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Archive for febbraio 2016

Pic du Midi d’Ossau (o Grand Pic, 2884m) per la via Fouquier (D)

febbraio 29, 2016 Lascia un commento

Cartina

Rientrando al rifugio del Pombie veniamo accolti abbastanza benevolmente (per la media dei duri gestori francesi), gli italiani qui d’altronde devono essere piuttosto rari, cenare con l’anatra è poi una prelibatezza che non ci aspettavamo mentre in questi luoghi è più comune che il pollo… Per il giorno seguente ci proponiamo la classicissima via Fouquier, max 4+, sono 450 metri d’arrampicata più 200 facili fino alla cima maggiore per la parete Est. Come il giorno prima al mattino qualche velatura  indugia ancora poi il tempo migliora (sarà una costante, nonostante questo in dieci giorni non abbiamo preso manco una goccia di pioggia). Il gran Pic è una montagna complessa attorniata da parecchi satelliti accomunati dalle verticali pareti che precipitano da tutti i versanti e dove sono stati tracciati numerosi itinerari di varia difficoltà, purtroppo manca uno facile dato che anche la via normale oppone dei passaggi di 2°. Ce la prendiamo comoda, partiamo alle 9, una traccia non distante dalle pareti arriva fino a un nevaio, fra questo e le rocce si trova l’attacco, una larga svasatura fra due risalti. Qui ci leghiamo cominciando a salire sulle lisce placche rossastre senza itinerario obbligato. Il granito è eccellente, si arrampica quasi sempre in aderenza sfruttando le asperità, a dire il vero la cordata che ci precede aiuta, c’è qualche problema per attrezzare le soste ma ce la caviamo discretamente. Dopo questo primo tratto (che rimane il più impegnativo) c’è  il passaggio obbligato fra un contrafforte orientale e il pilastro del Doigt du Pombie (il dito). In questo tiro il colori delle rocce sono talmente accesi che ricordano un distributore di benzina, ora si esce a un circo sospeso dove l’orientamento non è facile. Però le difficoltà diminuiscono di un buon grado e ci si può alzare quasi ovunque, destreggiandosi fra i pietroni ricoperti di licheni (una delizia con il bagnato) fino a guadagnare il Rein du Pombie, un caotico insieme di pietroni che coincide in sostanza con la zona sommitale. Guai trovarcisi con la nebbia! È talmente vasta che anche con gli ometti, specialmente per i sottoscritti che non conoscono i luoghi, sarebbe un problema con molte incognite. Camminando ci dirigiamo prima alla Pointe de France e per  amabile cresta a blocchi alla massima elevazione o Pointe d’Espagne. Panorama indescrivibile, verso la regione Iberica è tutto un mare di nubi che arriva probabilmente fino all’Atlantico, verso la Francia non cambia molto, emergono solo alcune alte vette dei Pirenei Centrali. Noi siamo al sole, questo è l’importante. In vetta facciamo conoscenza con due catalani, padre e figlio, questo con un, come si usa dire, un brutto male, che ha espresso il desiderio di salire questa vetta finchè può! Altrochè le nostre diatribe sull’etica dell’alpinismo. Ci accompagniamo con loro in discesa per la normale in versante ENE. Al limite del Rein du Pombie una freccia indica l’inizio, il percorso è su sentiero ma bisogna anche superare tre caminetti sul 2° grado. Dopo di che si torna sul sentiero, i camosci pirenaici, più piccoli di quelli alpini ma ben più confidenti, sono ancora in postazione. Li avevamo già incrociati al mattino come avevamo già adocchiate le splendide fioriture di iris. Recuperato il materiale lasciato al Pombie divalliamo al Col du Portalet, dove arriviamo alle otto e mezza. Cena (uffa, la solita anatra) e pernottamento nell’alberghetto, tutto ciò il 12 Agosto del ’96.

