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Archive for the ‘Alpi Dinariche’ Category

Bijele Stijene (Rocce Bianche, 1335m), le meraviglie del calcare

In pochi chilometri da Fiume (Rijeka) si sale dal mare ai monti della Velika Kapela, un vastissimo quanto disabitato altopiano boschivo dove anche il clima cambia repentinamente. L’eccezione è costituita appunto dai risalti calcarei, a ragione eletti a Parco Naturale, che sono l’oggetto di questa gita, descritti in una guida dei monti della Croazia che ho avuto modo di consultare nella biblioteca della SAF, poi ci avalliamo anche della consulenza di Fabio, un triestino giramondo conosciuto grazie al Blog. A causa di qualche lavoro di restauro da un mese sono inattivo, speriamo bene. L’appuntamento è al valico con la Slovenia di Pese (Pesek), i partecipanti sono i soliti pensionati, a ingentilire la squadra l’amico è con la sua compagna. Tutto bene fino al confine con la Croazia, a causa dell’antiterrorismo i controlli sono accurati e perdiamo una buona ora. Proseguendo troviamo un tratto autostradale a pedaggio, si deve corrispondere nella valuta locale, la kuna e non ci sono altri intoppi. Passando sopra la città la tangenziale si alza verso l’altopiano, a un incrocio svoltiamo a destra per Mrkopalj e oltre questo all’ultimo villaggio, Tuk, dove imbocchiamo una sterrata (indicazioni). Poco più avanti una serie di steli commemora 15 partigiani morti di freddo nella seconda guerra mondiale, andiamo bene! Si prosegue fino a una serie di tabelle indicanti le varie destinazioni, non manca la nostra. Mica è finita qui, volendo fare l’anello, che comporterebbe al ritorno parecchi km per recuperare i mezzi, gli autisti vanno a posizionare un mezzo al punto di ritorno. Morale della favola, partendo alle sei sono le 11 quando ci avviamo. Fra le piante secolari e costeggiando numerose doline che conservano ancora la neve e numerosi saliscendi (non Manca un settore attrezzato con un sottile cavo metallico) arriviamo, con percorso assai fotogenico, sulla Ljuska, una delle quote maggiori. Devo dire che non ci fossero i segni non se ne verrebbe fuori. Il bianchissimo calcare lavorato dall’acqua ha scolpito numerose guglie, il posto è bellissimo. Continuando ancora a saliscendi con un’ultima deviazione arriviamo sulla cima principale, l’ultimo tratto è una liscia placca (cavo) da dove si guadagna una vista sul circondario. Scendendo per la stessa via si prosegue fino allo spiazzo dove si trova il piccolo rifugio dotato anche del locale invernale. Per sentiero ben battuto raggiungiamo il parcheggio della seconda auto, ci strizziamo tutti e sei e via a recuperare la seconda. 5 ore per il giro, 5 km e solo 500 m di dislivello.

