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Archive for giugno 2012

Tofana di Rozes 3225m – Ferrata Giovanni Lipella e via Classica Dimai della parete Sud

La via ferrata

La mia prima salita a una delle grandi cattedrali delle Dolomiti fu proprio questa grazie a Carlo, un compagno di quei giorni lontani, fortissimo camminatore cui non dispiaceva ripetere itinerari conosciuti. Il punto di partenza è il rifugio Dibona 2083m cui si arriva in auto dalla strada che da Cortina sale al Falzarego, passando qui la notte tutto diventa più comodo, al epoca facemmo la salita in giornata (sette ore di strada). Dal rifugio ci si alza alla base delle pareti e camminando sul sentiero si attraversa verso O passando sotto il grande antro denominato Bus de Tofana che merita una visita. Alle indicazioni si sale all’ingresso della galleria del Castelletto (pila) che porta al versante NO poi passa sotto una cascata e per cenge e pareti ben attrezzate si arriva alla fine delle difficoltà, alla cima si sale per ghiaie (o nevai) facilmente. Rimane una delle più note ma non fra quelle più difficili vie attrezzate delle Dolomiti Ampezzane che consente la traversata in un ambiente grandioso di una magnifica cima, ma non voglio tediare il lettore dato che la relazione è facilmente reperibile, la discesa per la via normale a gradoni e ghiaie che scende a forcella Fontananegra e al rifugio Giussani è piuttosto impegnativa solo se ancora innevata. Il percorso è ben segnalato in salita, un po’ meno in discesa.

La via Classica Dimai, 800m, D

Il problema della parete Sud della Tofana fu risolto intelligentemente da tre fra le più forti guide dell’epoca, Dimai Siorpaes e Verzi che vi condussero  le due appassionate e nobili sorelle ungheresi von Eotvos  nell’anno 1901. Qualche anno dopo la salita della ferrata avevo fatto qualche progresso e con altri tre soggetti parto in trasferta il primo pomeriggio del sabato con destinazione rifugio Dibona, la partecipante del gentil sesso impone una sosta a Cortina, deve a tutti i costi acquistare un paio di pantaloni nuovi per non fare brutta figura su queste nobili pareti, la scelta deve essere molto ponderata dato che ci mette più di un’ora, di conseguenza quando arriviamo al rifugio verso sera non hanno più posto, lo troviamo al passo Giau. Il mattino seguente risaliamo al rifugio, alla base della parete ci dividiamo, io resto con Zuan, la coppia rimanente vuole salire il primo spigolo, più breve e impegnativo ma che ha la fine su una spalla. Traversiamo verso Ovest fino al canale che porta all’anfiteatro, ci arriviamo scalando la rampa di destra su difficoltà modeste e roccia buona senza via obbligata (300 metri). Procediamo  diritti fino alla base di pareti  non superabili, almeno da noi: siamo fuori via, ridiscendiamo per salire a sinistra a una conca poi verso delle caverne, ancora a sinistra si scala un pilastrino dall’aspetto poco rassicurante (IV+), passo più difficile, la via non è molto evidente, segue delle cenge e paretine, ma ce la caviamo, ogni tanto qualche chiodo ci conferma che siamo in via. Ora ci aspetta la traversata in parete verticale molto estetica di IV, poi scaliamo diritti a una cengia, fino all’ostacolo finale, un camino con sasso incastrato, IV,  oltre il quale arriviamo in cima per la detritica cresta SO, non siamo poi tanto scarsi. All’auto ci tocca sopportare i rimproveri dei compagni stanchi dell’attesa, ribatto chiarendo che non siamo andati a fare palestra .

Relazione su “Le Dolomiti Orientali Vol. I” di Antonio Berti ed. CAI-TCI, quello da noi usato, attualmente su molte altre guide.