1 Mattino al rif. del Pombie

2 Dalle nebbie mattutine emerge il Pic du Midi d'Ossau

3 Le placche della via Fouquier

4 L'attacco

5 L'inizio dell'arrampicata

6 Sulla via

7 Il passaggio presso il Doigt du Pombie

8 Sul tratto alto

9 I Pirenei Centrali dal Rein du Pombie

10 Mare di nuvole

11 Sul Rein du Pombie

12 Il Petit Pic, la cima del giorno precedente

13 La Pointe d'Espagne

14 Il catalano sulla Pointe de France

15 Traversata fra le due punte

16 Vista verso valle

17 Lo spettro di Brucken

18 Freccia all'inizio della normale

19 La verde valle del Pombie

20 Greggi e Iris

21 Escursionisti e camosci sulla traccia che porta al rifugio

22 Camosci Pirenaici

 

 

Petit Pic du Midi d’Ossau (2807m), la traversata Cresta di Peyreget-Couloir S della Fourche

febbraio 28, 2016 Lascia un commento

Per svariare dalle consuete gite nelle Giulie, Carniche e Dolomiti voglio ricordare la decina di giorni trascorsi nei Pirenei, il luogo più lontano che ho visitato.

E’ una storia lunga 50 milioni di anni quella della formazione dei Pirenei, quindi prima delle Alpi, montagne di confine fra il Sud della Francia e il Nord della Spagna con l’Atlantico a O e il Mediterraneo a E per una lunghezza 450 km mentre la larghezza è ben minore, ampia alle estremità più ristretta al centro dove si trovano le cime maggiori e  più interessanti per l’alpinista. Me ne ero invaghito per le foto di un articolo pubblicato sulla rivista del CAI ad opera di un certo Franco Michieli, personaggio forte e selvatico, che ne aveva fatto la traversata fra i due mari senza mai pernottare in rifugio, altre notizie rigorosamente in francese le avevo trovate nella biblioteca della SAF in un libretto dedicato al Pic du Midi d’Ossau e nel tomo “Le cento più belle”. I centri più popolosi (per modo di dire) si trovano a valle, solo qualche villaggio si spinge talvolta qualche centinaio di metri più in quota dove la pastorizia è ancora piuttosto praticata. La città di Pau nel versante francese è il capoluogo dell’Aquitania, più nota è la cittadina di Lourdes poco lontana per i pellegrinaggi. Il versante francese, più ripido, ha un clima che risente del vicino Atlantico, mentre arido e a pendenza più dolce è quello Iberico. Il nostro programma di massima non prevede un trekking ma delle puntate nei luoghi che riteniamo più interessanti  pernottando nei rifugi  o nelle vallate a seconda della situazione. La nostra prima destinazione è il Parco Nazionale francese che copre un’area di circa 500 km quadri fra i Pirenei Centrali e Atlantici. Nell’Agosto del 96 colma di varie attrezzature e con in dotazione qualche fotocopia la vecchia Astra SW intraprende la lunga traversata verso il West, oltre al redattore l’equipaggio ha un unico passeggero che è poi il compagno d’avventura Nevio. I chilometri da percorrere sono 1500, una passeggiata quasi tutta in autostrada, non mi dilungo nella descrizione, passiamo il confine in Liguria e poi bisogna attraversare tutta la Francia, ricordo una breve sosta per ammirare la città Medioevale di Carcassonne (ricostruita). Avvicinandosi alle montagne ci sono monumenti e cartelloni che riportano alle tappe del Tour e ai mitici passi del Aubisque e del Tourmalet, fermandosi solo per necessità alimentari e fisiologiche alle nove di sera arriviamo a Pau, città ordinatissima, quasi tedesca, dove si potrebbe pernottare ma l’amico non condivide anche perché qui la sera è in ritardo. Quindi si prosegue lungo la valle d’Ossau verso il Col du Portalet al confine fra Francia e Spagna e rischiando di dormire in auto, passiamo senza fermarci accanto al bel rifugio del CAF, l’ultima occasione è a Gabas, poche case a mezza strada dal passo dove ceniamo (bene) e dormiamo (male) in una specie di topaia fuori dal paese . Il mattino seguente verso le sette saliamo al valico in auto affacciandoci alla Spagna e qui posteggiamo a 1794m.

