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Archive for agosto 2012

Cima delle Ciazze Alte 2286 m, wilderness totale

A risarcimento dell’ultimo fine settimana passato fra le mura domestiche, il sabato per impegni familiari, la domenica temporali inforco la bici e scendo a concedermi un taglio alla frasca del Bacan, quando sto per riavviarmi verso casa fanno il loro ingresso tre sodali della montagna cui ben presto se ne aggiunge un altro, due di loro devono festeggiare il compleanno, non posso ritirarmi, chiedono subito bottiglie e piatti di salumi e formaggi assortiti, poi i cantucci della casa che vengono inzuppati nel fragolino bianco. Due hanno impegni di lavoro, un altro sta preparando la tesi, il quarto si è appena laureato ed è disponibile per una gita infrasettimanale, con l’ottimismo causato dalle libagioni gli propongo per mercoledì questa salita, l’ultima del mese di Agosto.

Il punto di partenza è il Ponte Scandoler 755 m, il secondo salendo la Val Cimoliana dal paese omonimo, l’area di parcheggio è appena dopo, se si arriva come nel nostro caso verso le sette si risparmia pure il pedaggio, il vallone Sciol di Tarsia confluisce nella vallata principale poco a monte. Ripassiamo il ponte, una traccia poco evidente sale a destra nel bosco di pini, poco dopo qualche ometto conferma la scelta, si continua a salire fino ai bordi del canale poi ci si porta sull’altro versante (sin. orografica) dove ci alza ancora nella boscaglia ai margini del solco fino a quando cede il posto ai mughi. Alla biforcazione si attraversa il letto del torrente per seguire il ramo di sinistra, dov’è interrotto da un salto roccioso con una cascata, siamo sul lato destro, si passa su quello opposto per salire a una dorsale con mughi. Qui incominciano i problemi, la esile traccia si perde subito, la lotta si fa subito dura, probabilmente bisognerebbe rientrare nel canale sopra il salto, noi perseveriamo nel folto quasi fino a una barra rocciosa dove vediamo possibile la calata nel solco che si attraversa su lisce placche inclinate e con facili passaggi rocciosi ci si porta sul versante destro, qui rintracciamo di nuovo qualche ometto, passiamo da una esile sorgente poi usciamo (era ora) nel Ciadin delle Ciazze Alte. Di fronte ci appaiono delle cime(I Cantoni e la Compol), ma la nostra meta, come avremo modo di chiarirci più in alto, non è ancora visibile, conviene tenersi al centro, giunti sotto un’ulteriore roccione con landri ecco di nuovo i preziosi mucchietti di pietra che salgono di nuovo verso sinistra. Ci alziamo con facile arrampicata avvistando in un restringimento i due massi incastrati citati nella relazione, li evitiamo entrando in un canalino roccioso che si scala facilmente sul fondo o sul suo margine (sempre tenendosi a sinistra), con l’ultima scarpata infida di placche ricoperte di ghiaia usciamo in cresta e all’anticima Ovest (4 metri più bassa della Cima, che finalmente ci appare verso Est), il dislivello a questo punto sarebbe coperto, non so il mio giovane compagno che si porta anche la corda, ma  io sono praticamente cremato.

Da qui in vetta in linea d’aria saranno 250 m che diventano molti di più considerando che la linea retta qui non esiste, più vari saliscendi, andiamo avanti verso Est sul filo, al rilievo seguente che ha il salto più impegnativo in discesa decidiamo di procedere in sicurezza, la cresta è molto bella e ariosa, con tre tiri arriviamo sulla sospirata sommità. Sette ore il tempo impiegato, siamo in uno dei luoghi più selvaggi e isolati delle Dolomiti Friulane, non per niente stamattina ho lasciato, cosa che non faccio mai, un biglietto con indicato il nostro programma. Facciamo mezz’ora di sosta esaurendo cibi e bevande poi ripartiamo, riponiamo corde e cordini e ripartiamo slegati. Al primo risalto notiamo degli ometti che invitano a una discesa più diretta senza ripassare dalla cima O, un breve consulto e decidiamo di seguirli, c’è qualche breve saltino di roccia, un caminetto poi verdi e placche appoggiate ci riportano al Ciadin, alla sorgente rifacciamo il pieno alle borracce e ritorniamo ai nostri mughi, guerra totale nuovamente, la stanchezza gioca brutti scherzi e manchiamo il passaggio sotto la cascata portandoci più a valle. Sopra di noi c’è un contrafforte roccioso, sotto un canalone che scende poco a valle della biforcazione, sembra fattibile, ma dopo un primo tratto è interrotto da un salto. Tocca fare una calata, risfoderiamo corda e imbrago, come ancoraggio ci affidiamo a un mugo, con venti metri torniamo su pendenze più accessibili,poco prima dello Sciol l’amico mette in fuga un ben sviluppato esemplare di vipera, sarà l’ultima sorpresa per oggi. La giornata è stata intensa, con le poche soste più di dodici ore, due litri d’acqua, un pacchetto di wafer e due frutti il consumo energetico, a Cimolais una birra grande poi il ritorno.

