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Archive for ottobre 2011

Travnik 2254 m, fra le cime dimenticate del Tricorno

Le uniche notizie sulle cime accessibili dalla valle Vrsnik, che sono ignorate anche da una pretesa esaustiva guida escursionistica delle Giulie, le ho ricavate dalla ristampa anastatica del volume del 1928 “Gorizia con le vallate dell’Isonzo e del Vipacco” di Michele Gortani edito dalla SAF, zone all’epoca sotto la sovranità italiana. Risalendo la valle Trenta, oltre la val Lepena e il paese di Soca (Sonzia), una strada scende a valicare l’Isonzo in sinistra orografica e risale costeggiando il torrente fino ai casolari di Na Skali, in ultimo sterrata ma aperta anche d’inverno. Il parcheggio per questa destinazione si trova più in basso presso alcune baite riattate e subito dopo un ponte sul torrente, qui si vedono le tabelle indicatrici per la Planina Za Skali e altre destinazioni. Oggi ho la compagnia dell’amico Hermann , saliamo lungo i resti di quella che era una mulattiera militare fino ai limiti del bosco dove in posizione panoramica è situata la malga, ristrutturata ma chiusa e qui ci perdiamo di vista per un pò, ci ritroviamo ai limiti inferiori della Lepa Komna, un altopiano carsico piuttosto tormentato. Da qui si diramano i due sentieri scarsamente segnalati che attraverso la grande (Velika) e piccola (Mala) Porta condurrebbero alla Zgornia Komna e al lago di Bohinj, la gita odierna prevede però la terza via. Saliamo a sinistra sopra la casera fino a dove un saltino roccioso attrezzato  ci conferma la giustezza del percorso consentendo senza altre difficoltà l’accesso alla valle del Travnik, più in basso a lastronate miste a erbe. Qui rintracciamo un sentiero non segnalato che prima sul lato sinistro e alla fine su cresta erbosa elementare raggiunge la vetta, la  gradita sorpresa consiste nel fatto che procediamo su un tappeto di stelle alpine quale non avevo mai ammirato in passato. Purtroppo non possiamo apprezzare il panorama perché la zona sommitale è avvolta nelle nebbie, il segnale del culmine è una copia in miniatura dell’Aljazev Stolp, il cilindro metallico che orna la cima del Tricorno. Una schiarita permette di osservare la sella fra di noi e la dirimpettaia cima a nome Vrsac  (la sella, non la cima) che ci attrae irresistibilmente e ci caliamo per i prati ad essa e visto che ci sembra valicabile, pur se con qualche innocuo saltino fra le incarsite rocce di bianchissimo calcare. Ora proseguendo verso Est si arriverebbe allo sbocco  già visibile della Valle dei Sette Laghi e al rifugio presso il lago, ma non ce lo possiamo permettere, la gita diverrebbe troppo lunga. Cominciamo a traversare invece l’altopiano (ci troviamo ora nella Zgornia Komna) costeggiando alla base di monti in un ambiente con tutte le manifestazioni carsiche, inghiottitoi, abissi, rocce lavorate e i conseguenti saliscendi per trovare il percorso che in assoluta mancanza di tracce deve per forza intersecare il sentiero proveniente dalla Gran Porta, cosa che puntualmente avviene. Ora è tutta discesa, e ci dirigiamo alla malga attraversando la Lepa Komna, già in versante isontino ove riprendiamo la via già fatta in salita. Al parcheggio andando a rinfrescare i piedi nelle rapide del torrente a premio mi prendo la prima zecca della vita. Il giro è senza difficoltà ma senza segnavie nella parte oltre la casera ma è lungo faticoso, oltre 1500m di  dislivello, con tranquillità garantita anche a ferragosto, in posti inusuali fuori dal jet-set escursionistico quindi per fini palati.