1 Carcassonne dall'Autostrada

2 Col du Portalet

3 Il Pic du Midi d'Ossau dal passo

4 Il paesaggio alla partenza

6 Il sentiero che porta al rifugio

7 Una presenza costante, l'Iris

9 Il rifugio del Pombie

Petit Pic du Midi d’Ossau, 2807m, la traversata Cresta di Peyreget-Couloir S della Fourche (AD inf.)

Già dal Colle si ha modo di ammirare la bifida piramide di granito di questa solitaria montagna, la più importante, elegante e isolata dei Pirenei Atlantici che in un remoto passato era la caldiera di un vulcano.    Siamo ancora piuttosto spaesati dal micidiale chilometraggio del giorno precedente e facciamo una sosta di orientamento, il verde paesaggio d’altronde lo merita. Gli ubertosi pascoli sono fittamente popolati da greggi e pastori di ovini sovrastati da catene di monti inconsueti. Seguendo le indicazioni ci incamminiamo sul tranquillo sentiero  che verso Ovest (destra) sale aggirando un rilievo secondario in circa un’ora al recente Rifugio del Pombie (2032m) a SE del massiccio, qui bisogna trattare il pernottamento. La parola magica per ottenere ospitalità è “pensione completa” dato che i nostri vicini d’oltralpe sono piuttosto sparagnini e amano viaggiare caricati di tende, gamelle e fornelli, rispolverando il mio francese scolastico ci assicuriamo un giaciglio per la notte. Tranquillizzati ripartiamo dopo avere lasciato parte del carico al ricovero avviandoci verso oriente sul facile sentiero segnalato che costeggia un incantevole piccolo laghetto per poi alzarsi fino al Col di Peyreget (quota ignota). Ci portiamo parecchio materiale, una corda, l’imbrago più vari cordini e un assortimento di dadi. Pensiamo di aver esagerato e non ci facciamo una bella figura, menomale che non c’è nessuno in giro. La cresta (anche confine con la Spagna) sale alla cima da Sud evitando i tratti più impegnativi sulla destra con percorso vario (sul filo si sviluppa la più impegnativa via delle “Flammes de Pierre), la roccia eruttiva risulta simpaticamente salda e tagliente e saliamo slegati,  ci viene il dubbio che tutte le nostre masserizie siano inutili. Frattanto cala la nebbia, comunque il percorso abbastanza intuitivo ci permette di arrivare in vetta senza grandi complicazioni, non senza la collaborazione di qualche ometto. Dalla qui ci si affaccia alla Fourche, la sella con la cima più alta, della quale si ammirano le pareti. Il couloir scende verso  S è una classica via di misto che ci attira anche se non possediamo gli attrezzi da neve. Non resistiamo al richiamo e ci caliamo all’intaglio per facili roccette e caminetti di II. Subito la situazione si complica e siamo contenti di esserci someggiata la corda, superiamo un primo salto roccioso con una doppia. Il colatoio continua alternando tratti detritici (dove rinveniamo anche uno zaino) a lingue di neve dura abbastanza impiccate con ai lati oscuri crepacci che richiedono ancora delle calate. L’ambiente è fra l’orrido e l’affascinante, dopo tante peripezie sortiamo verso destra  sui verdi a monte del rifugio. Sette ore per questa prima avventurosa salita nei Pirenei, difficoltà discontinue dal I al III, 11 Agosto 1996.