29 Agosto 2012

Cima Undici Nord 3068 m, fatiche e soddisfazioni

agosto 31, 2012 2 commenti

La settimana dopo ferragosto la calura, battezzata con nomi presi dalla mitologia, continua a imperversare (guarda il caso, in estate fa caldo l’inverno fa freddo, sai la novità) e il Mauro decide di prendersi un giorno di ferie, mi propone il Viaz del Gonela negli Spiz, ci siamo appena stati e rilancio con la via aperta da Antonio Berti e compagni nel 29 che ora è diventata la via comune di primo e secondo grado. Trovato l’accordo da Santo Stefano saliamo in Val Comelico, dopo Padola svoltiamo sulla sinistra per Bagni di Valgrande e più in su al rifugio Lunelli 1568 m, le strade sono ancora umide e il tempo variabile ma il detto che in Dolomiti c’è sempre il sole resta sempre valido. Seguendo le abbondanti segnalazioni passiamo dal rif. Berti 1950 m, qui dichiariamo al gestore le nostre intenzioni, proseguiamo sul faticoso sentiero che porta al Passo della Sentinella 2717 già visibile in fondo al Vallon Popera, resto stupito dalla mancanza di neve,  ghiacciaio pensile, forcella Rivetti e canalone Schuster sono impercorribili allo stato attuale. In tre ore ci siamo. Alla sinistra il canalone dei Mascabroni conserva solo una sottile lingua di ghiaccio, lo traversiamo con qualche problema all’uscita, le placche lisciate sono coperte da instabile ghiaino, al di sopra  troviamo una distesa di detriti, saliamo facilmente alle rocce. Troviamo subito qualche ometto ma ci rendiamo anche conto che la temuta friabile dolomia, tenendosi su spigoli e paretine evitando il più possibile i canali, è passabilmente affidabile. Tenendo d’occhio gli ometti saliamo tenendoci sempre a manca del canale senza passaggi obbligati. Metto il casco, il compagno non lo ha neanche con sé, la corda e il resto rimangono nel sacco. Alla forcella Sala, origine del canale, fra la cima e un suo satellite si va ancora a sinistra su una cengetta, un ultima scarpata ripida,  questo è l’unico tratto dove le rocce sono decisamente friabili, in altre due ore siamo soli sulla strepitosa vetta, cinque in tutto, come da relazione. Il cielo è abbastanza limpido grazie alle piogge notturne con vedute a giro d’orizzonte, vicinissima la Cima Sud più alta, pressoché tutte le Dolomiti, Carniche, Tauri ecc. Non approfitto del mezzo di rosso che il compare si porta sempre dietro, solo un sorso d’assaggio, è pessimo come le altre volte. All’inizio la discesa è alquanto adrenalinica, diciamo fino alla sella, poi diventa più scorrevole, sempre con le dovute cautele e senza perdere d’occhio gli ometti adesso cerchiamo i canali detritici, più comodi. Al limite del canale di discesa dei Mascabroni escursionisti presenti  al passo Della Sentinella ci indicano la via del traverso, li ignoro e con piede leggero di corsa passo elegantemente. L’acqua è consumata, arrivo al Berti, una birra grande per me e una grappa, ti pareva, al mio fido partner e scendiamo a valle, in tutto con le soste 9 ore. Intanto stanno arrivando le nuvole, a Sappada sta piovigginando, cosa che ormai non c’interessa.

22 Agosto 2012

Plesivec 2185 m, a picco sulla val Coritenza

Le pareti di Bretto, Lovska Stena in sloveno, si alzano selvagge con le loro cime fra le valli Coritenza e Bausizza/Bala limitate dalla chiusa di Plezzo e la forcella Cez Brezice,  il Plesivec  costituisce l’estrema  loro elevazione a NE. E’ la domenica dopo ferragosto, ad evitare ingorghi con conseguenti aleatori rientri alla magione ad orari indecorosi ci ritiriamo nelle Giulie Orientali, viene estratta questa cima, l’accesso scelto è quello dalla val Coritenza, via Cividale-Plezzo-Bretto(Log Pod Mangrtom), paesello sotto il passo del Predil ove si arriva senza intoppi, anche il caffè a Caporetto è decente. All’uscita dell’abitato verso destra una strada bianca s’inoltra nella valle, all’unico bivio si tiene a manca, non c’è alcun divieto ma  parcheggiamo poco dopo, a circa 700 m di quota. Si prosegue pedibus calcantibus fino a una sbarra e oltre passando vicino a dei rustici casolari, alla fine della stradina dopo una salita si varca il torrente per attraversare delle ghiaie, al di là un vistoso segno rosso invita a salire un risalto di calcare e mughi dove iniziano le stagionate ma comunque sufficienti attrezzature con pioli e cavi che ne permettono il superamento, il posto è fresco e all’ombra  del Plesivec  (che da qui si presenta con verticali pareti chiare)anche se occorre prestare attenzione all’umidità che lo rende alquanto scivoloso. Si esce in un boschetto di faggi che cede più in alto a vegetazione più bassa, qui incontriamo due italiani reduci dallo Jalovec, il sentiero continua in terreno aperto ma sempre ripido sovrastati dalle verticali pareti della nostra meta per uscire infine alla stretta forcella Cez Brezice 1990 m (Sella Coritenza) dalla quale ci si affaccia sull’assolata val Bala e la meta prefissata si presenta da qui erbosa. Poco dopo arrivano dalla cima i due sloveni  che avevano lasciato qui gli zaini, ci confermano che il percorso è facile e anche noi ci avviamo, una traccia a destra evita un primo risalto poi continua su verdi piuttosto ripidi fino alla vasta dorsale che salita ancora a destra esce in vetta. Il panorama è attraente, tutte le Giulie Occidentali, i vicini Jalovec e Mangart, le pareti di Bretto, il Grintovec eccetera. La giornata molto bella e la temperatura gradevole con una leggera brezza invitano a una lunga sosta ma bisogna pensare alla discesa. Alla sella un compagno non vuole scendere per la ferrata e si avvia sul sentiero della Val Bala, noi due rimanenti scendiamo a riprendere la vettura, all’inizio della ferrata notiamo dei cavi che invitano a destra in direzione di un canalone, non ci sono segni ma le attrezzature continuano passando da un landro, attraversano alte sul fondo del canale e in traversata riportano sul ghiaione evitando il primo tratto della salita della mattina, più in basso intersechiamo il sentiero segnato. Ora la calura è opprimente, al guado ci diamo una rinfrescata e recuperata l’auto scendiamo fino al Forte, prima di questo svoltiamo a sinistra in val Bausizza, la strada ci porta agli ultimi casolari e alla fine della stessa, 720 metri circa, proprio mentre sbuca dal sentiero il dissidente che con probabilità prossime allo zero, chi ha incontrato? Tre compatrioti fra cui un’ex allieva del corso di scialpinismo.

