Monte Forno (1508 m) e Trupoljevo Poldne (1931m), due facili montagne di confine
Il Monte Forno o cima dei Tre Confini (Dreilanderecke in tedesco, Pec in sloveno) è l’estremo rilievo significativo della catena delle Caravanche, non c’ero fino ad allora mai stato e in crisi di nuove mete o per scarsa propensione di andare per l’ennesima volta a cercare notte su altre improbabili mete nel Febbraio del 2009 mi aggrego, con gli amici Gigi ed Eliana, a una gita sociale del Cai con le ciaspe, il ritrovo è al valico con la Slovenia di Fusine (850 m), salendoci da Tarvisio in alta Valcanale. Molta neve e tempo splendido ci favoriscono, saliamo per campi nevosi seguendo la battutissima pista dove le ciaspole sono pleonastiche. In un paio d’ore siamo in cima, adornata da una baita, un paio di antenne e il simpatico monumento in legno che affratella i tre popoli. La rinomata veduta è molto ampia su cime e vallate limitrofe, limitata quella a Est e Ovest dalla fitta foresta di conifere. In discesa caliamo (senza itinerario obbligato) a SE fino a Ratece, il primo abitato della Slovenia fino a sortire su una ghiacciata pista di slittino dove si corrono gli unici rischi della pur remunerativa gita. Torniamo al passo camminando sulla statale.
Molto più simpatica è stata la precedente salita a fine dicembre del 2007 nella stessa zona con ancora Gigi cui si aggiunge Sandro. Dopo Fusine scendiamo la valle fino a Martuliek, qui deviamo a sinistra per salire fino al solatio borgo di Sredni Vrh (960 m) per parcheggiare in uno spiazzo poco sotto. Ci alziamo seguendo una forestale a Ovest delle case che con un ampio giro e traversando poi dal punto cardinale opposto risale una vallecola secondaria con qualche vecchio fienile in legno fra la dorsale principale e degli arcigni rilievi verso Sud fino a dove si chiude. Una traccia non segnalata sale nell’abetaia fino alla cresta di confine, la nostra cima è sulla destra e si raggiunge percorrendo un’amabile cresta. Troviamo una vecchia croce di legno ma non si soffre certo l’affollamento e il panorama è migliore che dalla cima precedente al cospetto della dirimpettaia val Vrata e in pratica tutte le Giulie Orientali, a nord la piana e i laghi di Villaco, verso Est le Caravanche e la valle della Sava. In discesa procediamo per un breve tratto a Est sul dorso di confine fino a una forcelletta, poi giù nel bosco fino a riprendere l’itinerario fatto in salita. Due ore e mezza nell’ascesa per i quasi mille metri di dislivello. Dopogita alla consueta Gostilna di Martuliek.
Monte Penna, una meta di ripiego a Sud del rifugio Venezia
Andare nelle Dolomiti in inverno può comportare per gli incauti un grosso margine d’incertezza dovuta all’ignoranza delle condizioni e quantità della neve. Per questa ambiziosa gita dei primi di Febbraio ci proponiamo addirittura il Pelmo, uno dei prestigiosi 3000 delle Dolomiti Orientali che anche nella buona stagione non è una salita elementare. Con Mauro e Sandron ci trasferiamo via Valcellina e Longarone, nella Valle di Zoldo e precisamente a Zoppè, un bel paese sulla sin. orografica che quota 1466 m slm dove arriviamo prima dell’alba. Tutto tace o quasi mentre ci incamminiamo sul comodo percorso (viottolo e mulattiera con n. 471) che è il più breve approccio al rifugio Venezia, all’uscita dell’abitato siamo aggrediti dalle oche che risvegliano antichi ricordi storici riandando a quelle romane del Campidoglio. Senza altri inconvenienti alle 10 del mattino arriviamo al ricovero (già tardi!) dove ci dotiamo di piccozza e ramponi per salire lungo un ertissimo canalino alla cengia di Ball che al momento non esiste, trasformata com’è in uno sdrucciolo di neve ghiacciata dove teniamo consiglio. Avevamo previsto di evitare il passo del gatto alzandoci