8 Il Pic du Midi d'Ossau

10 Verso il Col du Peyreget

11 L'attacco della cresta

12 All'inizio della via

13 Una rampa nel versante spagnolo

14 Sul filo

15 Sulla cima incombono le pareti del Pic d'Ossau

16 Discesa alla Fourche

17 La prima corda doppia

18 Sfasciumi e detriti

19 Crepaccia a lato del nevaio

20 Una ulteriore calata

21 Con questo traverso usciamo dal settore più impegnativo

22 Torniamo sulle rocce

23 Il lago e il rifugio

 

 

Monte Cocco, Cima Bella e Sagran, il trittico della Val Uqua

febbraio 23, 2016 2 commenti

Malgrado le fosche previsioni di mille e non più mille l’ingresso nel 2000 è avvenuto senza inconvenienti memorabili , a parte qualche cadavere e molti feriti dai botti nella consueta baraonda, come nota di demerito ho dovuto andare a Udine in piazza Primo Maggio a causa di ospiti in casa provenienti dalle lontane Americhe. Per smaltire i bagordi qualche giorno dopo programmiamo un’uscita in val Uqua. Devo dire che con Ugovizza, il paesello a valle, mi è rimasto un rapporto affettivo visto che nella caserma Solideo d’Incau ho trascorso gli ultimi mesi di naia con il grado di sergente. Bando a queste tristezze, dall’amato villaggio prosegue una rotabile che si alza lungo la vallata sulla destra del torrente fino al bivio nei pressi della locanda al Camoscio dove si parcheggia (1130m). Da qui si deve imboccare la strada di sinistra (divieto poco innanzi, anche senza questo non si potrebbe andare oltre per l’innevamento), che passa accanto all’Agriturismo Rosiz e prosegue in ambiente gradevole fra baite e fienili. Il clima piuttosto freddo è alquanto mutevole e alterna banchi di nebbia a qualche schiarita, fin dove reperibile si sta sulla carrareccia e in seguito uscendo dalle scure abetaie si sale su docili pendii di neve seguendo le tracce dei numerosi predecessori con gli sci (Cocco 1941m e Cima Bella 1911m sono una manna per lo scialpinista quando le mete più ambiziose restano off limits) fino ad arrivare prima delle due dove si brinda con le rimanenze di capodanno. Il cielo si va rasserenando quindi si decide di proseguire per la facile dorsale verso la Cima Bella che sta poco più a N non senza perdere prima un centinaio di metri di quota. Se sulla prima non c’era nessuno questa è parecchio popolata, un’austriaca disinibita si cambia gli indumenti bagnati mettendosi senza problemi a torso nudo, l’amico che occhieggia (come tutti) viene ripreso dalla moglie, unica rappresentante del sesso debole del gruppo, con male parole. Dopo questo piacevole inconveniente c’è ancora del tempo a disposizione e il Sagran, verso oriente, non pare troppo lontano. Qui si aggrega alla compagnia anche un cane, trattasi di un Huski con gli occhi di colore diverso che ci segue. Perdiamo ancora  circa 200m fino alla larga sella fra le conifere e poi ci meritiamo anche la terza cima (1931m). Qui uno dei giovani, che in un eccesso di prudenza si è portato anche la corda, propone di superare i dirupi verso sud con una doppia, detto e fatto, non possiamo abbandonare da solo l’esemplare canino e Claudio si cala con l’imprudente animale in braccio. Poi scendiamo liberamente fra gli abeti fino a intersecare la via di salita. Il dopogita si consuma all’agriturismo che risulta il legittimo proprietario del cane che a detta della signora si accompagna spesso agli escursionisti in transito. Gita facile ma resa faticosa dalla neve, i panorami sono comunque molto appaganti. Tra vecchi, di media età, giovani con il cane una decina di partecipanti.