Il dislivello è consistente, 1500 metri, ci impieghiamo quattro ore in salita e due e mezza in discesa, non ci sono relazioni dalla forcella in cima, ma il percorso è evidente.

Il Monte Cornon in due tempi

agosto 27, 2012 5 commenti

Bivacco Caimi 2045 m

Con l’ardita cuspide di questa montagna alta 2378 si esaurisce verso Est la catena dei Brentoni che fa parte delle Alpi Carniche pur essendo collocata geograficamente tutta nel bellunese ma più appartata rispetto alle Dolomiti, non ci sono rifugi né ferrate che salgono alle cime solo qualche bivacco (mi pare tre) funge da punto d’appoggio e non ha, a parte il Tudaio con il suo forte, cime elementari . Ai primi di luglio dell’anno scorso risaliamo baldanzosi tutta la val Pesarina proseguendo oltre Casera Razzo e i due rifugi di Sella Ciampigotto in corrispondenza di una curva a 1776 m di quota in versante Cadore sulla destra si nota una trattorabile, è giunto il momento di parcheggiare. Andiamo avanti sullo stradello fino a che si esaurisce riducendosi a sentiero, poco dopo si scavalca, ancora verso destra, una staccionata: è l’inizio della traccia poco percorsa con segnavia 332 diretta a Forcella Valgrande 2044 m passando sotto le pareti dei Brentoni, il dislivello non è molto, a incrementarlo ci pensano  vari saliscendi, di buon passo ci mettiamo due ore. La sella è ampia e distesi sull’erbetta si sta molto bene a godersi il panorama verso le Dolomiti, alle spalle i Brentoni e di fronte il frastagliato massiccio del Cornon. Il Gaberscik dice di spostarsi di poco a destra per salire il canalone principale ma noi esperti sfigati quali siamo non riusciamo a capire quale sia, e sconsideratamente cominciamo a seguire dei bolli rossi fino a trovarci sull’orlo di un orrido ghiaioso/roccioso piuttosto repulsivo, perseveriamo nei nostri errori, ci sono dei cavi e delle scalette, scendiamo per risalire sull’opposto versante inoltrandoci nel caldo abbraccio dei mughi, attraversiamo con varie perdite di quota altri canali franosi, i segnali diventano radi o assenti, consapevoli ora che le nostre fatiche ci porteranno, dopo aver aggirato la montagna  al bivacco Caimi. Infatti una ultima penosa salita con qualche battaglia fra la vegetazione ci porta al piccolo spiazzo del bivacco, questo  fra l’altro molto ben tenuto, il Cornon beffardo sghignazza di fronte, nessuno propone di calarsi nell’anfiteatro per tentare la normale, decidiamo che per oggi ne abbiamo avuto abbastanza, ripercorriamo scornati la via dell’andata.