prima per un variante con un passo di IV, ma alla fine vince il buon senso e nonostante le rimostranze del Maurin si decide a malincuore per la rinuncia. Già la discesa richiede la sicurezza della corda e tocca comunque procedere faccia a monte ma torniamo al Venezia sani e salvi. Urge trovare una destinazione di ripiego, verso SE i piani modestamente inclinati del Penna fanno al caso nostro. Ci dirigiamo verso di essi, dapprima salendo nel bosco di vecchi larici poi in terreno aperto senza itinerario preciso sprofondando abbondantemente nella neve che qui a settentrione non si è trasformata. Poi si continua sul filo della dorsale che è interrotta da spaccature che separano le varie quote fino alla cima che quota 2196m. Non fa troppo freddo e ci fermiamo per un po’ ad ammirare lo splendido panorama prima di ripartire, tuttavia non ci aggrada l’idea di rifare il faticoso percorso dell’andata e dopo un breve tratto ci affacciamo alla prima delle forcelle che dividono le varie quote, a Sud la neve è quasi assente e il canale pare fattibile. Tratti di roccette malsicure e balze erbose arrivano fino al rado bosco sottostante, troviamo anche una traccia che seguita a destra arriva al sentiero della mattina. Con la coscienza a posto possiamo tornare in paese. 1997.
Pala d’Altei (1528 m), una gita per tutte le stagioni
A Est del Piancavallo (e della Val Caltea che scende a Barcis) l’altopiano calcareo culmina con alcune cime minori ma non per questo meno interessanti specialmente nei periodi di magra oppure perché manca la voglia di cimentarsi in imprese più ardite, la più settentrionale di queste è l’oggetto di queste righe. La prima volta è nell’Epifania del 2003, disertando i vari Pan e Vin e Pignarui da miscredenti nelle previsioni del fumo e dei vecchi venerandi nonostante le pessime condizioni del tempo ci trasferiamo a Montereale all’imbocco della Valcellina scendendo la pedemontana verso Aviano fino a Grizzo. Da qui saliamo per la rotabile a destra fino al termine dell’asfalto nei pressi di un osservatorio astronomico, a spanne saranno un 700 m d’altezza. La relazione in possesso dice che si può proseguire in auto sullo sterrato fino alla località Palis, circa 1000 m, la neve presente sconsiglia ulteriori velleità e la facciamo a piedi. Ci inoltriamo allora nel magico ambiente invernale fino al bivio dove inizia a destra il sentiero 987 che traversa fino a oltrepassare un caratteristico intaglio, continuando passiamo da un pulpito panoramico (dice la guida, oggi non si vede un tubo) e poi da una vallecola boscosa dove perdiamo definitivamente i segni. Arrivando comunque sul dorso finale con la meta a pochi minuti (ma non lo sapevamo) e preferiamo rinunciare. Con Gigi, Eliana e Cinzia.
Ritorniamo ancora nel Dicembre del 2009, il 16 per la precisione, l’unico compagno è il solito Gigi. Solo il tempo è cambiato che la giornata è bellissima, parcheggiamo come nell’occasione precedente all’osservatorio per proseguire a piedi fino a Palìs. Qui proseguiamo lungo la mulattiera (segn. 988) prima nel bosco e poi in terreno più aperto fino alla spartano edificio in pietra della Casera Rupéit, adibita a ricovero, proprio sotto il versante meridionale della Pala d’Altei a verdi e roccette che parrebbe praticabile. E’ un invito a nozze per l’amico, non c’è il sentiero e la neve scarseggia e in due ore e mezza dalla macchina tocchiamo per la prima volta la cima. Non paghi per la discesa optiamo verso Ovest, anche questo offre le stesse caratteristiche già sperimentate in salita, solo nel circo calcareo del Forador rinveniamo una traccia (segn. 987a) che seguita a sinistra e in discesa torna al sentiero 988 e con breve risalita alla Rupeit, non resta che tornare alla vettura per l’itinerario conosciuto.