Taè, cima tranquilla nei pressi di Cortina

Questa cima alta 2511m è asimmetrica, a S verso la val di Fanes si presenta con una parete verticale a cui deve il proprio toponimo che a primo acchito parrebbe voler dire tagliato invece nel dialetto locale significa tagliere dalle striature orizzontali (Ernesto Majoni), dal versante opposto, quello che ci interessa e dove si svolge la via comune digrada a placche massi e detriti sul vallone di Antruiles. Si trova al limite Sud del vastissimo gruppo della Croda Rossa d’Ampezzo a due passi da Cortina e ciò nonostante il luogo è piuttosto tranquillo quindi merita una visita. Passati oltre la cittadina si prosegue in direzione Pusteria per qualche chilometro fino al tornante di S.Uberto-Podestagno salendo poi a sinistra verso la malga-rifugio Ra Stua (in auto in bassa stagione altrimenti a piedi, mezzoretta in più) fino al primo bivio con tabelle, parcheggio per una vettura), circa 1500 m. di quota. La stradina che si dirama a sinistra parte in discesa arrivando fino alla radura della Casera d’Antruiles, luogo molto ameno con fontana e panchine. Alle spalle della casera inizia il sentiero segnalato che sale nel bosco di conifere con qualche tratto fangoso poi prosegue su una fiumana di ghiaie portandosi indi nei mughi del lato opposto del vallone con belle viste sulle pareti variopinte della Croda d’Antruiles e del Col Becchei. Alla fine dei mughi abbandoniamo il sentiero inoltrandoci con salutare ginnastica fra i massi scesi dalla nostra meta che da qui si vede bifida, la quota massima si trova a destra, la salita non ha un percorso obbligato, proseguiamo per placche di calcare inclinate fino a una zona di rocce rotte con resti di guerra, la cima è poco sopra, il panorama svaria dai Tauri a buona parte delle Dolomiti, le Tofane sono vicinissime come l’immensa mole della Croda Rossa. Tre ore, dopo esserci ritemprati con una lunga sosta scendiamo seguendo gli ometti e le tracce di sentiero sulla facile dorsale poi alla base di paretine calando infine ai prati mugosi del Ciadin d’Antruiles e alla sorgente casualmente trovata ci abbeveriamo abbondantemente alla sue fresche acque, meglio del cabernet visto che la giornata è molto calda. Qui ritroviamo il sentiero e i segni, in cima eravamo da soli, dal parcheggio in poi abbiamo avvistato, oltre a un paio di camosci solo un umano in traversata all’altopiano di Fanes, le difficoltà non arrivano al primo grado.

I Campanoz, una cresta a torto trascurata

Transitando dal passo di S. Osvaldo mi ero incuriosito di questa cima che espone verso SO una parete di calcare bianchissimo con degli antri notando anche che la rampa sottostante poteva essere una via d’accesso e avevo pensato fosse il Fortezza, che è più basso e a Ovest, consultando la carta ho invece realizzato che la breve cresta è nominata come “I Campanoz”, la più alta elevazione è quotata 2184 e sulle guide non è neanche menzionata. Verso E precipita su Forcella Lodina, la sua cresta poi continua verso le cime Centenere ma è un rilievo isolato. In pieno inverno, è il 10 gennaio, un gruppo di ben sette individui sale tutta la Valcellina fino al Passo a 828m. Qui incominciamo a salire verso la forcella sopranominata, il cielo è nitido, non fa neanche troppo freddo, poco più in alto incontriamo la neve e appena possibile traversiamo a sinistra verso la rampa. La sua salita è abbastanza esposta, la qualità del manto bianco è passabilmente affidabile,  passiamo proprio sotto le grotte uscendo alla fine su una forcella di cresta, la cima è a sinistra e ci si arriva salendo sul filo aprendosi la traccia con goduria nella neve vergine con visioni entusiasmanti sui monti circostanti, dall’attacco tre ore fino in vetta. Dopo la meritata sosta chi se non il Maurin propone la discesa verso Nord e la Busa dei Vediei? Gli altri sciagurati acconsentono, ora di neve ce n’è a bizzeffe, sarà anche stabile? Boh. A un primo tratto piuttosto potabile poi il pendio si raddrizza sì che alla fine tiriamo fuori la corda che viene ancorata a una piccozza, tenuta sotto stretta sorveglianza e con uno del gruppo in piedi sopra, e s’incomincia a scendere con 50 m di corda singola che portano su pendenze più amene. Al sottoscritto, il meno giovane della truppa e per ciò considerato una perdita accettabile, viene affidato l’ingrato compito di scendere per ultimo assicurato dal basso senza rinvii, ma deludo gli iettatori arrivando illeso pur se con abbondanti dosi di adrenalina . Ora non resta altro che risalire alla non distante Forcella Lodina poi giù per il sentiero a valle.