17 Agosto 2008

Cima Pitacco e Castello di Torre Cridola, due salite dal Biv.Vaccari

Salita al Bivacco Vaccari 2050m dal Passo della Mauria 1298m

La Mauria è la base più comoda per il nostro bivacco, da sotto il bar in versante Friuli si segue il sentiero principale diretto al Giaf  per scartare a destra in salita all’ingresso nel bosco. Poco frequentato è invaso dalla vegetazione ma ben individuabile, in stagione allietato dal esuberanti fioriture, dove il bosco cede il passo ai mughi è d’obbligo attraversare due canaloni detritici dai fianchi franosi facilitati da delle corde utili ma non indispensabili. Si esce poi in un anfiteatro roccioso con vista sui monti Tor (il Vallò dei Cadorini) dove la traccia invita a sinistra verso un intaglio detto Forcella Fossiana e per arrivarci tocca risalire delle faticose ghiaie, a premio ci si offre la vista verso la valle del Tagliamento e i Monfalconi. Si prosegue sulla crestina che divide i due valloni, indi a sinistra a mezzacosta il sentiero conduce a un erto canale (all’inizio bivio a destra per il rifugio Giaf attraverso il Boschet) che si risale su tracce malcerte fino alla sua fine affacciandosi alla conca detta Mescola sotto la cima Savorgnana  con la Forca del Cridola dalla caratteristica forma ad arco già ben visibile. Contornando le rocce si arriva al passo, 2176m, e ci si affaccia alla Cuna, un anfiteatro circondato dalle Crode del Cridola dove al limitare opposto sta sull’unico prato il bivacco al quale ci si cala senza problemi, dopo questo l’unico sbocco verso il Cadore: la val Cridola appunto . Ore 3.30 l’orario della guida.

   Cima Pitacco 2324 m, via comune, 29 Maggio 2011

Il sottogruppo dei monti Tor (Campanili) fra la Mauria e il bivacco che ne è la più naturale base di appoggio sono formati dalle tre cime allineate da E a O della cima Savorgnana che precede la Forca del Cridola, la Punta Cozzi, la più alta (ambedue con difficoltà alpinistiche e già dallo scrivente salite in passato), la cima odierna che è la più occidentale concludendosi infine con una diramazione verso N, la Cresta del Miaron. Assieme ai due compari odierni mi avvio dunque alla volta del passo incontrando ancora i canaloni innevati e così pure la Cuna quando ci affacciamo un po’ sconcertati dalla sella. Senza calare al bivacco traversiamo più o meno in quota su faticosi ghiaioni fino al micidiale canalone della normale della Cozzi che risaliamo brevemente fino a una rampa erbosa affacciandoci al parallelo canale della nostra meta dove una cengia a tetto ne consente l’ingresso. Il canale è favorevolmente innevato e fuoriesce alla base dell’anticima  della nostra destinazione, trovando qui un gradito ometto. Il percorso mi era noto perché in un precedente giro ero partito dal parcheggio del Giaf salendo alla Tacca del Cridola, scivolando giù al bivacco compiendo una ricognizione fino a qui e me lo ricordavo soggetto a caduta di sassi, e poi rientrando al rifugio per il Boschet. Da questo punto incomincia una lunga traversata sottocresta che si rivela adrenalinica per il terreno scosceso e  reso sdrucciolevole a causa della poca neve presente, una scivolata porterebbe direttamente  quanto definitivamente sul sentiero Olivato. I primi metri sono i peggiori, poi cerchiamo di sfruttare le roccette, si esce brevemente in cresta con stupefacente vista sui dintorni, indi si prosegue alla base di pareti che consentono di sfruttare le rocce come appigli. Una tacca, un altro breve spostamento a O e arriviamo sotto il caminetto finale che sbuca direttamente in cima. Le difficoltà sono sul primo grado con qualche ometto indicatore, ma il tipo di terreno richiede molta sicurezza di passo. Ci abbiamo impiegato cinque ore e mezza, uno dei due amici è restio ad abbandonare l’isolato culmine ma gli altri due partecipanti, pensando alla lunga discesa lo convincono ad abbreviare la sosta e arrivati alle ghiaie tutti sono appagati (e sollevati).