Il giorno della riscossa

Agosto 2012, ripropongo la salita variando il punto di partenza, da Sappada divalliamo fino a Campolongo, lo attraversiamo per entrare in Val Frison lungo l’ex statale per forcella Lavardet, distrutta molti anni fa da frane e alluvioni, ora percorribile in auto per un breve tratto. Qui parcheggiamo prima del ponte a q. 1048 m, gli indigeni muniti di permesso possono salire ancora. I partecipanti alla gita sono per la media piuttosto numerosi, siamo in sei, tre altri miei concittadini più il solito M. cui si aggiunge un altro per me sconosciuto ragazzo che raccattiamo a Gemona. Dopo aver traversato altri due ponti a destra comincia il sentiero della Val Cornon per il Bivacco Caimi contrassegnato con il n. 333. All’inizio sale nel bosco, poi attraversa una frana  (un breve tratto ha un cavo di assicurazione) sulla destra, passa sull’altro versante per uscire infine sui prati con larici appena sotto il ricovero dove riesco a ricongiungermi con il terzetto di testa che si è fermatioad aspettare gli inseguitori non per bontà ma probabilmente perché non sanno dove andare, appena avuto qualche indicazione il giovane mai visto riparte a tutta velocità, dietro a lui il M. non può essere da meno, a tallonarli un altro allenato podista. Non riesco neanche a bere un sorso d’acqua che mi tocca ripartire, ora bisogna rimontare il faticoso ghiaione che scende dalla forcella fra la cima maggiore e la Cima di Mezzo, alla testa della gara il primo sta già discendendo dalla detta sella raggiunta per errore, invece bisogna, una volta arrivati alla base delle rocce, salire a destra in una specie di corridoio fra queste e una quinta rocciosa fino a una forcelletta alla base della cresta NO dove troviamo il primo sbiadito segno di vernice. Mancano 70 m alla cima, Una rampa porta a un intaglio caratteristico dopo si traversa a destra per superare due saltini di buona roccia piuttosto esposti poi più facilmente per sfasciumi si riesce alla cima, difficoltà fino al primo superiore, un chiodo sopra i due passaggi più impegnativi comunque la corda non è stata usata, noi ritardatari arriviamo cinque minuti dopo la squadra corse. Tre ore per coprire gli oltre 1300 m di dislivello, sono piuttosto incazzato, alla mia età non mi metto certo a gareggiare in velocità con gente che ha quarant’anni meno di me. La vetta è bifida, invito il giovanotto, visto che gli piace la solitudine ad appartarsi sul vicino rilievo anche per la sosta. Dopo il sermone il gruppo rientra compatto lungo la stessa via alle auto in circa due ore e mezza.

 

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Skednjovec 2309 m, mari di pietra a Sud del Tricorno

Zelo zahtevno, ne oznacena pot (molto difficile, non segnata), tale è classificata questa gita nel volume in sloveno della Sidarta “111 Izletov”comunque indecifrabile per me che non conosco la lingua, si capiscono solo  dislivello orari e punto di partenza  oltre agli schizzi. La trasferta in auto è piuttosto lunga, valico di Fusine, Jesenice, laghi di Bled e di Bohinj. Dall’inizio di quest’ultimo in breve a destra a Stara Fuzina dove dal centro del paese ora a sin. alla stradina che risale la valle del Voje, il pedaggio richiesto aumenta in modo esponenziale a ogni visita, ora è esosamente fissato in dieci Euro, ma siamo in cinque a dividere il malloppo. La rotabile è in gran parte asfaltata, al primo bivio si va a sinistra e a quello dopo a destra, la si percorre fino alla fine nei pressi della malga Blato 1088 m con qualche problema di parcheggio in agosto. Non ci accodiamo alle moltitudini che salgono al rifugio Planina pri Jezeru verso sinistra, andiamo avanti diritti fino al limite dei pascoli dell’alpeggio citato, una freccia rossa e la scritta Krstenica ci invitano a salire a destra, dopo una decina di metri in comoda cengia poi un comodo sentiero non segnalato ma molto evidente sale nel bosco fino a quest’ultima, una malga su una vasta quanto panoramica dorsale erbosa, posta a 1665 m. Una vecchia Fiat Campagnola con ruote da trattore sta arrancando sulla pista forestale con i rifornimenti, all’arrivo viene sottoposta a una terapia d’urto, aperto il vano motore il tutto viene raffreddato con dei getti d’acqua fresca, anche questo non è un paese per vecchi. In lontananza si riesce a individuare la meta odierna verso NE, lasciamo l’alpeggio traversando in questa direzione, ci sono parecchi sentierini che poco dopo confluiscono in uno solo, il percorso è a saliscendi sul versante destro di un vallone fino a uscire nel polje o dolina che dir si voglia con i ruderi della casera Jezerce, bel prato con vasca e sorgente, ultima acqua. Il sentiero principale sale a sin. con numerosi tornanti a una forcella, la nostra via prosegue a fondo valle, trascuriamo un ulteriore biforcazione nel senso opposto mantenendo la direzione ora in faticosa salita su verdi con tracce meno evidenti, riappaiono più in alto dirette a un’ulteriore selletta che non raggiungiamo, traversiamo verso O a una valletta detritica sotto le arcigne pareti dello Skednjovec . Si risale (anche per le più gradevoli placche calcaree a sin.) fino a arrivare a una larga sella con bella vista su Tricorno, Kanjavec ecc., i segni sono ormai un vago ricordo, ci troviamo fra la cima prefissa e la più alta Vrh Hribaric 2388 m, visibilmente più facile. I compagni sono un po’ indietro, abbiamo anche il figlio dodicenne di uno di essi, sono solo con il solito Mauro. Ma la guida diceva di salire la cresta SE, diventata ora irraggiungibile o la NO che abbiamo davanti, che ci parrebbe anche fattibile? E chi se lo ricorda. All’arrivo degli amici lasciamo lì lo zaino e decidiamo di andare a vedere, la cresta è percorribile, siamo sul primo grado a tratti esposto, passiamo da un’anticima e sempre sul filo usciamo all’ometto sommitale. In tutti poi saliamo le placche che ci conducono finalmente assieme sulla seconda vetta. Ora ci viene la bella idea di chiudere l’anello, in lontananza avvistiamo il battutissimo sentiero che dalla sella Dolic scende verso la valle dei Sette Laghi, sarà a 1,5 km, poco roba, da farsi su e giù per placche e vallette senza tracce. Aggiudicato senza alcuna pietà, ci sarebbero i termini per una denuncia di maltrattamento sui minori. Ci arriviamo infine, sembra di entrare in autostrada, ci offre il benvenuto un giovane stambecco esibizionista, il divertimento finisce ben presto, all’unico bivio occorre salire a sinistra a una forcella (Vrata, 2192 m), siamo sopra la val Trenta e alla fine delle risorse idriche ma da qui in poi sarà tutta discesa. Il solitario vallone Za Kopico è parallelo alla valle dei Laghi  verso il suo sbocco diventa man mano più verde prima fra i caldi mughi, quando entriamo nel bosco è quasi il paradiso, avvistiamo la malga Ovcijaria come fosse l’oasi per il beduino e il suo cammello, ma avranno anche la birra? Sì, a scelta fra la Union e la Lasko, dopo esserci dissetati ci caliamo traballanti al sottostante rifugio del lago e all’auto percorrendo la sgradevole trattorabile. Quasi 10 ore con le soste, i miei complimenti al ragazzo.