Tosc e Vernar, due cime dalla Val Krma

Delle tre valli che da Mojstrana salgono da N verso il Tricorno la Krma è la più orientale e trascurata. Vista dall’alto ha la tipica forma a U causata dall’erosione glaciale e gode anche di un punto di appoggio raggiungibile in auto, il rifugio dei metalmeccanici, ma si può ancora proseguire fino al limitare del bosco. Alla prima visita volevamo salire al Debela Pec, facile dalla parte di Bohinj, da questo versante indicato come ferrata in una guida che avevo sconsideratamente acquistato, non faccio nomi onde evitare querele (in un’altra, ma in sloveno, la descrive come alpinistica ma non era ancora stata pubblicata), nonostante le  perlustrazioni noi cinque poveracci alla fine della strada, circa 900m, non abbiamo rintracciato l’inizio del sentiero. Decidiamo di proseguire allora lungo il sentiero che risale la vallata, dove il bosco finisce ammiriamo delle bellissime fioriture, d’altronde siamo in giugno, dove anticamente c’era una casera la traccia principale va a destra verso i rifugi del Triglav noi saliamo diritti, prima per verdi e dopo su grosse ghiaie verso la Bohinjska Vrata 1979m, un valico da cui si scende al rifugio Vodnik 1817m, versante lago appunto. Ora consultiamo la stagionata carta degli anni ‘80 al 50000, a sinistra abbiamo il Tosc 2275m, a destra il Vernar 2225m, del primo avevo labili ricordi di una normale che però ci arrivava dall’opposto versante, del secondo, almeno nella lingua di Dante, non esistono descrizioni, da dove proveniamo anzi espongono alte pareti. Scelto il primo ( il può significare Tozzo?), cominciamo a salire verso destra una scarpata detritica esposta e friabile e senza tracce e dopo un tempo che ci sembra lunghissimo tiriamo un sospiro di sollievo all’uscita in cresta dove ci dà il benvenuto un gregge di invadenti pecore, ora saliamo a sinistra ammirando il Triglav che ci fa l’occhiolino fra le nuvole. Ridiscesi alla forcella incontriamo una coppia proveniente dal Vernar, il signore si accende una cicca, io che le ho lasciate in auto cerco di scroccarne una, in risposta mi dice che in montagna non si fuma, al diavolo.

Due anni dopo il Vernar. Siamo solo in tre, arriviamo in forcella e prendiamo a destra questa volta, qui si trova una discreta traccia sulla dorsale erbosa con una splendida fioritura, sono proprio i giardinetti di Kugy, arriviamo  fino a un’anticima con facilità, ora però è necessario calarsi alcuni metri fino a un’affilata crestina rocciosa, la moglie del mio compagno dichiara di averne abbastanza e viene parcheggiata nell’ameno prato a contemplare i fiori. La cresta non è solidissima ma neanche marcia del tutto, poi si allarga nell’ultimo tratto ma si arrampica lo stesso fino in cima (non più di primo grado), bella vista sulle pareti O di Tosc, Veliki e Mali Draski Vrh sul lato opposto della forcella. Ridiscesi a questa ci viene la bella idea di andare a farci una birra al Vodnikov, perdendo quasi duecento metri  di dislivello, era già più di milletrecento, arriviamo alla cifra tonda.

Crodon di San Candido via Baumgartner (max III+)

Anche dal Rifugio Auronzo spostandosi un poco si può trovare la tranquillità necessaria per apprezzare meglio la magnificenza delle Dolomiti di Sesto, una di queste mete è il Crodon di San Candido 2891 m, a Nord del Locatelli. Da questo passiamo accanto ai laghetti dei Piani, saliamo ancora per dossi erbosi fino a arrivare sull’orlo di un gran canale detritico, non ci sono santi, bisogna attraversarlo, risaliamo ancora per faticose ghiaie fino a una spalla a Est della cima. In questo tratto il percorso non è evidente  e sono state aperte numerose varianti, bisogna comunque traversare verso sinistra per cenge e paretine dove è preferibile procedere in sicurezza (qui si ritirano due dei compagni e rimaniamo in quattro), fino a uscire a una terrazza alla base di una rampa-diedro la cui faccia sinistra è strapiombante. Si scala la rampa su buona dolomia fino al suo termine, poi percorrendo delle cenge con tracce di sentiero verso Ovest si esce sulla vetta. Il panorama è quanto di meglio possano offrire questi posti, qualche nuvola vagante aggiunge anziché togliere bellezza. In discesa scendiamo verso NO seguendo gli ometti e tracce (neanche primo grado) fino alla forcella del Crodon dove calando in direzione del Rifugio ci si ricongiunge al sentiero proveniente dal Lastron dei Scarperi.

