivati alla base delle pareti, non si capisce un tubo per la scarsa visibilità, fino a che una improvvisa schiarita ci  rivela la nostra montagna e la via che dobbiamo percorrere, la più facile della parete sud: segue una linea di fessure e diedri abbastanza evidente. La scalata è di soddisfazione, su roccia eccellente, di quarto grado abbondante e sostenuto. Arriviamo in cima con il sole lasciando le nebbie sotto di noi ammirando l’inconsueto panorama. La discesa percorre il canalone Sud ed è di secondo grado superiore e la percorriamo slegati per rientrare al nostro alloggio al calare della notte. Gli italianidevono essere piuttosto rari, tanto che veniamo accolti calorosamente dal figlio della frau suddetta: dopo la cena, accompagnata da un paio di birre, cominciano a comparire varii vassoi di schnaps che siamo costretti ad accettare per dovere di ospitalità; la situazione si complica quando il gioviale gestore si avvede che la prosperosa cameriera si è invaghita del bell’Andrea; la porta al nostro tavolo, magnificandone le doti, ammiccadoci ai seni e tentando addirittura di sollevarle la gonna, mentre la poveretta si confonde arrossendo. Quando decidiamo di andare a riposare, il buon Nevio chiede un bicchiere di latte e gli viene servita un’ulteriore grappetta asserendo falsamente, visto che dietro il banco noto numerosi cartoni, che la bevanda richiesta è esaurita. Quando finalmente arriviamo alle brande siamo ridotti piuttosto male, è stata una giornata molto laboriosa.

Traversata al valico Ockesseleck e discesa a valle

Il risveglio del mattino dopo ci trova in condizioni pietose, e la giornata fredda e nuvolosa non è migliore. La salita che avevamo vagheggiata, il diedro dell’Hockesselkopf, da percorrersi con tecnica d’aderenza, come illustratoci la sera prima dal nostro nuovo amico sputandosi sulla mano e schiaffandola sulle preziose perline della sala da pranzo non più molto accattivante. Decliniamo comunque l’invito fattoci di fermarci al rifugio per la festa di chiusura, arriverà anche la banda del paese, per evitare ulteriori nefaste conseguenze e ci congediamo dai nostri ospiti. Ridotti a più miti consigli ridimensoniamo le nostre pretese arrivando per un gradevole sentiero in ambiente carsico|pastorale con qualche facile tratto di arrampicata e da una breve ferrata arriviamo fino al belvedere nominato Ochesseleck, sempre accompagnati dalla musica proveniente dal rifugio. Non ci resta che divallare velocemente, la strada per casa è ancora lunga, ripropondeci(come sempre) di tornare.

14 Verso lSettembre 1988