1 Salendo al Cocco

2 Controluce su uno dei componenti

3 Un terzetto sugli amabili pendii

4 Arbusti congelati

5 Verso il Monte Cocco di fronte la Cima Bella

6 Un brindisi al nuovo millennio

7 Coninuando la traversata

8 Nell'incantesimo della galaverna

9 Il cane ci guida nella traversata

12 Cocco e Cima Bella

11 Stavoli verso la Carinzia

13 A Est l'Osternig

14 Un'ulteriore cima di confine, probabilmente il Sagran

15 Continuando sulla dorsale

16 Si prosegue verso Est

17 Vista verso le montagne dell'Austria

18 Sagran o Starhand

Cimon di Palantina al confine fra Alpago, Cansiglio e Piancavallo

febbraio 16, 2016 Lascia un commento

Con i suoi 2193 m è una delle cime più elevate del sottogruppo del Monte Cavallo o Cima Manera. Da questa cima principale si diramano due dorsali a formare il circo della val Sughet aperto solo verso Sud, il Cimon di Palantina è il maggior rilievo di quella occidentale che si affaccia al bosco del Cansiglio. Da questo versante ci approssimiamo con un lungo giro in auto, da Vittorio Veneto saliamo alla sella del Fadalto per scendere verso il lago di S. Croce fino al primo bivio. Qui prendiamo a destra verso l’altopiano dell’Alpago e con percorso abbastanza complicato traversando gli abitati di Tambre e S. Anna arriviamo infine a Canaie, 1069m, il nostro parcheggio. Apprendo dalle mie letture che lo sperduto villaggio ha origine dai Cimbri, un popolo di origine germanica che misteriosamente si è stabilito qui, chissà se parlano ancora la loro lingua. Ai posteri l’ardua sentenza, non si vede un’anima in giro, arriviamo comunque a identificare l’inizio del sentiero 922. Procediamo in direzione O su un costone con qualche abete e poi nel luminoso bosco di faggi (ci troviamo d’altronde nel bosco del Cansiglio) abbastanza agevolmente sulla poca neve già trasformata. Solamente nell’ultimo scuro tratto a conifere bisogna faticare e parecchio fino a che ci affacciamo all’improvviso al soleggiato pascolo della casera Palantina, 1627m. La casera è usata ancora per gli ovini e offre anche un buon riparo, il posto con è una vera meraviglia, a destra le ombrose e rocciose pareti del Colombera, proseguendo in senso antiorario la splendida pala nevosa della nostra destinazione, salendo qualche metro ci si affaccia alla valle del Piave alle Dolomiti. Continuiamo la salita spostandoci nei pressi e sulla cresta Ovest, il manto nevoso risulta abbastanza ospitale,  non richiede l’uso dell’abbondante attrezzatura che ci siamo trascinati dietro, i bastoni sono sufficienti. Verso la fine superiamo una corta fascia rocciosa che rende l’ascensione più completa. L’uscita al dorso sommitale è entusiasmante a parte il freddo vento che ci aspetta al varco, ma la giornata nitidissima che ci dà una mano a sopportarlo. La Croce di Ferro di piccole dimensioni che segna il culmine non è troppo invasiva. Belle e inaccessibili cornici sporgono per parecchi metri sulla Val Sughet, in primo piano le altre cime del Cavallo ecc.ecc. (Spero che le scadenti foto rendano l’idea). Più di 1100 metri il dislivello in quattro ore, abbiamo sforato di ¼ d’ora l’orario indicato dalla guida, nun ce ne po’ fregà de meno. Ridiscendiamo per la via di salita, un’altra sosta alla casera e poi giù a valle.

Febbraio 1995, Sandron e Sandrin, Giorgio e Saro.

1 La Schiara si specchia nel lago di Santa Croce

2 Pian Canaie

3 Faggi nella foresta del Cansiglio

4 Uscendo dal bosco si svela il Cimon di Palantina

5 Casera Palantina

6 Salendo il panorama si amplia alla val Belluna e alle Dolomiti

7 Sui pendii

8 Avvicinandosi alla cresta

9 Si costeggia il versante Nord

10 Ancora più a settentrione il rifugio Semenza

11 Il breve tratto roccioso prima della cima

12 Ci siamo quasi...

13 La cresta Cavallo-Col Nudo, più lontani Civetta, Pelmo, Antelao e Duranno

14 In Cima

15 Che spettacolo!!

16 La Croce con la criniera

17 Cornici verso la val Sughet

18 La discesa

19 Le pareti del Colombera

20 I nostri eroi alla casera

21 Casera e cima Palantina

 