Cima dei Preti 2703 m – La via dei Triestini per la cresta Nord

giugno 13, 2012 4 commenti

La via aperta nel 1931 da un folto gruppo di alpinisti di Trieste resta la più fascinosa cresta di tutte le Dolomiti Friulane, dalla forcella di attacco si rimane costantemente sul filo delle placconate di chiaro calcare passando per le due anticime ( Punta Patèra 2553 m e Cima Spellanzon 2590), la discesa per gradoni ai rispettivi intagli a franapoggio sono gli unici passi friabili della salita, le difficoltà sono modeste, sul secondo grado, ma la cavalcata fra Friuli e Cadore è entusiasmante. Dall’attacco in poi nessun problema di orientamento, solo per arrivarci si rischia di perdersi nei vasti pascoli della Pala Anziana.

Siamo in 5+1, alla minispedizione partecipa anche la Lisetta in qualità di cuoca, ridiscenderà da sola in val Cimoliana. Da Cimolais la risaliamo fino allo sbocco della V. dei Frassin 940 m dove al di là del solco principale inizia il sentiero per la Casera Laghet de Sora 1871m, ben ristrutturata a ricovero m, punto d’appoggio obbligatorio se non si è dei draghi. La stagione è l’autunno, dopo un duraturo periodo piovoso le previsioni sono ottime, non sarebbe molto igienico incappare nel maltempo sulla cresta. Alla casera  sorprendiamo due giovani fidanzatini che probabilmente volevano qui trasgredire al sesto comandamento, il severo sguardo della Lisetta toglie loro ogni velleità, lei si dedica ora alle arti culinarie e i cinque maschietti alle degustazioni etiliche. Al sorgere del sole siamo già in attività e alle sette in marcia, il sentiero dell’alta via n. 6 non è granchè segnalato, dopo qualche esitazione riusciamo a capire qual è l’intaglio d’attacco, si sale uno stretto canale sovrastati a destra da un gendarme verticale. Dal filo il panorama è illimitato e a giro d’orizzonte già da qui e la limpida giornata d’ottobre ci favorisce alquanto. Proseguiamo senza sicurezze sul filo, solo la discesa alle due forcelle di cresta non è obbligata e bisogna fare attenzione. Dalla seconda forcelletta la cresta finale si impenna e ci riserva un ultimo ostacolo, un saltino verticale che appare piuttosto rognoso, in tre andiamo avanti sul filo, il solito bastian contrario convince un altro componente a traversare le placche sulla sinistra in massima esposizione, arrivati alla base del passaggio ci leghiamo, vado avanti scartando a sinistra e subito dopo trovo l’unico chiodo della salita che conferma la validità della scelta (III). Anche i due contestatori riappaiono e proseguiamo insieme verso la cima sulle consuete difficoltà. Sul culmine  incontriamo altri tre amici arrivati dalla normale, ridiscendiamo a valle per questa (vedere il precedente post) dove  Lisetta attende trepidante a valle il suo Mauro mentre il gestore del Albergo Duranno a Cimolais dopo il nostro passaggio avrà un notevole incremento delle entrate. L’autore, dopo un mese e mezzo di astinenza forzata dai monti l’indomani al lavoro invece avrà qualche problemino con le gambe.

Antonio e  Camillo Berti, Le Dolomiti Orientali vol. II ed. CAI-TCI

La Cima dei Preti 2703 m, per la via comune

Le prime cime del gruppo che ho salito sono state Duranno e Cima dei preti, tanto per togliersi il pensiero, poi ci sono ritornato parecchie volte, l’ultima l’anno scorso sulla cima Laste, alcune volte anche d’inverno, mai patito affollamento, in verità non ho mai incrociato alcuno salvo che in casera.

