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Archive for marzo 2012

Torre Cridola 2410, via normale, II con un passaggio di IV sup.

Penso che pochi gruppi montuosi delle alpi vantino un così alto numero di guglie torri e campanili come gli Spalti Monfalconi e Cridola, il più gettonato risulta senza dubbio il famosissimo Campanile di Val Montanaia, tutti gli altri sono poco o niente saliti. La Torre Cridola viene secondo come forma e difficoltà della salita e gode, si fa per dire, anche di un approccio piuttosto faticoso. Il solito Alessio me lo propone e acconsento volentieri a fargli da secondo anche per rispolverare le lisce (la cadenza con cui le adopero è diventata annuale, visto che mi secca fare accattonaggio per fare una salita), e gli chiedo se è disposto a accettare un terzo componente, uno dei due ragazzi del mio paese che hanno frequentato il corso di alpinismo quest’anno, l’altro è attualmente è a riposo a causa di un incidente di montagna. Da Forni di Sopra saliamo al parcheggio del rifugio Giaf  poi a piedi passiamo da questo continuando in direzione di forcella Scodovacca e prima di arrivarci saliamo a destra per ghiaie e erbe all’inizio del canalone che ci porterà all’attacco della via. I primi salitori del monte sono stati i Teutonici Hubel, Uhland e Volkmar nel 1903 per quella che è la via normale tuttora. Il canale è all’inizio facile poi si restringe diviso in due rami da uno sperone che si può salire direttamente o per il lato sinistro su roccia di dubbia solidità per arrivare alla Forcella di Torre Cridola ove ci si affaccia sulla cuna, salendo ancora pochi metri a destra troviamo l’attacco della via. Qui ci travestiamo da alpinisti lasciando gli scarponi e altro materiale superfluo e ci leghiamo. In verità, se non ci fosse la temuta traversata di IV superiore questa sarebbe una salita da scarponi di secondo grado in quanto alterna tratti detritici a spigoletti camini e brevi pareti, l’orientamento è garantito dagli anelli di corda piazzati sugli spuntoni per la discesa.  Arriviamo alla forcella Irma fra questa torre inclinata e la nostra cima, qui una specie di corridoio porta a affacciarsi oltre che sul vuoto alla parete della traversata, che mi sembra piuttosto liscia e senza possibilità di piazzare alcun rinvio. Alessio parte, ci mette un bel pò ma infine lo vediamo sparire in un camino. Ora tocca a me (mi sovviene l’unico pendolo che ho fatto nella mia carriera, da una sosta in una nicchia, dopo una traversata del genere ho mancato l’appiglio ritornando al volo al punto di partenza senza gravi conseguenze e completando la salita), parto e subito comincio a impanicarmi perché non vedo le prese, ma ci sono, piccole ma solide e ne vengo fuori, come pure il ragazzino che mi segue. Il resto è più facile, anzi ci sleghiamo arrivando in breve sulla bifida  cima. Su quella più a Ovest vediamo un anello calata su uno spuntone, leghiamo assieme le due corde e con una lunga doppia arriviamo più in basso del traverso e con altre più brevi all’attacco della via. Mentre scendo sui sassi vedo saltellare verso il precipizio la macchina fotografica, lo scorrimento della corda deve avere usurato l’attacco della custodia. Scendo cautamente il canale e miracolosamente si è fermata a non più di 50 cm. da un salto di molti metri. E’ funzionante ma resettata, mi accorgerò parecchi mesi dopo che solo il flash non funziona più .

12 Agosto 2011 – Bibl. Le Dolomiti d’Oltre Piave – Luca Visentini – ed. Athesia

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Velika Ticarica e Cjsti Vrh, sulle orme dell’orso

Dalla valle dell’Isonzo poco dopo l’abitato di Soca (che è anche il nome sloveno dell’Isonzo) lo si supera con un ponte sopra una pittoresca gola dove il fiume si restringe fra le rocce poi si risale con una stretto nastro d’asfalto che finisce agli sparsi casolari di Na Skali a 973 m di quota, strada che viene pulita anche d’inverno, qui o poco oltre in caso di scarsità di neve è il momento di parcheggiare l’auto. La valletta sovrastante a destra è chiusa dall’imponente dorsale che dal passo Prehodavcih scende a limitare a NO la valle dei Sette Laghi. Dagli altri lati un arco roccioso con quote più modeste  comprende le tre cimette del Cisti Vrh,  Mala e Velika Ticarica.