Monte Calvo (Goljak 1495m) due gelide salite

febbraio 11, 2016 Lascia un commento

L’altopiano della Selva di Tarnova o Trnovskj Gozd sopra la valle del Vipacco (Vipava) è in gran parte boscoso, faggi in basso e abeti in alto, e le fasce forestali scendono di un migliaio di metri rispetto alle Alpi, solo la quota più elevata è, come dice il toponimo, abbastanza sgombra dalla vegetazione che si limita ai mughi. D’inverno è una specie di inospitale congelatore battuto dalla bora ma tutto questo ci era ignoto quando nel Gennaio del 2003, in piena crisi di nuove mete, decidiamo di andare sulla cima più alta che è il Monte Calvo o Goljak. Passato il confine a Gorizia e traversata Nova Gorica in direzione N costeggiamo poi l’Isonzo fino alla deviazione sulla destra per Montesanto e tralasciata questa spirituale deviazione ci portiamo alla spianata di Loqua (Lokve) dove in passato c’erano addirittura degli impianti sciistici, 960 m di quota. Un muro di neve sbarra la prosecuzione e scendiamo dal mezzo meccanico per consultare la tabella informativa. L’impatto con l’esterno è a dir poco devastante e ci ritiriamo in buon ordine fino a una vicina gostilna, rianimati da uno slivoviz siamo pronti  all’audace impresa. Varchiamo il nostro Rubicone ossia la barriera nevosa e procediamo sulla forestale, l’unico incontro è con una atletica fondista goriziana. Ancora esitazioni all’arrivo a Mala Lazna, una radura con baita (chiusa vista la stagione) dove c’è un bivio, a sinistra si va in salita alla grotta ghiacciata, come verrà confermato in una gita estiva posteriore. Proseguiamo diritti e in piano fino al cartello che ci propone, salendo a sin., l’Iztokova Koca che è poi il rifugetto sotto la cima. Salendo fra i faggi ricoperti dalla brina siamo talmente incantati che non diamo retta alle sue sirene e con un ultimo tratto appena più ripido arriviamo alla meta. C’è una tavola d’orientamento e il panorama spazia sulla Slovenia e i suoi monti oltre che sul congelato ambiente circostante. La temperatura è polare e l’amico Gigi, come al solito poco coperto, teme per l’incolumità dei suoi gioielli si ferma meno del sottoscritto. Torniamo al rifugio, è piuttosto frequentato e offre (orrore!) più di 150 tipi di grappa. Dopo averne assaporate un paio desistiamo, è ormai l’ora che volge al desio, meglio avviarsi verso la mitica Land Rover. Con il nominato Vigjut e la moglie Eliana.

Per la seconda puntata della telenovela nel Dicembre del 2005 si opta per l’approccio da Nordest  con una compagine più agguerrita. Due eminenze del GRA (io e ancora Gigi), due giovani con le morose cui si aggiunge Giorgio, un outsider diversamente giovane. Risaliamo l’amena valle del Vipacco fino a Aidussina e Vipava per svoltare a sin. poco dopo e portarsi a Predmeja (882m) e poco più innanzi lungo la carrozzabile. Al parcheggio desta la mia curiosità una tabella che indica l’Otlinsko Okno, una finestra rocciosa sulla larga vallata che ho visitato anni dopo e sulla quale ho pubblicato anche uno dei miei scadenti articoli. Un tratto stradale poi il rifugio e la cima, condizioni climatiche più o meno come nella precedente visita. Di diverso c’è il dopogita nella trattoria di Vipava alle risorgive del fiume. Per il modesto dislivello le gite sono fattibili in mezza giornata.