La salita alla più alta grandiosa e complessa montagna delle Dolomiti friulane comporta, se fatta in giornata, il superamento di 1900 m di dislivello che a quei tempi non mi intimidivano e neanche la stagione avanzata, era la terza decade di ottobre, con i suoi tempi ristretti ci poteva frenare. Da Cimolais ci si inoltra nella valle omonima fino al primo ponte dove si lascia l’auto, 728 m. A sinistra si diparte il sentiero per il Bivacco Greselin che risale la val Compol, lasciato a sinistra il sentiero di Casera Lodina la traccia ora si inerpica molto ripidamente  nella valle delle Pale Floriane ma sempre facile anche se talora bisogna usare anche le braccia. Guadagnando quota alla sinistra cominciano a svelarsi le varie cime della cresta SE, un po’ alla volta il bosco si dirada ma il percorso guadagna metri senza pietà fino al circo del bivacco in un luogo incantato a 1950 m, sarebbe già una remunerativa gita fino a qui, come anche un ottimo punto d’appoggio per spezzare la salita in due giorni. Qui incontriamo la prima neve e i segni scompaiono. Un caratteristico passaggio in una specie di corridoio racchiuso fra le rocce porta  alla cresta (forcella Cadin dei Frati, 2203 m), ove la vista si apre ancora, e qui ci congediamo da tre compagni che ne hanno abbastanza. In due andiamo avanti verso destra su una traccia, la giornata è tipica della stagione con delle innocue nuvolette vaganti che però nascondono la cima, ora ci alziamo in una svasatura rocciosa non lontana dalla cresta con un salto abbastanza impiccato (I con un passo di II) con cui arriviamo ai ghiaioni sotto la cima. A questo punto non si capisce dove andare visto che siamo in un banco di nebbia, tracce non ce ne sono, andiamo troppo a destra quando da un’improvvisa schiarita ci appare la vetta sul lato opposto, torniamo sulla retta via senza perdere quota e per scaglie e detriti ci meritiamo il piccolo Cristo di Vetta e il sereno con panorama a giro d’orizzonte visto che le nubi si sono dileguate. In discesa rifacciamo più o meno lo stesso percorso. Per il giro completo dieci ore.

Bibliografia: di Luca Visentini “Le Dolomiti d’Oltre Piave” ed. Athesia, ai tempi non esistente, noi avevamo la guida grigia del CAI-TCI del Berti.

Superbike in Austria

Del folto gruppo di appassionati di curve e tornanti dei favolosi anni settanta disciolto da decenni uno solo cambiò lavoro per dedicarsi alla motocicletta, prima aprendo un’officina, in seguito vinse anche il campionato italiano delle derivate di serie con una Ducati e in seguito gestì per anni una piccola scuderia con alterne fortune, all’apice della carriera gli fu affidata in Superbike la squadra ufficiale dell’Aprilia al suo debutto. Per la gara austriaca sul circuito di Zwelteg il Nando detto Bacanut si ricordò degli amici offrendo dei biglietti di tribuna con accesso ai box. Con altri reduci componemmo una macchina per affrontare la trasferta ritornando ai vecchi amori, piovigginò tutto il giorno (anche all’interno per le molte birre consumate), quindi niente rimorsi per il giorno rubato alla montagna. Due belle gare, con innumerevoli dritti e scivolate ma sempre con il coltello fra i denti com’è consuetudine in queste combattive gare dove niente è scontato.

Categorie:La Motocicletta

Monte Disgrazia 3678 m, via comune della cresta ONO, misto PD

Attualmente una gita come questa sarebbe improponibile visto che le stringenti norme sulla sicurezza e responsabilità hanno di fatto costretto il CAI e l’escursionismo al ribasso, nessuno vuole cercare incognite e gli accompagnatori sono costretti in pratica a fare il percorso tre volte (la salita personale, la ricognizione e l’uscita con i soci), pare inoltre che per ogni tot numero di escursionisti ci debba essere un accompagnatore patentato. Mah! O forse sono io che sono diventato un vecchio  brontolone,  ma non moltissimi anni fa non era così, ho partecipato a (non molte, per la verità) uscite che neanche gli accompagnatori  avevano fatte programmandole solo sulla carta, questa è stata una delle tre che ho personalmente proposte.