Velika Ticarica 1891 m, 11 gennaio 2009  

In questa gita il gruppo è abbastanza nutrito, siamo in sei, al solito il meno giovane sono io, poi viene il compagno storico in ferie dalla Cina che conta dieci anni in meno,  gli altri sono tutti giovanotti di buona gamba. La strada innevata è cosparsa dal tradizionale ghiaino antisdrucciolo ma dobbiamo comunque parcheggiare ai primi casolari che la neve abbonda, la giornata si preannuncia stupenda anche se il clima è gelido. Ci avviamo sulla forestale,  al primo bivio prendiamo la destra e arrivati alla sbarra andiamo alla ricerca di un sentiero che non riusciamo a rintracciare, ci tocca continuare sulla strada. Arriviamo a uno slargo con una baracca in legno, l’inizio del sentiero che sale ora a sinistra nel bosco è stato cancellato dai lavori di sbancamento, alla fine viene rintracciato, ci sono pure delle tracce, poi si esce in una radura che è quella della malga Plazeh la cui casera è stata ristrutturata ma, come si usa qui è chiusa a chiave. Una breve sosta poi andiamo avanti a saliscendi ai bordi del bosco dietro la casera, ora la neve è vergine, dove ci pare più opportuno saliamo, è una vallecola alberata prima a abeti poi a larici fino a affacciarsi da un intaglio sull’ opposto versante che precipita sull’Isonzo. La neve è polverosa, ora saliamo a destra la dorsale a distanza di rispetto dai dirupi intravisti fino al sommo (qui bisogna valutare la neve). Il luogo offre una vista grandiosa su tutte le Giulie Orientali. Al ritorno scendiamo sulle nostre tracce, ma dopo un breve percorso sulla strada vediamo delle impronte che scendono a sinistra, probabilmente lasciate da qualche indigeno , ci buttiamo anche noi, si tratta di un sentierino in parte invaso dalla vegetazione che corre alto sul sottostante torrente che ci fa uscire a pochi metri dalla sbarra. 3 ore in salita, 2 in discesa.

                                                                                                                  marzo 2012                                                                                                                                                                                                                                    Ci torniamo quest’anno, con meno neve e l’idea di fare la traversata delle tre cime però già prima della Planina Plazeh si inizia a faticare nella neve piuttosto pesante. Ci alziamo subito alle spalle della casera, non si reperisce alcuna traccia in compenso ci sono avallamenti, rocce lavorate dal carsismo mughi e nevai etti che rendono il tutto alquanto faticoso. Usciamo in cresta a metà strada fra la Mala e La Velika, lasciamo perdere subito la traversata, per proseguire bisogna combattere una dura battaglia con la rigogliosa mugaia o proseguire a saliscendi fra doline e nevai poco più in basso. Scelti i mughi arriviamo alla forcelletta, e anche qui il percorso che ricordavo in terreno aperto (i secolari mughi erano nascosti dalla neve) è tutto nella vegetazione, con l’aggravante della pendenza. Alla fine anche i pensionati se la cavano in tre orine, pur insultando il proponente sottoscritto, a favore della gita mettiamo anche la vista di ben quattro caprioli e una lepre variabile.