Castello di Torre Cridola 2378m, 13 Luglio 2011

Dalla cima del Cridola scende verso E questa cresta che comprende parecchie cime appetibili, la più famosa e ardita la Torre Cridola. Ancora più in là la frastagliata cima odierna.  Un piccolo commando di quattro pensionati (totale primavere 280)si attiva un mercoledì per questa cima, ma quando si affacciano alla Cuna sono quasi allo stremo delle forze, la giornata non è poi eccezionale e il più giovane dichiara a priori che scenderà al Bivacco. I tre rimanenti, apripista lo scrivente affrontano la traversata su ghiaioni verso l’imbocco dell’attraente canalone innevato visto dalla cima Pitacco, che è quello che precede il parallelo della Tacca del Cridola. Il primo pezzo è il più faticoso su detriti instabili, poi quando ci si entra migliora leggermente e si può approfittare di qualche roccetta, solo verso l’alto rimane una lingua di neve, alla fine anche di questa entro nella cavità con la roccia e salgo in un landro dove mi fermo ad aspettare i compagni. Uno arriva subito, il terzo che aveva già fatto qualche culata nel traverso e meno a suo agio su questi terreni si trova piuttosto in basso. Decidiamo di proseguire urlandogli di fermarsi. Una cengetta di pochi metri ci deposita su un pendio di ghiaia dura molto ripida che però esce sulla cresta e da cui ci affacciamo alla valle del Giaf e ai Monfalconi, e troviamo anche un ometto di sassi (l’unica traccia finora). Andiamo avanti verso sinistra fra dei pittoreschi pinnacoli con la cima già in vista. A questa si accede per un caminetto, un traverso molto breve e una paretina esposta (1° grado) su dolomia di solidità piuttosto dubbia e ci possiamo stringere la mano, siamo arrivati. Al di là di dove ci troviamo si vede un altro rilievo, di quota forse un paio di metri più alta, più bassa o eguale… chi lo sa, per oggi ne abbiamo abbastanza, in giro ci sono parecchie nuvole e questo non è il posto adatto per prendersi un temporale. Ridiscendiamo facendo lo stesso percorso, al landro recuperiamo il terzo e più in basso il quarto componente che in fine era anch’egli salito un tratto. Il penoso traverso in salita verso la forcella e alla traccia segnalata e poi a valle che alla Mauria ci attende il baffuto oste cadorino per la solita birra. Otto ore e ¼ per il giro, soste comprese.

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Cima di Suola 2079 m dal rifugio Pacherini

Il Campanile di ForniDa Forni di Sopra è ben osservabile la Val di Suola e la breve costiera (spartiacque con la valle di Rua)  sulla destra orografica che si innalza dal greto del Tagliamento fino al passo di Suola con i suoi quattro rilievi principali. Il primo, boscoso e a mughi è il Picco di Mezzodì 1835 m, con difficoltà turistiche a detta della guida grigia del CAI, in realtà, da informazioni assunte in loco presumibilmente attendibili ha zero frequenze in quanto ogni traccia è da molto tempo scomparsa nella rigogliosa vegetazione. Della seconda, la Punta Dria 1981 m, salita nel 2010 ho già riferito le mie impressioni in un precedente post, sulla terza che ha la forma più aguzza, appunto la Cima di Suola, c’ero stato in una uggiosa giornata autunnale per onor di firma anni addietro. L’ultima e più alta, che ha solo la quota, 2100 m ma non il nome, è la più facile e i gestori del Pacherini vi hanno aperto una traccia segnalata con ometti proponendo il toponimo di Cima del Rifugio, essendo un meritevole percorso escursionistico con partenza dal Passo di Suola e una delle pochissime del circondario senza difficoltà alpinistiche, già salita una volta dal rifugio, la seconda dalla valle di Rua in traversata a questa e fallita la terza nell’anno delle grandi nevicate. Ora mi tocca fare un elogio alla coppia di giovani e bravi gestori del rifugio (che si sono portati su anche il giovane erede di pochi mesi), rimasto penso l’unico in Friuli a dover essere rifornito a spalla. Quando l’amico mi ha informato che la domenica seguente si sarebbe tenuta la chiusura ufficiosa del rifugio, mi è sembrato doveroso partecipare al consumo dei rimanenti viveri e bevande e con l’occasione visitare nuovamente la cima in oggetto e al ritorno fare il meno possibile di utile, sono ormai diventato uno scansafatiche. Siamo in tre in auto, saliamo al rifugio e poco dopo comincia a arrivare il resto della compagnia, uno dei miei passeggeri si ferma, ma mi rimane il redivivo M., risvegliatosi dopo parecchi mesi di letargo estivo. Dopo aver assunte alcune informazioni sul percorso che non è segnalato e del quale ho solo vaghi ricordi, cominciamo a salire dietro al rifugio fino alla presa dell’acqua e da essa per tracce molto labili su ghiaie e verdi verso la cresta ornata da una barriera mugosa scatenando la fuga precipitosa di una decina di camosci. Senza arrivarci cominciamo a traversare più o meno in orizzontale (qualche mugo è inevitabile) mentre ci appaiono le bianche rocce di alcune cuspidi fra le quali non è facile individuare qual è la cima, fino ad arrivare alla base delle pareti. Ora il compagno vorrebbe salire dritto (tanto lui passa dappertutto), ma il saggio (che dovrei essere io), con un passaggio alquanto esposto insiste nella direzione presa e ci appare finalmente il canale che ricordavo, dove rintracciamo anche un paio di ometti che ci confermano la giustezza del percorso. Il canale va percorso tutto e alterna passaggi in arrampicata su rocce solide a tratti più facili, il tutto abbastanza esposto, infine siamo in cima, anzi no: mancano ancora una decina di metri di cresta aerea quanto marcia che ci consente di arrivare un paio di metri più in alto, dove sostiamo scomodamente, il posto è alquanto angusto, per una mezz’ora a guardarci in giro nella limpidezza della favolosa giornata autunnale. In discesa scendiamo più diretti facendo anche qualche piccola acrobazia (con il M. sono inevitabili) e dopo aver traversato la base rocciosa prendiamo una traccia che scende più pendente fra i mughi ma poco evidente in salita e dopo circa quattro ore di assenza ci ricongiungiamo agli amici, trovando la pasta pronta e vari liquidi a reintegro sovrabbondante di quelli persi.