Tre salite nel Circo Sud di Riobianco: Cima Pacifico, Pala di R. e Torre Rotonda

agosto 15, 2012 3 commenti

Anche se in seguito è stata segnata una discesa che dalla Forcella Alta di Riobianco si cala sul Sentiero del Re resta il luogo più incontaminato dell’intero gruppo dello Jof Fuart e uno dei più selvaggi delle Giulie Occidentali. Per arrivarci tuttavia l’itinerario più breve prevede, previo parcheggio al ponte di Riobianco 990 m sulla strada fra Sella Nevea e Cave, la salita al Rifugio Brunner su comodo sentiero, dal rifugio si attraversa in piano a sinistra per qualche centinaio di metri fino a un canalino roccioso (sbiadite indicazioni su un masso) che va risalito con vari passaggi di II su roccia in parte friabile fino a uscire su una dorsale di mughi secolari che bisogna attraversare. Dopo la dura lotta si esce in terreno più aperto dove si trova una traccia che corre sulla cresta erbosa indi una cengia alla base della Cima Berto Pacifico conduce al circo. Nelle tre visite fatte mai incontrato nessuno a parte qualche camoscio.

Cima Berto Pacifico 1960 m, via in parete SO, V-,V+, A2

Durante la compilazione della guida delle Alpi Giulie i forti alpinisti Gino Buscaini e Silvia Metzeltin, compagni di vita e di corda, hanno scoperto questo bell’obelisco che hanno dedicato all’alpinista triestino. Siamo in quattro a salire al Circo, l’altra cordata vuole aprire una via nuova sulla Pala di Riobianco mentre io e l’amico Giovanni che si è portato due scalette  tenteremo questa breve (140 m) ma difficile salita. Fra pianti e stridore di gengive e con qualche problema di orientamento sulla parete iniziale arriviamo allo strapiombo rossastro, a questo punto Zuan fa l’altruista passandomi  le scalette, per fortuna i chiodi ci sono ancora, e faccio la mia prima ed ultima esperienza di scalata artificiale e bene o male ne vengo fuori. Ancora tre tiri tendendo sulla sinistra via via meno impegnativi e usciamo a un terrazzino sotto la lama alta due metri che costituisce la cima. Sul mio diario trovo solo una laconica nota:  via troppo al limite per le mie capacità. Da qui con una corda doppia ci caliamo all’intaglio con la adiacente Torre poi arrampicando più facilmente sulle lastronate che scendono dalla forcella con la Pala arriviamo al circo Sud. I nostri colleghi non sono arrivati, in attesa ammiriamo il bel tramonto sulle Giulie Orientali, quando finalmente li vediamo apparire siamo al crepuscolo e pur scendendo velocemente per la salita conosciuta arriviamo al parcheggio al buio.

Pala di Riobianco 2050 m, via Normale, II

Non è altro che la spalla delle Cime Marginali nominata per la bella parete O di roccia solida. Qualche annetto dopo ci riproviamo traversando dal Brunner a memoria ci sfugge il canale d’accesso e proseguiamo la traversata sul sentiero del Re che poco attraversa con tratti attrezzati sotto delle caverne, a darci la sveglia ci pensano due camosci che stavano riposando all’interno delle stesse, allarmati dalla nostra presenza ne escono all’improvviso a grandi balzi passandoci sopra la testa. Scongiurato per poco l’ infarto e persa un’ora facciamo dietrofront alla ricerca del nostro canalino. Lo troviamo, era sempre là, i mughi hanno continuato a vegetare, passiamo alla base della Cima Pacifico e dopo questa saliamo a destra nel canale percorso in discesa la volta precedente continuando fino alla forcella della Torre 1952 m prima sulle placche a destra e poi sul fondo fino a uscire alla forcella erbosa con qualche mugo dalla quale ci si affaccia sull’opposto versante. La pala è a sin., la Torre sull’altro lato, attraversiamo alcuni metri poi saliamo per paretine articolate di roccia solida con qualche macchia di mughi uscendo sulla verde dorsale che costituisce la nostra meta, la corda è rimasta inutilizzata in questa bella giornata primaverile. Tornati al Circo Sud optiamo per la discesa direttamente lungo il canale Sud segnato di recente con bollini rossi, lo troviamo lungo impervio e complicato, le rocce sono a tratti friabili, quindi riservato a escursionisti esperti. All’incrocio con il sentiero del Re lo seguiamo in direzione del rif. Corsi (alcune contropendenze) fino al bivio con la mulattiera di Cima Pesce che ci riporta al ponte sul Riobianco.

