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Archive for the ‘Bregaglia’ Category

Pizzo Badile, l’incompiuta allo spigolo Nord

Sfoglio a ritroso il mio diario delle salite fermandomi al lontano Agosto del 1987, il secondo nello strano mondo dell’alpinismo. Fra le varie proposte e per sfruttare al meglio i pochi giorni di ferie esulando dal solito tris Giulie-Carniche-Dolomiti esce a sorpresa il Pizzo Badile, non la vetta più alta (3308m) ma la più famosa fra i monti di granito della Val Bregaglia. Da farsi per il classicissimo spigolo N (via W. Frisch e A. Zurcher del 1923), più di 700 m di dislivello con difficoltà fino al IV+. Una salita piuttosto ambiziosa (anche troppo come si vedrà), nel versante svizzero del gruppo. Ai soliti compagni di corda e per fare numero pari si aggiunge all’ultimo momento un fresco reduce del corso roccia,così siamo in ben sei a partire verso le Alpi Centrali complicandoci ancora di più la vita. Solo due di noi hanno una qualche esperienza di alta montagna, per gli altri è la prima volta. Da Milano saliamo la Valtellina costeggiando quel ramo del lago di Como fino a Lecco e poi a Chiavenna, allo sbocco della val Bregaglia. C’era appena stata l’alluvione e le devastazioni sono ancora impressionanti, immensi cumuli di ghiaie costellano il percorso, mentre noi ce ne andiamo a spasso la popolazione cerca di rimettere assieme i pezzi. Ma si sa, alpinista fa rima con egoista quindi continuiamo per la nostra strada. Dalla cittadina svoltiamo a destra sulla strada che porta in Svizzera e al Passo del Maloia , confine con l’Engadina. A Castasegna entriamo nella confederazione, pochi km dopo lasciamo la statale per fermarci a Bondo e pagare il pedaggio che consente di proseguire fino a Laret in val Bondasca. Addetto alla riscossione è il negozio di Salis, cosa improponibile per la borbonica burocrazia italiana. Qui è tutto di granito, case, tetti e camini per non parlare delle montagne, il grigio Serizzo domina dappertutto. Dal parcheggio (strada bianca) dopo aver passato il torrente su un ponticello ci portiamo in breve (poco più di un’ora) al rifugio Sasc Fourà 1904m dove avevamo saggiamente prenotato visto che è strapieno. Il luogo è incantevole, posto com’è fra la fiorita vegetazione e gli ultimi larici, verso S si osservano i selvaggi ghiacciai che si annidano negli alti valloni, più in alto un’accozzaglia di pareti e spigoli dai nomi celebri, Cengalo, Badile, Monti del Ferro, le Sciore… a dirla tutta rimango alquanto intimidito. Come incoraggiamento durante la notte si scatena Giove Pluvio con fulmini e pioggia a dirotto e spero fra me che continui anche l’indomani. Niente da fare, sveglia alle 4 e dopo colazione partiamo, dal rifugio si percorre il dosso con il quale termina in basso lo spigolo fra pietroni e placche con qualche lingua di neve fino all’attacco. La cosa sorprendente è vedere i numerosi alpinisti che escono da buchi e anfratti, hanno pernottato all’aperto nonostante la temperatura non sia proprio balneare. Dopo aver nascosto gli scarponi e messe le lisce ci inoltriamo sulla via. Mi lego con Maurizio, Nevio con Daniele e Amorino con Stefano. Non ci sono problemi di orientamento e le difficoltà sono alla nostra portata, i punti di sosta sono già attrezzati con chiodi e mazzi di cordini. Arriviamo fino alla grande placca di 4° sup. prima di rinunciare, freddo e vento la fanno da padroni e la vetta resta ostinatamente celata dalle nubi. Ci aspettano numerose calate a corda doppia, una rimane anche incastrata. A valle torniamo nel primo pomeriggio, lo passiamo a rimuginare. Anche il giorno dopo il clima è incerto ma con meno vento e riproviamo lottando oltre che con l’alpe anche coll’affollamento superando con innumerevoli tiri di corda tutte le maggiori difficoltà, quando la pendenza diminuisce e lo spigolo si appoggia (III) tocca fare un esame di coscienza. Proseguire significa scendere per la sconosciuta normale al rifugio Gianetti (in Italia) e l’indomani tornare al Sasc Fourà per improbabili forcelle nevose (e non abbiamo l’attrezzatura) oppure scendere in nei patri lidi e in taxi tornare a Bondo e salire ancora al rifugio dove abbiamo depositato il superfluo. Viene deciso che sono meglio le doppie, con sei corde a disposizione il primo che scende va ad attrezzare la seguente e così via. Nonostante questo rientriamo al Sass Fourà alle 10 di sera piuttosto abbacchiati. Scesi a valle dopo un giro a Sankt Moritz torniamo a casa più arricchiti nell’esperienza utile per il futuro, nelle ulteriori visite ad occidente non ho mai mancato il bersaglio.