Snjeznik (1508m), il Nevoso Croato

1 L'azzurro dell'Adriatico si confonde con quello dell'Istria (foto Fabio)

2 Il Gorski Kotar (Foto Fabio)

Un nuovo adepto è un avvenimento quasi eccezionale per il gruppo del Mercoledì, si tratta di un amabile triestino conosciuto grazie alle virtù della rete, dopo un paio di gite sulle solite montagne di casa il vulcanico soggetto ci propone una gita in Croazia che viene approvata all’unanimità. L’appuntamento è al valico di Pese, che viene raggiunto in ritardo dopo una breve divagazione in città. Poi ci dirigiamo verso Fiume o Rijeka (ci sono varie possibilità, all’andata dopo un tratto di statale e uno di autostrada con pedaggio accettato in euro 1,50), quindi passando a monte della città ci dirigiamo verso gli ondulati altopiani del Gorski Kotar. Si transita vicino all’autodromo (ci ero già stato per assistere alle corse di moto, ma ne avevo solo un vago ricordo) poi bisogna fare attenzione e tenere sottomano la cartina stradale per arrivare al vasto piazzale di Platak (1110m d’altezza) dove d’inverno i locali vanno a sciare e qui parcheggiamo comodamente. Siamo circondati da immense foreste di faggi con pochissimi centri abitati e dove sopravvivono ancora i grandi mammiferi selvatici, in primis gli orsi ma anche i lupi. La zona attorno alla cima più alta, il Rijsniak (1528m), è un parco nazionale, ma per questa prima visita decidiamo per la seconda quota, lo Snjeznik di 1508m che fa da contrappunto al poco lontano Nevoso sloveno. Quote e dislivelli sono modesti e le cime, che viste da lontano sembrano ricoperte dal bosco, non appaiono molto attraenti  ma appureremo che non è così. Seguendo le indicazioni ci incamminiamo verso Ovest su una pista forestale, a tratti ancora innevata e tagliata da qualche scorciatoia con percorso abbastanza monotono, poi la si abbandona per un sentiero che sale nella faggeta, il sottobosco è verde di mughetti e deve essere uno spettacolo con la fioritura. Il pallido sole della partenza se ne va prima di giungere alla dorsale dove veniamo accolti da un forte vento da Ovest che ci costringe a mettere tutto il vestiario a disposizione. Anche la vista, che dovrebbe essere stupenda verso il golfo del Quarnaro e le isole dalmate, è velata dalla foschia, comunque siamo fuori dal bosco e la nostra meta primaria si rivela con il suo niveo calcare verso N. Proseguiamo quindi nella sua direzione in terreno aperto  fino sotto ai risalti, la salita in vetta anche se strasegnalata si rivela piacevole con simpatici ma facili passaggi  rocciosi. Poco sotto a sinistra si vede il tetto di un rifugio, è ancora presto per la pausa pranzo e ci caliamo all’edificio lungo una paretina segnalata. E’ in stato di abbandono dopo un incendio (nell’ipotesi più probabile durante la guerra del ’90), tengono duro i muri e le imposte in ferro, con la nebbia il posto anche se riparato ci sembra  lugubre e proseguiamo. Verso Nord con un traverso tra i mughi torniamo alla cresta e nella nebbia saliamo per erba e detriti ancora un paio di risalti erbosi (il più interessante nominato Medu Vrh, 1460m) fino alla base della Guslica. Questa,  raggiunta da una strada e con la sommità ingombra di antenne e caserme non ci attira, così dalla sella torniamo a ritroso al cimotto limitrofo dove si arriva per pacifici verdi ma in assenza di segnavie. Di una ventina di metri meno alta della sua vicina e visto che è mezzogiorno ci accomodiamo al riparo del vento per consumare gli scarsi viveri, intanto la nebbia dà una tregua e permette di godere il paesaggio. Per la discesa  torniamo indietro fino all’ultima forcella dove i segni si districano dapprima fra i tormentati faggi, poi nella fustaia prima di guadagnare la strada che ci riporta al parcheggio. Meno di cinque ore in tutto. Rientriamo per la vecchia statale che non comporta grandi ritardi, il pregio consiste nell’ampia scelta di gostilne, ristoranti e trattorie per ritemprarci. Aprile 2016.