Torre Rotonda 2136 m, via Normale II-III

Questa vetta ha poco di tondo anzi ha un aspetto abbastanza ardito, la troviamo sulla cresta a E della Cima Alta ben individuabile con la sua aguzza anticima. Saliamo al circo per il solito percorso, la guida dice di salire sul fondo del canale che scende dalla forcella fra la nostra meta e le Cime Marginali, ma è primavera, lo troviamo abbondantemente innevato, sulla sua sinistra vediamo una rampa rocciosa che ci sembra potabile e cominciamo a salire per questa, la qualità del calcare è affidabile, le difficoltà sul secondo. Alla sua fine traversiamo per ghiaie fino alla base del camino verticale a sin. dell’anticima. Qui occorre la cavezza ci leghiamo, sono una ventina di metri, i più impegnativi della salita, un’aerea ma non difficile cresta verso destra esce in vetta. Per scendere non c’è alternativa al percorso fatto in salita, il camino richiede una corda doppia.

Bibliografia: Le Alpi Giulie –  G.Buscaini-S. Metzeltin, ed. CAI-TCI                                                                

Campanile Toro 2330 m, la via Normale

Salendo da Domegge la ripida stradina che porta al rifugio Padova qualche schiarita del bosco offre delle remunerative visuali della selva di cime costituenti la muraglia dei Monfalconi e Spalti di Toro e fra di esse l’occhio del visitatore può riconoscere la snella sagoma bifida di questa aguzza cima scalata la prima volta nel lontano 1903 dagli alpinisti teutonici  Berger e Hechenbleichner per quella che è in seguito diventata la via normale, quotata dal Berti di secondo grado e poi rivalutata fino al terzo. Comunque sia c’ero già stato molti anni fa in una uggiosa giornata primaverile con altri tre adepti, eravamo saliti nella nebbia con la conseguente lavata al ritorno, aderisco quindi riconoscente alla proposta di ripeterla facendo da terzo incomodo a due miei giovani paesani freschi di corso roccia. Poco prima del rifugio saliamo ai margini del pascolo e poi nel bosco tralasciando due bivi a sinistra, uno per Forcella Scodovacca e quello di Forcella Segnata per salire dall’altro lato fino al Cadin di Toro, un bell’ anfiteatro fra numerose e appetibili cime. La nostra torre si trova verso Sud, fra la Pala Grande e il Castellato e le rispettive forcelle Cadin e Le Corde 2260m (a Ovest della cima) da quest’ultima si accede per una faticosa fiumana di ghiaie alla via comune, la volta precedente eravamo agevolati dalla neve, l’attacco è a circa 2200 m, una cinquantina sotto l’intaglio e all’inizio di una cengia con un bollino rosso. Ci leghiamo a V, il compagno che farà da primo calza le scarpette gli altri due tengono gli scarponi, sufficienti per le difficoltà previste. L’inizio è un traverso di una ventina di metri con un passo esposto con cui si arriva alla base di un camino poco profondo, vedo che la via è stata di recente riattrezzata alle soste con due spit. Si scalano di seguito tre svasature consecutive di buona roccia con lievi spostamenti laterali sulle cornici che le separano dove è facile rintracciare le ulteriori soste, è il massimo impegno della salita, fino a uscire su una banca più comoda con tracce di sentiero che si seguono verso destra fino a un ometto sopra la forcella Le Corde, qui la sosta va preparata. Si sale a sinistra un camino che in seguito diventa una rampa sotto le verticali pareti dell’anticima, una cinquantina di m conducono alla  sosta. Un tiro di pochi metri esce all’aereo intaglio fra la vetta (a sin) e la cima minore. Ora mi sono scaldato, alla partenza ero lievemente impedito e i due ragazzi mi concedono il privilegio di fare da capo il breve tratto che ci separa dalla vetta, salgo qualche metro sulla verticale, un breve traverso a destra su una cornice, l’ultimo saltino lo supero da N ed eccomi in cima. La campana è la stessa della prima salita, è  mezzogiorno, quindi sono trascorse 4 ore e mezza dalla partenza, non male per una cordata di tre, lo spazio limitato consente comunque una meritata sosta.  Avvertiamo rumori di pietre smosse e delle voci, qualcuno sta salendo dalla Val Montanaia, non li invidio, conosco quel micidiale ghiaione per averlo percorso per fare la normale al Castellato, poi  sentiamo battere dei chiodi, o sono dei duri che fanno una via difficile o viceversa (quest’ultima opzione è quella giusta, ridiscendono). La giornata è ideale e in cima si sta benissimo anche se lo spazio è ristretto ma bisogna far mente locale alla discesa. Nella precedente visita  ci eravamo calati arrampicando fino alla cengia e solo all’ultimo avevamo fatto due doppie, le soste attrezzate  ci fanno decidere diversamente. Dalla vetta una prima calata di 30 m salta gli ultimi due tiri, una ulteriore arriva quasi alla cengia e arrampichiamo una decina di metri per arrivarci. Con altre due doppie arriviamo alla banca d’attacco, poi sul ghiaione cerchiamo di scivolare sulla pezzatura più fine saltellando dove questa manca qua e là, non è che ci riposi, ma al rifugio con due birre e una pasta riprendiamo le forze.