1200 m di dislivello, difficoltà I+, 16 Ottobre 2011

Piccola Fermeda, Furchetta, Sass Rigais e Piz Doledes, quattro cime in tre giorni viaggio compreso nelle Odle

“Gli ho fatto un’offerta che non poteva rifiutare” (Il Padrino). Tale mi sono sentito alla proposta del mio giovane amico reduce di tre mesi al rifugio Pacherini di fare la trasferta fra questi monti che finora avevo ammirato solamente da lontano. Anche la laboriosa trattativa con mia moglie ha un esito positivo e acconsento, il programma prevede tre giorni di assenza viaggio compreso, quindi piuttosto breve. Anche se siamo ai primi di ottobre l’alta pressione continua a imperversare  con temperature gradevoli anche in quota, funivia e rifugi sono ancora aperti. Per raggiungere la Val Gardena forse la strada più sbrigativa (e dispendiosa) potrebbe essere l’autostrada che scartiamo a priori, preferendo salire la val di Zoldo e i tre passi Staulanza, Campolongo e Gardena, la via più breve e panoramica arrivando a Santa Cristina verso le undici. Una breve sosta per un caffè, Claudio acquista alimentari e io un paio di guanti scordati a casa e che non utilizzerò, poi saliamo alla funivia che ci scodella al Col Raiser a mezzogiorno.

Le Odle  da Cima Fanis aPiccola Fermeda  2814 m, via comune della cresta Ovest-Sud-Ovest, diff.  I- III  200 m dall’attacco, lunedì  2 Ottobre.