3 Tavola d'orientamento al parcheggio

4 Rifugio a Platak

5 Fra i faggi

6 Bosco saltuariamente innevato

7 Sottobosco a mughetti

8 Sulla dorsale

9 Snjeznik, il castello sommitale

10 All'attacco delle rocce

11 Corridoio naturale

12 Sulla cresta finale

13 In Cima

14 Gli amici

15 Discesa al rifugio

16 Il portico del rifugio

17 Ancora il rifugio

18 Crochi

19 Nella nebbia

20 Medu Vrh

21 Faggi contorti

22 La Guslica che ci siamo rifiutati di salire

23 Meglio l'anticima

24 Inversione termica, abeti in una dolina

25 Calcare in discesa

26 Nel bosco

Monte Nevoso/Velikj Snezik 1796 m – condizioni invernali a fine marzo

“macongranpenalerecagiù”, già dalle elementari si imparava questa locuzione che in breve elencava i gruppi dell’arco alpino e fino qualche anno fa questo era il frazionamento poi un gruppo di geniali studiosi ha ritenuta più corretta un’altra suddivisione (SOIUSA) mettendo in confusione, come se ce ne fosse ancora bisogno, il ravanatore spostando a nord il limite delle Giulie in precedenza fissato al passo Vrata, circa la latitudine di Fiume. Attualmente il Monte Nevoso dovrebbe fare parte del sistema dinarico (condizionale obbligatorio), comunque sia è pur sempre la vetta più elevata fra le propaggini delle Prealpi Giulie a settentrione e la catena del Velebit in Dalmazia. Per la nostra gita l’avvicinamento stradale è piuttosto lungo, da Gorizia raggiungiamo Postumia con la strada statale piacevole e poco trafficata (più sbrigativa e onerosa l’autostrada) da dove ci dirigiamo a Sud verso Ilirska Bistrica (la Villa del Nevoso di d’annunziane memorie) traversando una zona che offre tutti i fenomeni del carsismo oltre alla vista di sperduti paeselli. Alla cittadina si tralascia la strada principale per quella secondaria che arriva dopo 20 km a Sviscaki, 1242m, piccola località turistica con rifugio nonché parcheggio per la nostra escursione. Ero fra l’altro ansioso di sperimentare la trazione integrale della mia nuova Rav 4 sul fondo innevato e negli ultimi km vengo accontentato anche se non mi diverto molto, o sono invecchiato oppure gli sloveni sono più abituati a questo genere di terreno. Fa piuttosto freddo ma il sole splende, l’inizio è su una carrareccia innevata che si allunga nel bosco in direzione NO, poco dopo il clima cambia in peggio, subentra la nebbia e la galaverna ricopre gli alti faggi. A un bivio teniamo a destra seguendo la battutissima traccia che asseconda un modesto avallamento, ora siamo usciti dal bosco d’alto fusto, al suo posto mughi arbusti e piccoli abeti ricoperti dal ghiaccio. All’uscita avvistiamo il cono bianco della vetta con la sagoma scura del rifugio appena sotto. Facili pendii ci conducono all’edificio e poco più alto alla spaziosa vetta, allietati da qualche raffica di bora, qui di casa, che spazza via la nebbia, purtroppo restano ancora delle nuvole che ci privano in gran parte del rinomato panorama specie sul golfo del Quarnaro e le sue isole, aspettiamo un discreto lasso di tempo ma nulla da fare… mentre ridiscendiamo il cielo si vela di nuovo. Poco più di 500 m il dislivello, 4 ore in tutto, facile anche se d’inverno le condizioni atmosferiche sono piuttosto severe, nonostante questo la cima è molto frequentata in tutte le stagioni. Per tornare a Postumia avevamo pensato di passare per Masun ma la vista della stato della strada che scende verso Nord ci fa immediatamente cambiare idea.

 Chalet a Sviscaki

 La strada dove comincia la gita

 Galaverna nel faggeto

 Nebbia in dissolvimento sul Nevoso

 L'ambiente glaciale della gita

 Abeti pietrificati dal gelo

 Verso i pendii finali

 Il rifugio

 Particolare del rifugio

 Dalla cima

 I due amici in cima

 Nuvole vaganti limitano il panorama

 Al ritorno tempo in temporaneo miglioramento

 Un'altra immagine del Monte Nevoso

 Ricami sugli arbusti

 Tornando indietro

28 marzo

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Anica Kuk, Tulove Grede, sul calcare dalmato

novembre 22, 2010 Lascia un commento

Dagli scogli della costa croata si eleva la barriera di bianco calcare del Velebit. Da sopra Segna al passo Vratnik, dove si dice nasca la bora, e il passo Mali Alan si susseguono per circa 150 km queste montagne aspre e selvagge nonostante non raggiungano nemmeno i 1800 m di quota con la cima più elevata.