7h30’ comprese le soste, Luglio 2012.

Jungfrau 4158 m – via normale per il Rottalsattel e la cresta SE – PD, misto

Siamo al sesto giorno e oggi vogliamo ridiscendere a Grindelwald ma non senza fare la salita della cima più famosa e frequentata delle Alpi Bernesi che è la Jungfrau (la Vergine), costringendo Nevio a una ripetizione. Salutati i gestori della Monchsjochhutte 3650 m partiamo in direzione dello Jungfraujoch alle 5.15 fino a all’intersezione con la pista ben battuta della via normale dove mettiamo mano a corda, piccozza e ramponi. Ci si alza per facili rocce poi si continua su una cengia di neve orizzontale per poi salire a un dosso nevoso (in caso di nebbia il percorso è poco evidente). Da questo si osserva la forcella fra il Rottalhorn a S e la nostra destinazione a Nord (Rottalsattel, 3885 m), passaggio obbligato della via, difeso da uno scivolo ghiacciato molto ripido ed esposto alla caduta di cornici dalla cresta della cima sopranominata. Il pendio è ben gradinato, dalla sella ci si alza ancora una cinquantina di metri quindi si attraversa a sinistra fino alle rocce della cresta. Lasciamo qui i nostri pesanti zaini, la cresta è in condizioni ideali, lo gneiss è solido, asciutto e senza neve, la sicurezza è garantita da cinque fittoni, alle 8.45 posiamo i piedi sulla cima. Le nuvole a forma di pesce preannunciano un cambiamento del tempo, dopo mezz’ora ripartiamo. Litighiamo in discesa col Maurin che vuole levare i suoi tecnici ramponi che fanno zoccolo, ma sotto la neve molla (oggi fa molto caldo) si cela il ghiaccio vivo, alla fine li tiene e senza altri inconvenienti alle 11.45 siamo alla stazione, il treno parte tre quarti d’ora dopo e verso le quattro arriviamo a Grindelwald. Dobbiamo avere un aspetto poco rassicurante, bruciati dal sole, luridi e puzzolenti e con la barba di una settimana. Abbiamo l’ indirizzo dell’ Hotel Sonnenberg dove un rappresentante de blave di Mortean si è accasato sposandone la proprietaria con il suo fascino latino, è al completo e Oscar Candolo è fuori, ma la gentile signora ci mette a disposizione la camera della figlia, se ci accontentiamo a dormire in tre. Fatta la doccia e sbarbati siamo rimessi a nuovo, dopo cena rientra il consorte in compagnia del sarto del paese, sono stati in giro per taglietti (le buone abitudini non si dimenticano), la serata continua, noi ci siamo portati delle bottiglie di vino nostrano che alterniamo a quello svizzero, il sarto fa dei pisolini, nei brevi risvegli scola un bicchiere per tornare subito dopo fra le braccia di Morfeo. Anche noi siamo in condizioni precarie, è dalle quattro che siamo in piedi, ma non possiamo ritirarci che verso le undici. Grati e riconoscenti l’indomani partiamo a mezzogiorno verso casa  via Passo Grimsel, Furka, Gottardo e Chiasso arrivandoci alle nove, il bottino, quattro quattromila più la ciliegina dell’Eiger è stato considerevole.

Bibl. Alla fine del nostro giro abbiamo acquistato “Guide des Alpes bernoises –Sélection d’itinéraries” di Maurice Brandt, ed. Club Alpino Svizzero, in francese interpretabile con una conoscenza scolastica come la mia.

Gross e Hinter Fiescherhorn, una stupenda traversata

Dopo quattro giorni e tre pernottamenti alla Monchsjochhutte 3600 m cominciamo a avere un’idea della grandiosa complessità dell’Oberland Bernese, l’alba del quinto ci vede pronti per un’altra salita visto che il meteo ci è favorevole. Siamo ancora alloggiati al rifugio del Monchjoch da dove scende a Sud il ghiacciaio Ewingschneefeld che dopo un arco a Ovest confluisce con altri nel circo di Konkordia dando origine all’Alestchgletcher. Sulla sinistra (Est) del bacino glaciale si innalza una cresta che comprende tre quattromila e svariate cime minori che desta il nostro interesse.

Gross Fiescherhorn 4048 m, cresta NO, AD

Il nome lo deve al paese di Fiesch nella valle del Rodano. Sveglia alle quattro, alle cinque siamo operativi e entriamo subito nella nebbia, scendiamo sul ghiacciaio sulle pista lasciata da due guide che ci precedono e ci staccano, attraversiamo verso destra salendo poi alla nostra cresta a Sud del Walchenhorn, il primo risalto roccioso della catena con il mare di nuvole che ristagna sotto di noi siamo a 3600 m circa. La cresta nevosa della salita ci appare davanti affilata e alquanto ripida, non ci saranno più problemi di orientamento. Le condizioni della neve sono perfette, il risalto finale si può percorrere  sul filo roccioso (II-III) come appena sotto in versante E , tutto di ghiaccio. Optiamo per quest’ultimo procedendo di conserva, tipo di progressione nella quale bisogna avere assoluta fiducia nei compagni. Alle otto di mattina lo spettacolo che ci si offre dalla cima è incomparabile dalle nuvole basse emerge oltre a tutto l’Oberland la catena delle Alpi Occidentali dal Rosa al Cervino, le Alpi di Uri ecc.ecc., fra l’altro la guida indica un tempo di 4-5 ore, stiamo incominciando a carburare viste le tre ore impiegate.