La stazione della funivia a monte è stata trasformata in un elegante hotel a 4 stelle con sauna e varie altre diavolerie (mi pare si dica Wellness), noi invece proseguiamo per stradina e poi per sentiero fino a una baita con servizio di ristoro che ci farebbe anche gola visto che siamo piuttosto affamati e assetati, ma resistiamo proseguendo per tracce sui prati verso la cima prefissata. Ci fermiamo per occultare sotto un masso il peso superfluo e lì consumiamo qualcosa. La meta è vicina, l’avvicinamento prevede la salita per ripidi pendii erbosi di cui si vedono le tracce, saliamo un tratto ripidamente fino alla base degli strapiombi iniziali dove rinveniamo la traccia principale ben battuta che sale verso sinistra fino a un canale che arriva alla cresta. Il primo risalto si attraversa in parte sul lato N, poi un ometto conduce sull’affilata crestina che seguita in discesa ci deposita alla forcelletta dell’attacco. Qui la guida dice di attraversare una ventina di metri fino a un camino, siccome non ci siamo portati appresso un decametro ci impegniamo sul primo che troviamo e dopo alcuni metri di salita vedo un ancoraggio per la calata ma la situazione è piuttosto scomoda e ci tocca ridiscendere per indossare imbragatura e gli altri ammennicoli di scalata, in primis la cavezza che finora è stata al sicuro nello zaino. Nonostante qualche resistenza da parte del compagno che vorrebbe andare a vedere un po’ oltre (e come appureremo in discesa, a ragione, visto che qualche metro più in là c’è l’ulteriore e più visibilmente facile svasatura), in segno di buona volontà mi impegno da primo sulle lisce ma solidissime rocce e con gli scarponi non mi diverto molto, almeno fino a quando non riesco a piazzare una fettuccia su uno spuntone provvidenziale. Alla fine del tiro trovo la sosta attrezzata. Il resto della salita la facciamo quasi tutta di conserva salvo un altro caminetto che ci porta in cresta e all’aerea bella cima sempre arrampicando su sana dolomia, sotto la svettante cima della Gran Fermeda, da cui siamo separati da un profondo intaglio. La discesa, per la stessa via, richiede due doppie dove ci siamo assicurati in salita. Poi scendiamo per prati verso E fino a rintracciare il sentiero segnalato che scende verso il rifugio Firenze a circa 2000 m di quota dove entriamo sei ore e mezza dopo l’arrivo al Col Raiser. Facciamo mezza pensione in cameretta con biancheria, (mi ero scordato anche il sacco lenzuolo) doccia al di là del corridoio, bagni in fondo, birra Forst alla spina e menu austro-italiano, insomma un lusso.

Furchetta 3030 m, via comune dal Versante Sud e cresta Ovest, diff. I-II-III e Sass Rigais 3025 m, traversata su vie ferrate da Est a Ovest, martedì 3 Ottobre

Se il Sass Rigais è la vetta più frequentata del gruppo grazie alle due attrezzate con segnavia che lo raggiungono da due opposti versanti e per lo sconfinato panorama che si gode dalla cima (Dolomiti pressoché tutte, Tauri, Brenta, Adamello, Ortles eccetera, la Furchetta è quella più alpinisticamente più famosa e dalle forme ardite. Solleder e Wietzner nel ’25 furono i primi a salire la temibile parete N dopo vari tentativi di altri forti dell’epoca, in seguito fu ripetuta e le furono affiancate altre salite ancora più difficili sempre dai migliori alpinisti ma resta tuttora poco frequentata per lunghezza e pericoli oggettivi. Ben più modestamente noi decidiamo per la via normale e anche su questa non ci vanno poi in moltissimi. Partiamo dunque dal rifugio verso le otto dopo esserci goduti l’alba incamminandoci sul sentiero segnalato del Sass Rigais, al bivio lasciamo la traccia di sinistra che sale su quest’ultimo da O continuando sul sentiero che risale su ghiaioni la Val Salieres fino all’omonima forcella che precipita repulsivamente verso la val di Funes. Ora abbandoniamo i segni per salire a destra, siamo a Ovest, quindi in ombra e il versante che dobbiamo rimontare ci preoccupa, in giro non si vede ancora nessuno. Saliamo un po’ a casaccio per ghiaie e entriamo in un tetro caminone che si chiude con un antro nero in alto che non è certo superabile ed eccola, troviamo una prima sosta. Proviamo a uscirne a sinistra e ci troviamo davanti una serie di placche molto esposte che secondo me bisogna attraversare ma l’amico non è della stessa opinione. Intanto ci leghiamo e incomincio il traverso, riesco a piazzare un rinvio sull’unico spuntone adatto e percorsi ancora pochi metri l’inclinazione diminuisce e oltre alla sosta trovo pure un ometto: se ieri avevo torto oggi sono dalla parte della ragione. Riponiamo la corda nello zaino e saliamo la rampa non difficile ma a tratti con detrito sempre guidati dagli umili ma utilissimi omini di sassi tendendo verso la cresta che dà verso i precipizi a N indi usciamo al sole e subito cambia la temperatura e il nostro umore. Si prosegue poi non lontano dalla cresta superando qualche passo in arrampicata. La cengia che attraversa esposta sotto l’anticima Ovest  conduce all’intaglio fra questa e la vetta. Ora ci leghiamo di nuovo per l’ultimo tiro di II e III, sotto di noi c’è un vuoto impressionante, la corda finisce quando alla croce di vetta mancano pochi metri, che percorriamo ancora in sicurezza e ci siamo. Aggiungiamo i nostri nomi ai predecessori che hanno annotato il loro sul libro di vetta, congratulandoci per quanto siamo stati bravi, e ci vediamo arrivare in cima un solitario in pedule, pantaloni corti e una maglia sbrindellata (a riconferma del vecchio proverbio dell’abito e del monaco a proposito delle capacità e dell’attrezzatura) che è salito quassù per festeggiare il suo 53° compleanno. Riparte prima di noi, che ci accodiamo subito dopo, legandoci solo in due lunghezze di corda come in salita, perdiamo un po’ di tempo a individuare il percorso, in discesa meno evidente, e quando posiamo le suole sulle ghiaie della forcella riponendo gli attrezzi possiamo finalmente rilassarci.