1 Fontana a Bondo

2 Parcheggio a Laret

3 Si comincia con un ponticello

4 Un Alpeggio

5 Arrivo al rifugio

6 Al Sasc Fourà

7 Oziando sulle placche

8 Genziane

9 Verso l'attacco

10 Sole malato sulla via

11 Lo spigolo

12 La rinuncia

13 Il Badile dall'attacco

14 Le Sciore

15 Il secondo tentativo

16 Sullo spigolone

17 Passaggio in cengia

18 Monti della Val Bregaglia

19 Un momento della salita

20 Sulla grande placca

21 Piuttosto in alto

22 La ritirata

23 A Sanct Moritz

La via è descritta nella nelle guida del Club Alpino, anche se è difficile perdersi anche senza data l’alta frequentazione.

Cima di Cantone 3352 m, parete Nord, una via di ghiaccio nel regno del granito

settembre 19, 2011 1 commento

Soglio, il più bel paese della valle

Val Bregaglia

Pizzo Spazzacaldera , 2487 m, via comune, PD

Ringalluzziti dalle belle salite fatte nei giorni precedenti in Bernina, decidiamo di protrarre il nostro poco riposante soggiorno nelle Alpi Retiche ancora per qualche tempo trasferendoci nel regno del granito in val Bregaglia. Risaliamo verso Ovest l’alta Engadina e, superato il passo del Maloja ci dirigiamo verso la centrale delle tre valli che scendono verso Nord da questi monti: la valle Albigna, il cui accesso è facilitato da una piccola funivia, costruita a servizio della diga soprastante e gestita direttamente e a chiamata dalla società elettrica. Si suona e dopo un lasso di tempo ragionevole arriva il custode dello sbarramento, che fa pure da addetto e bigliettaio e trasporta a monte i clienti. Immaginate una cosa simile nei lidi italici, sarebbero necessarie una ventina di persone, oltre a dover rifare l’impianto di risalita certamente non a norma spendendo al minimo una trentina di milioni (di Euro). La capanna Albigna si trova oltre la diga a una mezz’ora di cammino e un 200 metri di dislivello. Passati al rifugio e prenotato,  lasciando tutto il peso superfluo, torniamo sui nostri passi : al di là del lago con trecento metri di dislivello affrontiamo il primo tratto della via normale del Pizzo Spazzacaldera 2487 m, PD dice la nostra guida, ma abbiamo delle mire più ambiziose, sulla cresta Nord di questa cima si erge la Fiamma, una audace guglia alta appena venti metri che attrae irresistibilmente tutti gli alpinisti che passano di qui. Mentre ci avviciniamo vediamo una cordata che sta arrivando in vetta, noi ci prepariamo e partiamo baldanzosi, ma a metà salita ci attende una ostica traversata su una placca che nessuno riesce a superare, né i due futuri istruttori nazionali e nemmeno l’altrettanto aspirante istruttore biveneto né tantomeno lo scrivente che in tutta la sua vita l’unico diploma e titolo che ha preso è stato quello di perito industriale. Propongo allora, visto che la nostra meta, per un banale quanto si vuole passaggio di quinto resta inaccessibile, di andare sullo Spazzacaldera, al che i compagni si ritraggono scandalizzati, e io ci vado solo soletto traendone comunque la soddisfazione che conoscono tutti gli appassionati. Mogi mogi poi rientriamo al rifugio con la coda fra le gambe.

Salita al Pizzo Spazzacaldera

La Fiamma della Val BregagliaCima di Cantone, parete Nord, via Godet-Rutter, AD+, pendenza 45°-55°