Cjsti Vrh 1874 m, 28 marzo 2010

Per la seconda visita sono in compagnia di Giorgio, un mio ex allievo di quando collaboravo ai corsi di alpinismo, ora salito di grado e diventato istruttore. Sulla strada che porta alla casera notiamo parecchie impronte d’orso, la primavera qui non è ancora arrivata sì che pestiamo parecchia neve, la nostra destinazione si trova alla testata della valle e il versante opposto non dà sull’Isonzo ma su una valletta sulla sua sin. orografica (mi pare sia la Val Trebiscina). Dalla casera scendiamo alla radura sottostante, qui troviamo una traccia di sci che ci aiuta non fare più fatica del dovuto per arrivare alla base del monte che ha una forma piramidale. Saliamo lungo il dorso di destra senza problemi in terreno aperto (in estate ci dovrebbe essere un sentiero). In discesa per non fare la ventina di metri di risalita per arrivare alla Planina pediniamo l’ignoto sciatore, la nuova via però ci porta sul versante opposto della valle (arrivando comunque a Na Skali ma più in basso del nostro parcheggio. Ci coglie la brillante idea di riattraversare, individuata una specie di mulattiera la imbocchiamo solo che poi si perde. Testardi come siamo andiamo avanti fino a finire sopra l’orrido del torrente che costeggiamo alti su infidi pendii alberati. Per farla breve con qualche acrobazia riusciamo a calarci per risalire alla nostra ora desiderata forestale (Un’ora). Non ancora paghi imbocchiamo un altro sentiero che però si dimostra una buona scelta, taglia parecchie curve della strada che riprende vicino all’auto. In tutta la valle, in conclusione, non ci sono sentieri segnati, le forestali sulla carta non appaiono e nel bosco non è facile orientarsi.


Le Crode del Mezzodì 2394 m, via comune da Transacqua, I

Sono finalmente arrivato alla fine del faticoso lavoro di reinserimento delle foto che erano sparite trasferendo i post da splinder e posso continuare ad aggiornare il sito.

Il gruppo dei Brentoni

Si trova completamente in Veneto fra le valli del Piave, la val Frison,  l’altopiano di Casera Razzo e la Val Piova, con varie cime appetibili, da E verso O le principali sono il Cornon, il Brentoni , la Cresta Castellati, il Pupera Valgrande e il Crissin che si esaurisce sopra Laggio con il Tudaio e il suo forte. La diramazione che si spinge verso S. Stefano ha come rilievo maggiore la cima in oggetto.

Il Monte Col 2079 m, 23 ottobre 2010

Da Sappada scendiamo a S. Stefano e al principio del paese svoltiamo a sin. valicando il ponte sul Piave che porta alla frazione di Transacqua, 911 m e qui si parcheggia. All’estremità Sud del paese passando accanto a una fontana, c’è anche la tabella, fra alte erbe inizia il nostro sentiero che dopo alcuni metri entra nel bosco e si perde fra tracce di trattori e disboscamenti vari, per ritrovarlo occorre stare piuttosto a sinistra, noi lo ritroveremo più in alto. La giornata non è delle migliori, con foschie e nubi varie che invitano a stare accanto al fuoco, più in alto si attraversa una forestale (qui si potrebbe, avendo il permesso, arrivare in auto) e continua a salire abbastanza ripidamente, un traverso arriva a un canale roccioso attrezzato con un cavo e dei gradini artificiali, comunque facile, si passa accanto a una sorgente per uscire alla dorsale di Pra Grande ove si incomincia a calpestare la prima neve,  con varie indicazioni e dove poco più in basso subito a S (val Grande)  si trova una costruzione adibita a ricovero. Noi continuiamo a salire a sinistra su una dorsale alberata che poco oltre diventa a mughi, ora    la situazione, come il cielo si fa oltremodo grigia precludendo la salita  alle Crode del Mezzodì. Dal punto più alto scendiamo alcuni metri a destra e saliamo ancora brevemente su una cresta erbosa con qualche macchia di mughi fino al limite delle rocce affondando nella neve. Dopo un consulto e una sosta depenniamo per oggi la cima maggiore e facciamo dietrofront. Sul punto dove abbiamo deviato a destra una traccia fra i mughi conduce in breve a uno spiazzo con un bel panorama sul Comelico e le sue Montagne: appunto il Monte Col. Scendiamo lungo lo stesso percorso.