Dal passo Vratnik verso Senj

Castello degli Uscocchi a SegnaCiuk 599m

Era il ponte del primo maggio del 1990 quando, conclusa la lezione del corso di Alpinismo in val Rosandra a Trieste, partimmo per l’allora Jugoslavia con meta il paese di Starigrad, sul mare, dove sboccano i due Canyon della Mala(Piccola) e Velika(grande) Paklenica, in italiano Valli Inferno, protetti anche come Parco Nazionale. La grande in particolare sale fra pareti alte fino a 300 m ed è il paradiso dell’arrampicata della Croazia. La squadra era composta da sei concorrenti, di cui ben cinque aiuto-istruttori del corso più una morosa, divisi equamente in due vetture. Traversata l’Istria a Fiume s’imboccò la Magistrala, strada costiera che prosegue lungo tutta la Dalmazia, mentre noi ci fermammo a Senj per rifocillarsi con una parca cena di pesce e dormendo in un’abitazione privata. Il giorno dopo di primo mattino si ripartì alacremente ma…non si fece i conti con il fresco acquisto dell’auto vecchia di uno dei due piloti, una poderosa Croma 2000! Già il giorno prima si sentiva a volte uno strano Toc-Toc, rumore oggi più frequente: dopo molti lampeggi e colpi di clackson ci fermammo per constatare che la ruota posteriore se ne stava uscendo, cosa non molto piacevole vista la tortuosità del percorso. Si era rotto un semiasse, tornammo con l’auto superstite a Senj a cercare un carro-attrezzi che riportò al confine auto e guidatore, che era anche lo scalatore migliore, mentre gli altri cinque, un po’ strettini proseguirono arrivando a destinazione nel primo pomeriggio. Trovata una sistemazione per la notte nella solita casa privata e tracannato uno slivovitz di benvenuto prodottodalla vecchietta padrona di casa si ripartì immediatamente alla valle per scalare il Cjuc, sperimentando subito le solidissime ma taglienti rocce-con qualche lacrima versata dalla nostra signorina- nonchè lo stupendo ambiente con viste sul mare e le isole (Via della rampa, 3°-4°).

Anica Kuk 712 m

Il giorno dopo ci aspetta il piatto forte, ovvero la via Brahmov(la più facile) sull’Anica Kuk, parete O: una salita con un passaggio di sesto, per il quale contavamo sull’amico in viaggio con il carro attrezzi che dovrebbe ormai essere a casa. Tentiamo comunque e all’inizio ce la caviamo molto bene, anche per l’eccelsa qualità della roccia. Quando arriviamo al passaggio il capocordata esce dalla retta via e cade rimanendo illeso, grazie alle numerose sicurezze piazzate. Ridisceso riprende la strada giusta, un traverso con successivo strapiombo che supera alla grande, gli altri seguono, quando tocca alla ragazza(è la sua) questa vola rimanendo appesa nel vuoto con urla disumane. Con laboriose manovre riusciamo a recuperarla e a calmarla, quindi procediamo. Le difficoltà man mano scemano terminando a un arco naturale. Camminando arriviamo alla cima sono le sei di sera, ci abbiamo messo parecchio! Riprese le masserizie e l’auto partiamo immediatamente arrivando a casa alle due: domani è giorno di lavoro. Mio padre mi diceva “Vite gjiolt e vite patisc!”

L

Sulla via Brahomov 1

I compagni

Il traverso

Arco naturale

Finalmente in cima

Tulove Grede – Torre principale 1124 m

La bellezza dei luoghi mi aveva talmente colpito che nell’agosto ci ritornai per una settimana con la famiglia: presi in affitto un appartamento e gironzolammo nei dintorni, fra Zara, le isole Coronati, Pag. Acquistavo il Corriere con uno o due giorni di ritardo e si leggeva di disordini nella nostra zona; ne chiesi conto al Padrone di casa, croato e mi rispose “No xe niente, xe queli là” alludendo ai Serbi: invece stava iniziando la guerra che avrebbe portato alla dissoluzione della Jugoslavia. Ma qui voglio parlare delle Tulove Grede, un insieme di bianchissime guglie calcaree che si elevano sopra il passo Mali Alan. Carta alla mano siamo partiti alla scoperta di questo posto. Passando fuori della cittadina di Obrovac, deserta ma tutta imbandierata di vessilli Serbi, e dando un’occhiata alla gola del fiume Zermanja per stradinaa sterrata siamo arrivati al passo, inoltrandoci poi a piedi in questa fantastica selva rocciosa, con al centro un praticello piano dove pascolava un gregge di pecore. Poi per non smentirmi sono salito, con un adrenalico passaggio sulla guglia più alta, specie in discesa. Il panorama sull’Adriatico e le sue isole da qui è veramente splendido. Tutti i turisti, me compreso, probabilmente non si sono resi conto dei rischi corsi, se non a posteriori, visti gli avvenimenti che si sono poi susseguiti.

Isole

La catena del Velebit da Novigrad

Il fiordo del fiume Zrmanja

Tulove Grede e strada del passo Mali Alan

Tulove Grede

La torre più alta delle Tulove Grede

Tramonto sull

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