La sera al rifugio si consuma una clamorosa separazione delle coppie degna di una rivista di gossip: l’amico con il quale ero partito inaugura un’unione di fatto, che dura tuttora, con il più forte della squadra, io mi aggrego volentieri con l’amico Nevio, che condivide con me la passione per le grandi cime e le salite con i piedi bagnati, insieme parecchie volte nel futuro condivideremo fatiche e rischi. Mentre i nostri amici hanno in programma la salita del Biopfailer, un pilastro granitico alto 200 m con vie dure ma tutto sommato di palestra, noialtri ci proponiamo la salita dello scivolo di ghiaccio N della Cima di Cantone, una delle cime più elevate del gruppo. Alle cinque del mattino seguente partiamo dalla capanna dirigendoci verso Nord, prima su sentiero poi per blocchi fino ad arrivare sulla morena del ghiacciaio del Cantone, scendiamo su questo e con un lungo giro a destra per evitare una zona crepacciata in tre ore siamo alla terminale. Ci rendiamo conto che non sarà una passeggiata dal colore scuro dei pendii, indice sicuro di ghiaccio vivo (le vie di questo tipo andrebbero fatte quando sono di neve) e dai molti pietroni sparsi lungo la salita. Valicata la spaccatura siamo in ballo sperimentando la goduria dei crampi ai polpacci salendo sulle punte dei ramponi. Al centro della parete affiora un isolotto roccioso, la via originale vi passa a destra, ma optiamo per la variante di sinistra di poco più ripida uscendo sulla cresta NE che si percorre verso destra e alla solitaria vetta costituita da un caotico ammasso di sfasciumi (altre quattro ore). Una breve sosta per ritemprarci e cancellare l’ignoranza sugli innumerevoli monti che ci attorniano ed è ora di pensare alla discesa. Guardando verso il basso si nota la bocca spalancata della crepaccia che ci aspetta, dopo rocce che più friabili non si può, quindi decidiamo per una doppia che ancoriamo a un roccione appoggiato sacrificando una lunga fettuccia e con qualche acrobazia posiamo i piedi, oltre il crepaccio, sul crepacciato ghiacciaio del Castello che discendiamo in cordata e senza alcuna traccia di passaggio , indi al ghiacciaio dell’Albigna (questo scoperto, quindi sicuro). L’ultimo problema lo troviamo al guado del torrente che si è notevolmente ingrossato nel pomeriggio e in quattro ore varchiamo la porta della capanna. Ultimo pernottamento, il mattino dopo piove ma come dicono in altri luoghi “nun ce ne po’ fregà de meno”, dobbiamo rincasare.La sera al rifugio si consuma una clamorosa separazione delle coppie degna di una rivista di gossip: l’amico con il quale ero partito inaugura un’unione di fatto, che dura tuttora, con il più forte della squadra, io mi aggrego volentieri con l’amico Nevio, che condivide con me la passione per le grandi cime e le salite con i piedi bagnati, insieme parecchie volte nel futuro condivideremo fatiche e rischi. Mentre i nostri amici hanno in programma la salita del Biopfailer, un pilastro granitico alto 200 m con vie dure ma tutto sommato di palestra, noialtri ci proponiamo la salita dello scivolo di ghiaccio N della Cima di Cantone, una delle cime più elevate del gruppo. Alle cinque del mattino seguente partiamo dalla capanna dirigendoci verso Nord, prima su sentiero poi per blocchi fino ad arrivare sulla morena del ghiacciaio del Cantone, scendiamo su questo e con un lungo giro a destra per evitare una zona crepacciata in tre ore siamo alla terminale. Ci rendiamo conto che non sarà una passeggiata dal colore scuro dei pendii, indice sicuro di ghiaccio vivo (le vie di questo tipo andrebbero fatte quando sono di neve) e dai molti pietroni sparsi lungo la salita. Valicata la spaccatura siamo in ballo sperimentando la goduria dei crampi ai polpacci salendo sulle punte dei ramponi. Al centro della parete affiora un isolotto roccioso, la via originale vi passa a destra, ma optiamo per la variante di sinistra di poco più ripida uscendo sulla cresta NE che si percorre verso destra e alla solitaria vetta costituita da un caotico ammasso di sfasciumi (altre quattro ore). Una breve sosta per ritemprarci e cancellare l’ignoranza sugli innumerevoli monti che ci attorniano ed è ora di pensare alla discesa. Guardando verso il basso si nota la bocca spalancata della crepaccia che ci aspetta, dopo rocce che più friabili non si può, quindi decidiamo per una doppia che ancoriamo a un roccione appoggiato sacrificando una lunga fettuccia e con qualche acrobazia posiamo i piedi, oltre il crepaccio, sul crepacciato ghiacciaio del Castello che discendiamo in cordata e senza alcuna traccia di passaggio , indi al ghiacciaio dell’Albigna (questo scoperto, quindi sicuro). L’ultimo problema lo troviamo al guado del torrente che si è notevolmente ingrossato nel pomeriggio e in quattro ore verchiamo la porta della capanna. Ultimo pernottamento, il mattino dopo piove ma come dicono in altri luoghi “nun ce ne po’ fregà de meno”, dobbiamo rincasare.

La Cima di Cantone, sopra il ghiacciaio la parete N11-12 Agosto 1988

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