12 Gennaio 2014. Pochissima neve anche in questa occasione, l’osservatorio è ancora lì, riprendiamo il sentiero del fallimento, questa volta i due amici sono Cinzia e il Mauro, saliamo lungo il dorso orientale e in poco più di due ore posiamo i piedi in cima, consolandoci della brevità dell’itinerario con una bottiglia di spumante avanzata dai bagordi delle feste. Poi ci abbassiamo al Foredor e con l’abituale (ormai) traverso ripassiamo dalla casera per tornare al posteggio.
L’anello del Rio Simon, nell’antico e nel dimenticato
In una delle meritevoli guide della coppia Pecile-Tubaro è descritto in maniera particolareggiata questo giro che si inoltra in una delle zone più inselvatichite delle nostre montagne, il versante SE dello Zuc dal Boor rivolto alla valle del Fella fra Resiutta e Chiusaforte. Che avevo percorso nel dicembre del 96, preistoria quindi. Sperando di non incorrere nel reato di plagio e dal momento che ne conservo una discreta documentazione fotografica lo ripropongo ai pazienti lettori. Ai tempi non se ne avevano notizie salvo una relazione di poche righe apparsa nel libro “Moggio e le sue montagne” redatta da Maurizio Antoniutti, indigeno e alpinista che in seguito ho avuto il piacere di conoscere. Fra i partecipanti il mio mentore Diego, la cara Emanuela, Eligio, Elena e un sardo di cui non ricordo il nome più due esponenti della razza canina. La mal assortita compagnia si trasferisce, percorrendo la SS n.13 o Pontebbana fino all’uscita della galleria fra i due paesi dove svolta a sinistra in direzione di Roveredo alle falde del Pisimoni, prima di arrivarci e dopo il ponte sul torrente in oggetto ha inizio la nostra escursione. Il sentiero sale nel bosco di pino nero fino ai diruti stavoli Polizza, poi compie un’ansa verso destra traversando alto sopra il rio Cuestis ben evidente anche se non segnalato. Ancora in salita fino alla forcella del Belepeit Piccolo, 1121m, con begli squarci su Prealpi Giulie, Canin e Zuc del Boor dove anche il bosco migliora con notevoli piante di pino (nero o austriaco? Booh) dove inizia la discesa verso N. Ora in terreno più aperto la traccia (mancano ancora i segni) ci conduce prima alla casera Cunturate dove si incontra il segnavia 425 proveniente da Chiusaforte. Lo stavolo può offrire ancora un modesto ricovero, della ulteriore Tamaruc e rimangono solo dei mucchi di sassi. Confortati dai segni proseguiamo lungamente fino al trivio nei pressi della casera la Cite, 976m dove facciamo la meritata sosta prima di prendere a sinistra e scendere nell’alveo del Rio Simon. Lo si segue per un tratto con percorso gratificante ma di un certo impegno fra bianche rocce levigate, cascatelle o pozze di acqua limpidissima fino ad uscirne per una specie di cengia inclinata. Con questa si arriva alla dorsale che cala su Roveredo passando da altri stavoli e per finire dalla Cappella degli Alpini. Poi non resta altro che seguire l’asfalto fino al parcheggio. Circa sei ore in tutto.