Tutto questo per introdurre l’oggetto in questione, la gita sociale a questa nobile montagna della Valtellina, situata completamente in Italia con la guida di due all’epoca aiuto istruttori, il sottoscritto e un altro che poi ha fatto carriera negli organici del Club, più qualche reduce dall’annuale corso roccia. Il gruppo, composto di una ventina abbondante di persone parte con le vetture il sabato mattina verso la Lombardia, via Lecco-Morbegno-Val di Mello-Valle di Preda Rossa fino al parcheggio alla fine della strada, 480 km, circa 1800 la quota. Il posto è suggestivo, il torrente nella radura si disperde in meandri con le mucche al pascolo che li guadano in cerca dell’erba più verde, qualche rustico, la mungitura fatta a mano, verso  Nord il circo dei monti. In un paio d’ore saliamo al rifugio Ponti lungo un sentiero da dove si vede in alto la nostra montagna, al pomeriggio in un’ora saliamo ancora un duecento metri fino alla Bocchetta di Pioda 2769 m  dove il panorama si amplia verso i monti di granito chiaro della Bregaglia, la giornata è d’altro canto soleggiata , solo una leggera foschia vela le cime più lontane. Durante la notte si scatena il finimondo con tuoni e pioggia a dirotto che agli ottimisti fa ben sperare per il mattino seguente, ma saranno presto delusi. Piove ancora alle 4.30, orario previsto per la sveglia e restiamo nella camerata fino alle otto. Continua tuttora a piovere e i ¾ del gruppo prepara gli zaini e riparte verso casa, rimangono i più accaniti. Verso le dieci smette, stiamo in attesa di miglioramenti ancora mezz’ora poi decidiamo, sotto una cappa di nuvoloni, di provarci comunque. Dal rifugio dopo un tratto su detriti scendiamo al sottostante ghiacciaio che risaliamo facilmente  fino alla forcella all’inizio della cresta ONO dove si sviluppa la via normale. S’inizia scalando dei canali nevosi e delle rocce, poi troviamo un esposto pendio abbastanza ripido che bisogna salire in diagonale mentre più in su la cima resta celata dalle nubi, al suo termine ci leghiamo, proseguiremo di conserva. Qui la compagnia si assottiglia, quasi tutti decidono di rimandare al giorno seguente, così  restiamo in tre. Dopo la neve riusciamo sul filo, alternando il serpentino al ghiaccio sempre avvolti dalle nubi,  quando si assottiglia siamo probabilmente sul Cavallo di Bronzo, il passaggio chiave. Con visibilità quasi nulla arriviamo al segnale della cima in cinque ore, sono le tre del pomeriggio. Ridiscendendo ci rendiamo conto che siamo stati miracolati, non abbiamo preso neanche una goccia di pioggia, in caso di temporale la situazione sarebbe diventata piuttosto seria. Salutiamo gli amici che attenderanno un miglioramento per l’indomani che non ci sarà. Sulla via del ritorno alle porte di Lecco incappiamo in una lunga coda di auto, sono i lumbard che rientrano dal weekend, che ci costa qualche ora, rientriamo alla magione alle cinque del mattino belli freschi , pronti alla nuova settimana lavorativa.

Spik 2472 m, traversata invernale

Questa è la sola cima segnata di tutto il sottogruppo di Martulijek e anche la più famosa per le dure vie della parete N alta quasi mille metri, salita la prima volta da Angelo Dibona nel 1925 con Anna Escher e in seguito teatro di imprese al femminile con le slovene Mira Debelakova e Pavla Jeshi. L’aspetto di perfetta piramide giustifica il nome, la normale, facile, ha un solo breve tratto attrezzato e si svolge sull’opposto versante SO dalla val Krnica. In una stagione invernale di poca neve con decido di provarci assieme a due fidati compagni. Da Kraniska Gora saliamo verso il passo Vrsic e poco dopo l’ex Hotel Erica svoltiamo a sinistra su una strada bianca percorribile brevemente, siamo a circa 900 m d’altezza. Solo al rifugio della val Krnica incontriamo la prima neve, traversiamo a sinistra un bosco di faggio poi i segni conducono a un canalone con grossi massi da percorrersi parte sul fondo parte sui lati per uscirne poi definitivamente a sinistra, lo spessore del manto nevoso aumenta considerevolmente sì che il nostro tentativo rischia di naufragare miserevolmente in esso. Riusciamo a uscire dalla trappola, più in alto troviamo neve trasformata che ci obbliga a sguainare piccozza e ramponi su pendenze abbastanza potabili e guadagniamo la Lipnica, un’anticima di 2418 m. Da qui bisogna transitare da una cresta piuttosto frastagliata, cominciando con la neve, dove diventa rocciosa si prosegue appena sotto e troviamo dei cavi per nostra fortuna scoperti, un ultima bianca dorsale ci consegna alla vetta. Per completare la giornata scendiamo a Ovest verso il Kacij Graben (Vallone dei serpenti), per pendii detritici e roccette scendiamo agli ampi nevai  piuttosto ripidi ma dove si sprofonda faticosamente fino alla loro fine. Poi una traccia fra i mughi, tanto gli amici rettili se ne stanno ora al caldo sotto le pietre, esce nei pressi del nostro parcheggio. Cinque ore per la salita, poco più di due in discesa, siamo ancora in tempo per una birra e il solito piatto di carne alla griglia.