Hinter Fiescherhorn 4025 m, via normale, F

Dalla cima maggiore scendiamo arrampicando su buon gneiss la cresta Sud (PD) guadagnando l’ampia e nevosa sella fra le due cime, Fieschersattel 3923 m, poi evitiamo verso Est un arcigno gendarme roccioso e per cresta mettiamo nel carniere un ulteriore 4000 e sono le nove e mezza.

La discesa in versante O, PD+ 50°

Torniamo sui nostri passi fino alla forcella da cui ci caliamo all’inizio in un canalino roccioso dove occorre stare accorti ai sassi mobili, indi si scende per uno scivolo nevoso alla crepaccia terminale (è il tratto più impegnativo) che varchiamo per un esile ponte di neve. Non è ancora finita che ci tocca vagabondare in una zona di crepacci, quando arriviamo al più docile letto dell’Ewingschneefeld tiriamo un bel sospirone di sollievo. Siamo a circa 3400 m di quota, non ci resta che salire arrancando nella neve molla fino al nostro amato rifugio dove rientriamo cremati dal sole e dalla fatica ma soddisfatti alle quattro del pomeriggio. Qui incontriamo tre italiani, gli unici della settimana che guarda caso sono corregionali, due udinesi e un solitario carnico che vuole salire la Jungfrau senza neanche un pezzo di corda e rimarrà deluso.

 

Monch 4099 m per il ramo S della cresta E, PD

Il vento dei 4000 ha flagellato il rifugio tutta la notte, il mattino dopo proviamo a uscire ma non è il caso, la visibilità è scarsa e cade un fitto nevischio, se avessimo ritardato qualche ora non so come sarebbe andata a finire, l’Orco ci ha graziato mostrandoci  solo gli unghioni senza azzannarci. Nevio si dedica al bricolage col suo rampone diviso in due pezzi, tenaglie e filo di ferro fanno miracoli, riesce a sistemarli. Alle ore dei pasti viene assegnato un tavolo e solo quando è al completo si prende posto a un altro e così via, il menù svizzero è se non altro abbondante, certo non è la cucina italiana comunque si sopravvive. Nel bagno una gelida corrente d’aria sale dalla tazza, ottima per la crioterapia, ma quando ci si alza la stessa folata fa veleggiare la carta e occorre essere lesti ad acchiapparla, rimetterla al suo posto e chiudere. Per il resto ci annoiamo, i clienti come le riviste disponibili sono tedeschi, lingua a noi sconosciuta. Solo verso sera comincia a schiarire poi la luna si affaccia dalla dirimpettaia cresta, per domani si prevede bel tempo.

Il Monch

E’ la cima centrale della magnifica triade che incombe altissima su Grindelwald, l’origine del nome (il Monaco) è sconosciuta e sui suoi versanti di roccia e ghiaccio sono state tracciate numerose vie di varia difficoltà, i nostri ambiziosi progetti sono frustrati dalla neve caduta il giorno precedente e optiamo per la via normale. Cominciamo alle sette, un orario di tutto riposo per queste zone, spostandoci di circa 400 m in direzione Ovest (verso la stazione dello Jungfraujoch). Dopo esserci legati cominciamo a salire per sfasciumi e gradoni di roccia resi delicati dalla neve cui segue una prima cresta prima nevosa poi di misto dove comunque teniamo i ramponi, a causa dell’innevamento si dimostrerà il tratto più impegnativo. Oltre questo la cresta si raddrizza e diventa completamente nevosa e alquanto sottile. Si congiunge poi con la cresta che proviene da NE. Senza più problemi ma facendo attenzione alle grosse cornici verso Nord ci si dirige verso Ovest e con poco dislivello si guadagna la Cima dove siamo ancora tormentati dal vento, la vista verso Sud con enormi ghiacciai e scure montagne potrebbero far pensare all’Antardide, si vedono anche i colossi delle Pennine, a nord i verdi altopiani e pianure dei Cantoni elvetici. Due ore e 45’ per i poco più di 400 di dislivello (3-4 ore l’orario della guida), ci fermiamo una mezzoretta poi scendiamo per la via conosciuta incrociando numerose cordate partite più tardi, in due ore siamo sul ghiacciaio. E’ da poco passato mezzogiorno e decidiamo di fare una visita alla stazione, qui troviamo di tutto e di più, negozi e bancarelle, gallerie scavate nel ghiaccio con relative sculture fatte dello stesso materiale e una moltitudine di giapponesi di ogni età e con gli abbigliamenti più svariati, dal pantalone corto con sandali in su. Il percorso orizzontale fino al rifugio è battuto, oggi la clientela non manca,  poco prima di arrivarci, accompagnata da due Guide incontriamo una signora bendata che probabilmente non aveva fatto bene i conti con gli UV, ho provato con la saldatura, una cosa terribile. Poco dopo le tre varchiamo la soglia del nostro ostello.