Creton di Culzei (2458 m) nel giorno della Befana
Di questa bella vetta nel gruppo dei Clap (fra Sappada e la val Pesarina) ricordo una gita sociale funestata dal maltempo, neanche si partì perché diluviava e dovemmo spingere la corriera rimasta infangata per tornare a casa, in seguito ci andai con alcuni amici d’estate in una delle pochissime gite senza documentazione fotografica per motivi che ora mi rimangono oscuri. Quasi un quarto di secolo è passato invece dall’invernale quando assieme a Mauro risalgo da Ovaro la Val Pesarina fino a Pian di Casa, 1236 m, località infestata dai fondisti ma con una buona osteria. Li lasciamo alle loro scioline e cominciamo a salire seguendo il tracciato del sent. 201 che dopo il passaggio dal ripiano con i ruderi della casera Clap Piccolo traversa a destra fino al rifugio De Gasperi (1767 m) dopo aver superato il canalone di Pradibosco calcando le tracce di ignoti predecessori. Sopra il rifugio l’ambiente è intonso, ci alziamo passando dalla cappella sovrastante che fidiamo ci protegga, all’inizio bosco e mughi. Con un traverso a destra ci trasferiamo nel faticoso ma ampio canalone che bisogna risalire con logica alpinistica fino alla base delle pareti dove si trova l’imbocco del colatoio che scende dalla Forcella dell’Alpino, toponimo dovuto a un pinnacolo che in effetti assomiglia a una penna. La risalita dello stesso è quasi meglio che d’estate, la neve è abbastanza buona, anche troppo, nel canale è come il marmo e dobbiamo calzare i ramponi. Così attrezzati guadagniamo l’intaglio anche se le staffe presenti nell’ultimo tratto sono coperte dal ghiaccio rendendo il mio di solito spregiudicato compagno piuttosto perplesso, forse oggi non è la sua giornata e mi lascia volentieri il comando. Il percorso finale appare piuttosto ostico. anche qui ci dovrebbero essere delle maniglie di ferro che mancano all’appello e la prosecuzione appare piuttosto aleatoria sulla neve del versante NO che è rimasta polverosa. Prima bisogna fare un traverso e poi rimontare delicatamente un canale quasi verticale dove il cavo presente in stagione è stato rimosso dal gestore del rifugio, arrampicando molto delicatamente sortiamo infine sull’inclinato pendio finale ed è fatta, siamo alla croce di vetta. Una sosta di pochi minuti per ammirare il fantastico paesaggio invernale e scattare qualche foto poi non resta che scendere e anche in questo senso l’amico mi manda da primo, quando i ramponi cominciano a mordere il ghiaccio della forcella possiamo finalmente rilassarci, si fa per dire, visto che il canalino si percorre faccia a monte. Arriviamo al parcheggio all’imbrunire, avevo lasciato il portafogli sul cruscotto, durante la salita me ne ero scordato avendo ben altre preoccupazioni, è dove l’avevo lasciato. Difficile valutare le difficoltà, senza attrezzature come nel caso odierno la guida dice primo e secondo, con la neve non si sa. Otto ore in tutto, 6 gennaio 1993.
Casera Chiampis (1234 m) per la Val Viellia, due gite senza cima
Del torrente Viellia (affluente del Meduna dalle parti di Tramonti di Sopra) avevo avuto notizia leggendo un articolo apparso su un fascicolo delle Alpi Venete di molti anni orsono dove si faceva menzione di un progettato sbarramento per fini idroelettrici a demerito di una qualche azienda poi abortito. Pare che nella remota valle sia stato ucciso anche l’ultimo orso della val Tramontina ad opera di un leggendario o forse no valligiano sopranominato il Tanaja, fatti che all’epoca mi attiravano alquanto. Bazzicavo allora nell’ambiente dell’UOEI e il consueto capogita era Alfredo Palazzo, gran conoscitore dei sentieri di bassa e media quota che inserì nel programma del 1982 questo percorso per il mese di Giugno. Non ero il solo interessato tanto che la corriera era al completo, da Udine via Spilimbergo e Meduno il mezzo entra nella valle proseguendo sulla strada per il passo di Monte Rest fino a poco oltre di Tramonti di Sopra, nei pressi dell’ultima frazione a nome Maleòn in una curva si trova a sin. la tabella del sent. 377, q. 456 m. L’inizio della camminata fra i pini infestati dalla processionaria è poco piacevole ma dalla lunga forcella del Rovin si fa molto interessante, un tratto scosceso viene superato con una passerella in legname munita di corrimano alti sulla gola del torrente che poi si raggiunge presso la cascata del Gran Paruz. Si continua fra incantevoli pozze e cascatelle nel bosco misto con prevalenti faggi fino alla soglia della spianata dove si trova in fondo la casera Chiampis, ai tempi ancora diroccata. La squadra corse in 2 h e 45’. Il tempo nel frattempo è peggiorato e ci facciamo il ritorno sotto la consueta pioggerellina di primavera, altre due ore. A parte il dislivello la gita ha comunque uno sviluppo abbastanza lungo.