1 La radura di Mala Lazna

2 Il rifugio nella foresta

3 La traccia fra i faggi scheletriti dal gelo

4 Gli amici in cima

5 Vista sulla Selva di Tarnova

6 Dalla tavola d'orientamento le Giulie Orientali

7 Al rifugio

8 La collezione di grappe

9 Galaverna nel bosco

10 Ambiente incantato

11 Lontano s'indovina il golfo di Trieste

12 La compagnia

13 Effetti grafici

15 Indicazioni

16 Un'altra immagine del rifugio

17 Neve dura scendendo alla strada

Rodica (1966m), la prima gita nella valle della Baca

febbraio 7, 2016 3 commenti

I monti di Bohinj si elevano come una grande muraglia orientata da E a O a spartiacque fra la valle del lago stesso e quella della Baca (Baccia nel ventennio), sulla cresta transita la trasversale Slovena che in gran parte ricalca le mulattiere militari di percorso tutto sommato elementare. Il versante rivolto al lago è più domestico e il bosco arriva quasi alla dorsale mentre quello a Sud è alquanto più ripido. D’inverno tutto cambia, la cresta si corazza spesso di neve e ghiaccio e bisogna attrezzarsi adeguatamente, la  Rodica è una delle cime più alte e si trova circa alla metà della dorsale. Per la prima visita riandiamo al Gennaio dell’85. Da Caporetto scendiamo la valle dell’Isonzo fino a Tolmino e a Santa Lucia (Most na Soci) dove si svolta a sinistra (è la strada per Idria) poi ancora, al primo bivio sempre dallo stesso lato entrando nella valle della Baca che si segue fino a Koritnica, uno dei numerosi quanto poco popolati paesi del versante solatio. Qui una stretta rotabile asfaltata sale in direzione Nord, la percorriamo tutta fino all’ultimo borgo a nome Grant (circa 730 metri  la quota. La documentazione in possesso è una cartina Freytag e Berndt al 100.000 più qualche notizia trovata sulla ristampa anastatica di una guida degli anni 30. Dalle case continua una strada forestale che in mancanza di altre opzioni è giocoforza seguire, sale nella foresta di alti faggi fino a un bivio, qui seguiamo la diramazione di sinistra fino a una baita in legno che come d’uso in questi luoghi è ben serrata a chiave. Il tempo, sul bello ma variabile ci offre anche qualche fiocco di nevischio, che va ad ingrossare il manto che da un bel po’ stiamo pestando. Neve che è comunque buona, anche troppo come verificheremo in seguito. Alquanto spaesati dalla casetta saliamo verso la cresta seguendo il nostro infallibile istinto destreggiando più sopra fra i faggi contorti fino a guadagnare un rilievo quotato con ometto di sassi che forse si noma Peci (1727m). Da dove si rivela la Rodica, abbiamo fallato, si trova a oriente, proseguendo sulla dorsale ci caliamo alla forcella, poi c’è da risalire il versante Ovest  che sembra alquanto comodo. Infatti è così, solo che i facili pendii che abbiamo fino ad ora calpestato diventano duri come il marmo e bisogna calzare i ramponi, che il Maurin non si è portato conservandoli per andare sul Cuarnan l’estate prossima. Gli cedo la mia piccozza, è un piacere vederlo finalmente nei casini mentre sgarfa con i due attrezzi, ne rimette la mia sicurezza, con i soli ramponi se si parte non ci si ferma. Dopo tutte queste traversie non siamo neanche premiati, quando arriviamo in cima cala repentinamente la nebbia. Al ritorno non torniamo alla forcella ma scendiamo più velocemente alla strada sul percorso della mulattiera (dov’è visibile) e traversando fra l’altro qualche simpatica macchia di mughi. I compagni: oltre al già nominato M. c’è il coriaceo compaesano nonché coetaneo B.B. (che purtroppo non è Brigitte Bardot). Cinque ore in tutto, dislivello 1200 m.