Crode del Mezzodì 2394 m, 10 luglio 2011, primo grado

Situata a S di Santo Stefano, da cui il nome, è un monte molto frastagliata con numerose cime rocciose visitata piuttosto raramente visto il dislivello e la scarsità di segnalazioni. In una giornata piuttosto afosa ripercorriamo il sentiero della precedente visita fino al Col e riprendiamo la cresta. Alla fine del tratto erboso ci si porta sottocresta in versante O per salire una scarpata detritica e rocciosa alquanto esposta poi si riesce nuovamente in cresta uscendo alla cima Sud, 2363 m. Da questa si prosegue brevemente ancora in cresta ma da un intaglio si attraversa in versante E (possibile anche rimanere sul filo, arrampicando su rocce di dubbia qualità), riuscendo alla dorsale, ora più coricata che senza problemi esce sulla cima ricoperta di ghiaie. La via è, seppur scarsamente, segnalata e di orientamento evidente, basta seguire i passi più facili,  riguardo alle difficoltà, la signorina che mi accompagnava non ha fatto una piega, mentre il compagno ha dichiarato di aver perso in adrenalina solo una quindicina di giorni di vita, dal che ho dedotto che sono modeste.

Categorie:Alpi Carniche Tag:

Cuel Mauron 1814 m – Palevierte 1785 e viceversa

“A ce fa sul Cuel Mauron d’unviar, che d’astat non van su nancje les cjaris” (anonimo carnico)

Dal Sernio si dirama verso SSO in direzione dell’Amariana una dirupata cresta abbastanza lunga che comprende parecchie elevazioni per lo più coperte di mughi delle quali l’unica segnata è il nostro Palevierte, abbinabile con poca fatica al vicino Cuel Mauron. L’avvicinamento   stradale prevede la salita dalla periferia di Tolmezzo (percorrendo l a vecchia strada della polveriera di Pissibus) a Illegio da dove si prosegue su asfalto in pessime condizioni e a proprio rischio fino alla sella di Pra di Lunze (ai tempi qui esisteva pure un’ osteria-rifugio) fino a uno spiazzo con indicazioni sulla destra, 910 metri la quota, parcheggio. Per le cime in questione si deve seguire prima la forestale poi il sentiero che compiono un lungo arco verso destra nella faggeta, si attraversa una zona con enormi massi di un’antica frana, luogo pittoresco. Ora il sentiero sale abbastanza ripido, la faggeta cede il passo ai mughi. Alla base di uno sperone,  un centinaio di metri  sotto la cima segnalata, si vede una scritta in giallo che spedisce a destra  al Cuel Mauron, seguendo la traccia principale sul lato opposto si arriva, con qualche facile passo dove occorre usare anche le mani, sul Palevierte. Per l’altra cima non ci sono segni, si prosegue fra i mughi tagliati fino a una forcelletta con bel panorama all’inizio della crestina che si segue più  o meno sul filo. Questo viene abbandonato traversando a destra sotto un risalto roccioso (primo grado un po’ esposto), pochi metri dopo si arriva in cima, con panorama migliore che dalla cima limitrofa.

29 Febbraio 2012

In Chiavris, ore sette, 20 minuti di dibattito fra i cinque partecipanti  alla fine si parte e in auto vengono ancora sviscerate ulteriori opzioni, alla fine i sacrificati sono il sottoscritto e Vigjut costretti a ripercorrere un itinerario conosciuto. La giornata è buona e il clima clemente, solo sotto le foglie di faggio si cela uno strato di ghiaccio, arrivati al bivio la compagnia si divide, in due vanno sul Palevierte gli altri tre su C.M. Per giungere alla forcelletta si affonda nella neve, per contro la cresta è abbastanza pulita, solo nei tratti rocciosi bisogna fare attenzione a degli spiacevoli passi sul vetrato, mentre i due dissidenti si godono già la brezza sulla loro cima. Anche noi mettiamo piede nel frattempo sulla nostra (tre ore), rimettiamo al suo posto la piccola croce metallica che ricordavo e dopo una breve sosta ci caliamo per poi risalire a ricompattare la squadra sulla minore elevazione fermandoci più di un’ora sotto un sole primaverile. La calata a valle avviene quasi senza problemi, dato che l’amico medico nel bosco scivola per una ventina di metri a causa del terreno gelato procurandosi un bell’ematoma a una gamba ma è comunque deambulante. All’auto abbiamo esauriti i liquidi e la bottiglia di cabernet e il salame che consumiamo non servono certo a calmare la sete, resisteremo stoicamente fino al capoluogo carnico.