La val Salieres con la Furchetta (a sin) e la Piccola FurchettaMai avonde! ci guardiamo negli occhi e ci siamo gia capiti. Ci tocca anche salire il Sass Rigais. Dalla forcella in cui ci troviamo sono solo trecento metri. La ferrata è molto gradevole su roccia sana tanto che per evitare gli ultimi frequantatori che la fanno in discesa svariamo di frequente di qua e di là e in un’altra oretta calchiamo in solitudine la cima del secondo tremila del gruppo, subito attorniati da gracchi e numerosi esemplari di un passeraceo che evidentemente sanno dove c’è più possibilità di mangiare a scrocco e diamo loro il nostro modesto contributo. Il panorama se possibile è ancora più vasto che dalla vicina, ma non ci attardiamo dando inizio alla discesa sul versante SW, anche questa attrezzata e piuttosto pittoresca alla fine collegandoci col sentiero che scende dalla Forcella de Mesdì, unico valico fra la nostra Alpe di Cisles e la Val di Funes di tutta la catena. Rientriamo al rifugio quasi all’ora di cena, personalmente sono piuttosto malconcio e come anestetico mi faccio un tris di birre.

Sulla via attrezzata del versante EPiz Dolèdes 2909 m, vie normali, mercoledì 4 settembre 2011, e rientro

Fra le varie opzioni per oggi, giorno del rientro, decidiamo per il Dolèdes che fa già parte del Gruppo del Puez limitrofo alle Odle e cui la guida indica un tempo di tre ore per coprire gli 800 m di dislivello. Verso le otto ci incamminiamo sul retro del rifugio in lieve discesa all’inizio poi in salita in un magnifico bosco di cembri e dopo aver assistito al levare del sole che arrossa il Sassolungo. Il sentiero tende verso destra alla forcella des Sielles 2505 e condurrebbe al rifugio del Puez ma noi al primo bivio deviamo a sinistra risalendo la Val de la Roa fino all’omonima forcella 2617 m, caratterizzata da uno strano obelisco a forma di cappuccio, su traccia segnalata e per ghiaioni nonché limite fra i gruppi delle Odle e del Puez. All’inizio del vallone avevo fatto presente al compare e prontamente corretto dallo stesso dalla vista più acuta, notando dei puntini neri in alto, che non eravamo soli, scambiando per bipedi dei quadrupedi : in effetti  si trattava di parecchi camosci che in un lampo si trasferivano sull’altro versante della valle fra le rocce delle Odle. Senza valicare la forcella (tabella) prendiamo a destra proseguendo pressoché in piano costeggiando le multicolori pareti O del nostro monte fino a un canalone che con qualche breve tratto attrezzato e una scaletta esce al improvviso e al sole all’ampia forcella detta Nìves Scharte 2737 m, sulla dorsale S del Doledes ove passa la via normale e con uno spettacolare panorama. Rimontiamo la traccia ben battuta, solo all’ultimo è lievemente esposta arrivando in cresta. Ancora pochi metri affacciati sulla parete Nord caratterizzata da parecchi obelischi di dubbia solidità e ci guadagniamo la giornata anche oggi: siamo arrivati. Giornata limpida, venticello fresco, viste remunerative per due ore e venti di fatica senza le solite rogne che di solito ci cerchiamo… dopo la sosta scendiamo per la via di salita fino all’ultima sella per poi continuare verso la forcella des Sielles in un bell’ambiente caratterizzato da strane formazioni rocciose, ancora qualche cavo, dalla sella divalliamo lungo il sentiero principale e poco dopo mezzogiorno siamo al Firenze, recuperiamo il materiale lasciato in deposito, consumiamo i resti dei generi alimentari che ci eravamo portati, un ultima Forst poi giù per la stradina che con percorso bucolico fra prati, malghe, un ruscello e un laghetto (artificiale, offerto dall’azienda di soggiorno per le foto delle Odle riflesse), ci porterà al parcheggio a valle dell’ovovia. Ritorno via Passo Sella e Pordoi poi come all’andata e alle sette di sera le due pecorelle nere (o caproni), rientrano al ovile.