1 Nevicata a cielo sereno salendo all'attacco

2 La baita di legno rigorosamente chiusa

3 Salita alla cresta fra i faggi

4 La Rodica da Ovest

5 La forcella

6 All'inizio della salita

7 Vista a O sul Vogel

8 In un tratto sulla mulattiera

9 Nella tormenta

10 Ghiaccio in alto

11 Nebbia in cima

12 Nevischio anche in discesa

13 Una fascia di mughi

14 Mugo congelato

15 Ricami di brina

16 La Rodica dalla forestale

17 La strada per Grant

18 Ghiaccioli

 

 

Monte Cucco, salita dal costone con ritorno lungo il vallone di Riobianco

febbraio 3, 2016 4 commenti

La gita inizia a S. Caterina, 660 m paesello della Val Canale a sinistra della statale 13 a mezza strada fra Pontebba e Tarvisio. La meta prescelta è il monte Acuto, il più importante della lunga costiera fra i due paralleli valloni di Malborghetto e di Riobianco, nei pressi del confine con l’Austria. Oltreconfine c’è l’altopiano della Egger Alm  da dove la cima si potrebbe guadagnare con meno fatica e dislivello ma che richiede un lungo giro automobilistico. Ci fermiamo prima dell’abitato dove inizia sulla destra il nostro sentiero segnalato anche se la cappa di nubi che indugia sulla valle è poco incoraggiante così come il clima. Cominciamo a salire nel bosco di pini e quasi subito incontriamo la prima neve, la traccia resta abbastanza riconoscibile, guadagnando quota la caligine comincia a dissolversi lasciando filtrare il primo sole che risplende più in alto. Traversata una fascia di faggi usciamo fra gli abeti sulla dorsale dove il sentiero si inoltra lungo un bel corridoio, qui la neve sostiene bene, i guai iniziano quando si arriva in terreno aperto. Ora si sprofonda abbondantemente, ci alterniamo a battere la pista ma la fatica diventa improba anche se l’ambiente è incantevole e il panorama si apre a giro d’orizzonte. Arriviamo comunque sulla cima poco accentuata del  monte Cucco (1595 m) dove si comincia a perdere quota mentre la destinazione primaria appare come una chimera. Continuiamo fino a una casa forestale chiusa a chiave dove facciamo il punto della situazione, più avanti dopo la forcella Clinaz (1441 m) riusciamo a individuare un sentiero che scende verso il mondo ghiacciato della Valle di Riobianco. Che ai tempi era parco naturale integrale, per transitarvi bisognava avere l’autorizzazione della forestale, risalire o violare la legge? Prevale la trasgressione e vi scendiamo senza problemi seguendo i segni, dove la valle si stringe a gola il percorso è tra l’orrido e l’affascinante, cascate di ghiaccio, cenge e passerelle sospese sul torrente con qualche tratto ghiacciato. Al termine di questo tratto si scende più amenamente fino a sortire poco a valle del paese dove con la strada si torna al parcheggio che è ormai sera. Quattro ore e mezza fino alla sella, due e mezza per la discesa, il 19 gennaio del 92. Ora tutto questo forse non esiste più in seguito  all’alluvione del 2003 e ne ignoro lo stato attuale. Le pur pessime foto sono la documentazione di quel che era. Con Mauro e Roberto.

1 In salita tra i faggi

2 Nella pineta

3 La nebbia indugia sulla Valcanale

4 Sull'opposto versante del Riobianco lo Scinauz

5 La Valcanale

6 Il tratto più selvaggio della salita

7 In alto il bosco si dirada

8 Abeti sulla dorsale

9 Quasi un corridio incantato

10 A Est gli inconfondibili profili di Mangart e Jalovec

11 All'uscita in terreno aperto lo spessore della neve cresce e la tenuta cala

12 Un piccolo larice con gli addobbi natalizi

13 Ricami di brina

14 Alla casa forestale

15 Vista dall'alto sul vallone di Riobianco

16 Discesa problematica nel vallone

17 Una passerella

18 Cascata di ghiaccio

19 Ancora passerelle

20 Un canalino con cavo

21 Passaggio in cengia

22 Groviglio di cavi e passerelle verso la fine