1 Aprile 2001

Una decina di anni prima incappammo in una di quelle giornate che raramente capitano all’inizio della primavera, pulito in basso e neve fresca in alto, con un cielo nitidissimo. Il solito M. festeggiava il compleanno e in cima al Palevierte tirò fuori dal sacco una bottiglia di quello buono per i festeggiamenti. Guardandoci in giro l’occhio cadde sulla bella cresta del  Mauron, omonimo del compagno,  all’epoca cima ignota, dovemmo consultare la carta per identificarlo. I mughi si celavano sotto la neve della cresta diventata affilata, al risalto fummo costretti ad adoperare la corda, poi in discesa scendemmo direttamente al sentiero sul ripidissimo pendio sottostante, impraticabile senza neve a causa dell’intrico mugoso.

Monte Rancolin 2096 m, traversata

Inverno avaro  quello che sta per finire anche se le condizioni erano abbastanza propizie grazie alla poca neve presente. Per contro la scarsa propensione alle levatacce, parecchio freddo e vento, per le trasferte  al di là dei confini regionali occorre oramai fare un mutuo per il carburante. Il giovedì precedente scartabellando fra le guide nella vetusta ma nobile sede della SAF in un libro di “Sentieri Natura” ho captato questa cima che stranamente ancora mancava nel mio carnet e l’ho proposta all’amico Hermann che approva la scelta. Saliamo la valle del Tagliamento fino alla località di S. Antonio un paio di Km dopo Forni di Sotto, da qui a destra ma quasi subito dobbiamo lasciare il mezzo meccanico a causa del fondo stradale ghiacciato.  Adesso percorriamo la strada piuttosto ripida fino a una bella casa dove i segnavia del sentiero n. 412 proseguono a destra. Il sentiero è sgombro di neve fino a una radura con uno stavolo ristrutturato, a circa 1400 m, una breve ricognizione a sinistra ci permette di individuare una tabella con su indicata la nostra meta. Ora si incomincia a pestare neve, il primo tratto nella faggeta poi una traccia di mughi tagliati arriva sulla spalla S dell’anticima fra radi abeti, poi ancora mughi e usciamo sulla cresta senza neve. Sull’anticima c’è una certa abbondanza di segnali, ci sono  un paio di croci e una campana. Un taglio di mughi segna la prosecuzione del percorso, che scende abbondantemente innevato verso N, sembra piuttosto ripido, vado a tastarlo ma la neve non ancora trasformata permette una sicura discesa, non adoperiamo neanche la piccozza che i bastoni sono più che sufficienti , risaliamo sullo stesso tipo di terreno passando accanto a un’ennesima croce poi per la crestina finale (senza neve) alla cima più alta che ha solo un ometto di sassi. La vista, limitata a E dal Bivera-Clapsavon verso gli altri punti cardinali è eccezionale e merita da sola la gita. Ora siamo piuttosto perplessi, proseguire la traversata o ripercorrere le nostre tracce, visto che sulla guida si descrive la traversata in senso inverso mettendo il tratto più impegnativo all’inizio, si decide comunque di provare. Scendiamo verso la forcella Rancolin dapprima a destra poi a sinistra indi in cresta evitando alcuni risalti (terreno valangoso, da evitare in caso di innevamento abbondante). Alla forcella ci sono delle pittoresche formazioni rocciose molto fotogeniche, ci caliamo ora verso destra su nevai abbondanti fino a un bivio (che non vedo, ma vengo richiamato dal compare e mi tocca risalire, dove si traversa a dritta per arrivare alla ex casera Costa Baton ben ristrutturata a ricovero. Da questa un sentierino piuttosto ripido (e poco percorso) con degli scomodi  tratti sassosi ci riporta alla radura del ripristinato rustico già visto nell’ ascesa. Il dislivello con la neve, 1300 metri è considerevole ma grazie alla grappa del compagno, di losca provenienza, è diventato accettabile.

29 Gennaio 2012 (relazione su Sentieri Natura della coppia Pecile-Tubaro, non ricordo il volume)