Vecchio cembroP.S. Questa è la millesima cima (diversa) raggiunta, considerando le ripetizioni sono più di milleduecento in trent’anni di frequentazione, tanto per la statistica, avendo incominciato al limite dei quarant’anni essendo prima impegnato in altre cose, tipo famiglia, casa e lavoro.

Miselj Vrh 2350 m, una cima solitaria a sud del Tricorno

L’amico bibliotecario della SAF ha acquisito una guida che tratta delle montagne slovene sconfinando anche sulle nostre Alpi e Prealpi Giulie. La scelta di itinerari che presenta parte dalla camminata elementare arrivando fino all’alpinismo facile, con una splendida documentazione fotografica, purtroppo la lingua di Preseren  nella quale è vergata  è appunto quella slava che non rientra nelle mie conoscenze. Tuttavia me ne sono avvalso più volte in parecchie gite nelle Caravanche, Alpi di Kamnik e Giulie riuscendo a interpretare solo punto di partenza, orario,  tempi di percorrenza  e difficoltà, il che, con una carta topografica a disposizione, è più che sufficiente.  Questa è una delle  cime satelliti a S del Tricorno dal quale è separata solo dalla valle che porta alla forcella Cez Hrjbarize e costituisce il pilastro E di una cresta lunga circa due km e mezzo, tutta percorribile ma raramente visitata nonostante i posti siano ambientalmente pregevoli.  Il punto di partenza è Rudno Polje a circa 1350 m di quota, località che si raggiunge proseguendo in discesa oltre il valico di Fusine lungo la valle della Sava fino alla periferia est di Jesenice. Qui per  evitare l’affollata Bled conviene  svoltare a destra in direzione di Gorje per una stradina poco trafficata e a questo ultimo paese ancora a destra in salita si arriva infine al vasto parcheggio presso una rinnovata ex caserma.
Si continua a piedi su una strada bianca a sinistra dell’edificio (nonostante il divieto si potrebbe proseguire ancora in auto fino all’inizio del sentiero, viste le molte auto parcheggiate costì) per una ventina di minuti e alle tabelle ci si accoda a destra alle numerose comitive dirette al Tricorno di cui questo è l’accesso più comodo anche se forse non il più breve. Il sentiero non è molto ripido ma prevede alcune contropendenze, si passa alti su un alpeggio per uscire a una radura (polje in sloveno), qui si sale al passo sovrastante (Studorskj Preval, 1892m) e, con una ulteriore perdita di quota ma in terreno più aperto e con bei panorami si continua lungamente (in un tratto il sentiero è scavato nel pendio, ma sempre facile) e, quando si entra in un bel lariceto a pochi minuti dal rifugio Vodnikov si scende a sinistra verso la Planina Velo Polje (malga), quota 1680 m, finalmente via dalla folla e dove una sosta per una birra è praticamente obbligatoria. La cima di destinazione incombe sopra la malga ed era già ben visibile dal sentiero principale, ora sempre su sentiero (scarsamente) segnalato si va  a Sudovest fino a un’ulteriore malga diroccata (poco prima sorgente e pozza d’acqua) dove si abbandona il tracciato per salire a destra ripidamente un canalone fra mughi, ghiaia, e prati fioriti. Al suo termine siamo finalmente nella Mjseliska Dolina, una valletta a sud della  dorsale che inizia a Est con la nostra cima e con piacere rinveniamo qualche ometto che con facile percorso ci accompagnerà anche se discontinuamente alla cresta Ovest sotto gli sguardi diffidenti di alcuni camosci. Dalla cresta ci si affaccia sul Tricorno, Kanjavec e oltre la sella Dolic sulle Moistrocche e Jalovec  con viste inusuali ; notiamo due persone all’estremità opposta della breve vallata: è proprio vero, gli sloveni si trovano dovunque. Il mio compagno si dichiara soddisfatto e si fermerà qui, anch’io sono piuttosto provato ma proseguo abbandonando anche lo zaino, la cresta all’inizio è erbosa poi rocciosa, con qualche tratto esposto ma tutto sommato facile ma più lunga del previsto. Torno dall’amico e vediamo con sorpresa una graziosa ragazza che ci viene incontro senza sacco, in breve viene raggiunta dal suo compagno portatore. Parla la nostra lingua: con punto di partenza uguale a noi si sono fatti in senso antiorario il Kanjavec, la cima O della nostra piccola catena, il Misesljski Konec  e adesso, dopo aver percorso tutta la dorsale lunga un paio di chilometri, vanno sul Miselj!! (Nella guida citata il percorso comprendeva anche la salita della cima O, ma con punto di partenza dal rifugio Vodnikov e ne comprendo il motivo vista la lunghezza del percorso) ma per oggi ne ho abbastanza. Nella discesa incontro anche una vipera dal corno che da rettile beneducato esce dal sentiero per farmi passare, alla malga adesso. Qui reintegriamo liquidi e calorie persi, cosa  che sconteremo duramente al rientro nelle risalite. Per la sola andata, brevi soste comprese, ci abbiamo impiegato 5 ore e 45 min.