Novembre dell’ 89. La compagnia è formata dai cosiddetti esperti (scrivente compreso) ma la meta è più ambiziosamente il Frascola. I caldi colori autunnali rendono la valle ancora più affascinante e la casera è stata ristrutturata e offre un buon ricovero. Peccato che il pianoro sia già coperto dalla neve, proseguiamo ancora affondando sempre più, pernottando in Chiampis si potrebbe anche arrivare in cima, ma tutti più o meno “teniamo famiglia” e si decide per la rinuncia. Non però alla spaghettata con i viveri trovati in dispensa (grazie al CAI di Spilimbergo), facciamo appena in tempo a tornare alla macchina prima del buio.
Paularo e Dimon (2043 m entrambi) da casera Pramosio Bassa
Il bilancio del 2015 non è certo eclatante con una cinquantina di cime raggiunte, per la maggior parte già visitate in passato e solo 22 nuove mete, d’altronde (come dice il mio medico) bisogna anche, ogni tanto, dare un’occhiata alla carta d’identità. Una delle ultime ripetizioni riguarda le due in oggetto, la prima volta vi avevo accompagnato parecchi anni fa mia moglie nell’anniversario del matrimonio partendo da Valdaier e il dono non era stato molto gradito. Ricordo anche una salita nel nevoso inverno del 2009 con lo stesso punto di partenza ma mai da Casera Pramosio, quindi questa potrebbe considerarsi una nuova gita. Da Tolmezzo si percorre la valle del But in direzione del passo di M. Croce, all’altezza di Cleulis di Timau (bar Pakai) si svolta a destra per arrivare con la sterrata fino alla casera in questione, 1521 m, solo un breve tratto in ombra richiede una qualche cautela per la neve. Poco sopra la casera a Est una tabella del CAI invita al Paularo, 1h e 45’ è il tempo indicato percorrendo il comodo sentiero 404. Si sale fra gli ontani alle falde della sovrastante Cima del Mezzodì fino alla sella di q. 1970 m, da dove si perdono un centinaio di metri per affacciarsi con prudenza agli scoscendimenti della frana delle Muse. Si continua poi con un lungo traverso sotto il versante N della cima dove resiste ancora la neve, dura e gelata, anche con le tracce richiede un minimo di prudenza. Si esce di nuovo al sole ai margini occidentali della larga sella Dimon (1938m) e con alcune svolte la ex mulattiera del versante Sud porta alla sinistrata Croce della cima. Anche dopo la doverosa sosta con ristoro e ammirato il panorama è ancora presto per scendere e decidiamo di proseguire verso la cima gemella. Tornati in forcella le coppie si dividono, mentre due amici scendono alla stradina di casera Montelago mi lascio trascinare (come sempre) da Mauro che propone la cresta integrale. Si continua allora sul filo dove c’è anche un’esile traccia che si dipana fra erbe e qualche risalto roccioso per alzarsi poi su una ripida dorsale con le stesse caratteristiche fino al Dimon. Dove ritroviamo gli amici, per scendere optiamo, in luogo della facile normale, per il segnavie più a destra (scendendo) più impiccato e meno evidente. Poi la breve risalita alla sella e il ritorno a casera Pramosio per il percorso già fatto al mattino. Cinque ore e mezza soste comprese, sui 700 metri di dislivello. Il dopogita si gioca all’agriturismo di Sutrio con menu prettamente carnico.
Con Ermanno, Federico e Mauro il 20 dicembre 2015