La sella Studorski

Campanule

La catena del Miselj

La malga Velo Polje sovrastata dal Miselj Vrh

Alla malga

Il Triglav dalla cima

La cresta, la cima non è visibile

In discesa nel canalone

Il compagno perplesso di fronte al menu della malga

Due persone felici

Il rifugio Vodnikov sotto le pareti del Tosc

14 agosto 2011

Prisojnik per la via Hanza e Pilastro del Diavolo parete NO

Pil. Diavolo 1

Il nevaio prima dellLa via aperta da Baebler e Zupancic nel lontano 1936 sulla parete di questo pilastro non è mai stata molto frequentata e noi ce ne siamo accorti del perchè in un tentativo fallito l’anno prima. Di difficoltà di quinto grado è orientata a NO quindi in un ambiente un pò tetro, e l’avvicinamento sulla ferrata Hanza  era all’epoca in cattive condizioni, tanto che la SAF ha rischiato di perdere un futuro presidente a causa della fuoriuscita di un ancoraggio. L’attraversamento del nevaio sopra la cascata, molto ripido e esposto, ci era costato parecchio tempo sicchè abbiamo optato per la salita al  Prisojnik per la suddetta via meditando una futura rivincita. Scesi al passo  Vrsic abbiamo subito trovato un passaggio per scendere all’auto.  Si era all’inizio dell’estate, ci riproviamo l’autunno dell’anno dopo ma troviamo un primo ostacolo: la strada per il passo è chiusa per lavori a un ponte e si apre dovo aver elargito agli operai che vi lavorano la giusta mercede come altri prima di noi, dopo laboriose trattative e perdite di tempo.  Memori dello scorno precedente siamo  muniti di  qualche attrezzatura da neve, ma di questa a fine stagione se ne trova meno, e anche se dura presenta abbastanza ondulazioni da non essere più un grave ostacolo. La via è abbastanza lunga (450 m),di un bianco calcare molto solido e molto continua come difficoltà , attrezzata in modo tradizionale con vecchi ma affidabili chiodacci. Siamo in cinque, quindi una cordata di tre persone e questo comporta delle ulteriori ritardi e con le giornate brevi arriviamo sulla sommità al tramonto: il ritorno per l’amabile e conosciuta Hanza al buio e con una pila in tutti diventa una bella impresa e possiamo tirare un sospirone solo quando poggiamo i piedi sull’asfalto dopo dodici ore di duro lavoro. 11 Agosto 1988

Per la relazione: G. Buscaini, Alpi Giulie ed CAI-TCI Gruppo del Prjsoinik