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Rodica (1966m), Suha Rodica (1941m) e Raskovec(1967m), una memorabile traversata
Siamo recidivi, della prima volta sulla Rodica ho già detto in uno dei miei volenterosi quanto scadenti scritti, quindi da Caporetto e Tolmino risaliamo la valle della Baça per tornare al borgo semideserto di Grant dove parcheggiamo a 735m di quota. Ci viene incontro un anziano indigeno in vena di confidenze che nel ventennio aveva prestato servizio (da Carabiniere o Finanziere, ora non ricordo) in Sardegna ed è grato all’Italia che gli versa puntualmente la pensione. Proseguiamo quindi sulla mulattiera che sale alla cresta ma ben presto siamo costretti a calzare i ramponi. Saliamo alla vetta per la cresta Ovest, fino a qui niente di nuovo a parte la visuale che oggi è fantastica. Decidiamo di proseguire ancora traversando sotto eclatanti colate di ghiaccio alla Suha Rodica 1941m e poi più agevolmente al dosso nomato Raskovec. Tre cime sono più che sufficienti per un giorno. Torniamo indietro fino all’ultima sella, da questa avevamo occhieggiato un potabile canale innevato e più in basso la mulattiera, la faticosa e unica alternativa sarebbe di rifare in salita il percorso conosciuto. Che in pratica nessuno vuole fare, la discesa è dapprima accattivante visto che siamo ben attrezzati per la neve. Poi finiamo su una liscia fascia di placche calcaree che superiamo da esperti equilibristi, poi di nuovo la neve e infine l’agognato sentiero. Qui la galaverna resiste ancora, con una traversata sotto le repulsive (ma fotogeniche) pareti delle sommità raggiunte torniamo alla traccia del mattino.
Quasi una gita sociale, ben nove i componenti, era il 13 Febbraio del 2005.
Rodica (1966m), la prima gita nella valle della Baca
I monti di Bohinj si elevano come una grande muraglia orientata da E a O a spartiacque fra la valle del lago stesso e quella della Baca (Baccia nel ventennio), sulla cresta transita la trasversale Slovena che in gran parte ricalca le mulattiere militari di percorso tutto sommato elementare. Il versante rivolto al lago è più domestico e il bosco arriva quasi alla dorsale mentre quello a Sud è alquanto più ripido. D’inverno tutto cambia, la cresta si corazza spesso di neve e ghiaccio e bisogna attrezzarsi adeguatamente, la Rodica è una delle cime più alte e si trova circa alla metà della dorsale. Per la prima visita riandiamo al Gennaio dell’85. Da Caporetto scendiamo la valle dell’Isonzo fino a Tolmino e a Santa Lucia (Most na Soci) dove si svolta a sinistra (è la strada per Idria) poi ancora, al primo bivio sempre dallo stesso lato entrando nella valle della Baca che si segue fino a Koritnica, uno dei numerosi quanto poco popolati paesi del versante solatio. Qui una stretta rotabile asfaltata sale in direzione Nord, la percorriamo tutta fino all’ultimo borgo a nome Grant (circa 730 metri la quota. La documentazione in possesso è una cartina Freytag e Berndt al 100.000 più qualche notizia trovata sulla ristampa anastatica di una guida degli anni 30. Dalle case continua una strada forestale che in mancanza di altre opzioni è giocoforza seguire, sale nella foresta di alti faggi fino a un bivio, qui seguiamo la diramazione di sinistra fino a una baita in legno che come d’uso in questi luoghi è ben serrata a chiave. Il tempo, sul bello ma variabile ci offre anche qualche fiocco di nevischio, che va ad ingrossare il manto che da un bel po’ stiamo pestando. Neve che è comunque buona, anche troppo come verificheremo in seguito. Alquanto spaesati dalla casetta saliamo verso la cresta seguendo il nostro infallibile istinto destreggiando più sopra fra i faggi contorti fino a guadagnare un rilievo quotato con ometto di sassi che forse si noma Peci (1727m). Da dove si rivela la Rodica, abbiamo fallato, si trova a oriente, proseguendo sulla dorsale ci caliamo alla forcella, poi c’è da risalire il versante Ovest che sembra alquanto comodo. Infatti è così, solo che i facili pendii che abbiamo fino ad ora calpestato diventano duri come il marmo e bisogna calzare i ramponi, che il Maurin non si è portato conservandoli per andare sul Cuarnan l’estate prossima. Gli cedo la mia piccozza, è un piacere vederlo finalmente nei casini mentre sgarfa con i due attrezzi, ne rimette la mia sicurezza, con i soli ramponi se si parte non ci si ferma. Dopo tutte queste traversie non siamo neanche premiati, quando arriviamo in cima cala repentinamente la nebbia. Al ritorno non torniamo alla forcella ma scendiamo più velocemente alla strada sul percorso della mulattiera (dov’è visibile) e traversando fra l’altro qualche simpatica macchia di mughi. I compagni: oltre al già nominato M. c’è il coriaceo compaesano nonché coetaneo B.B. (che purtroppo non è Brigitte Bardot). Cinque ore in tutto, dislivello 1200 m.
Cerni (o Cerna?) Prst – Matajurski Vrh, le creste a febbraio
Non vorrei essere redarguito da qualche lettore per la mancanza di accenti circonflessi, cediglie ecc., purtroppo non riesco a estrarli dal diabolico PC rispettando così l’ortografia slovena, a questi chiedo venia. Dopo questa premessa torno all’argomento che mi è più congeniale. Il crinale dei monti di Bohini, che potrebbe far parte del Monte Nero, fra la valle del lago e quella della Baca si estende per parecchi km da Santa Lucia di Tolmino al passo di Piedicolle o Podbrdo offre parecchie cime interessanti ai frequentatori, la prima a Ovest del Boinjsko Sedlo o passo di Piedicolle (tortuoso e stretto valico stradale fra le due nominate valli parallele) è proprio l’oggetto di questa salita. Si tratta del Cerna Prst (M. Nero di Piedicolle, 1844 m) noto per le fioriture estive mentre per la nostra gita optiamo per l’inverno, il microclima di queste montagna consente una rapida trasformazione del manto nevoso diventando così un ideale terreno di gioco per gli appassionati. Arrivando da Udine l’itinerario obbligato passa dal Valico di Stupizza, Caporetto e Tolmino e S. Lucia, svolta a sinistra nella Valle dell’Idria che si segue fino al primo bivio, qui ancora a sinistra entrando così nella valle della Baccia, percorsa anche dalla ferrovia Transalpina. Si risale fino a oltrepassare l’abitato di Hudajusna, dopo un km circa una rotabile ancora più angusta ma sempre a manca sale dapprima al paesello a nome Strzisce per proseguire fino ai casali di Kal, 785 m, dove si trova il parcheggio sotto dei vecchi noci all’inizio del giro. Dopo un traverso a Est il sentiero segnalato rimonta a tornanti un costone alberato piuttosto ripido che conduce agli spazi aperti che troviamo abbondantemente innevati ricoprendo i consueti bolli rosso bianchi. Se non ghiaccio neve dura, bisogna mettere mano a picca e ramponi, poi ci alziamo a vista verso la vetta e al rifugio Jelincic già visibile che è situato pochi metri sotto. Il vecchio edificio era quell’anno rivestito interamente di eternit per la gioia dei clienti, è naturalmente chiuso. Sul culmine il clima non è certo dei più accattivanti a causa del cielo velato e delle gelide folate di vento, sarebbe già con i suoi 1050 m di dislivello, un’ invernale abbastanza soddisfacente. Occhieggiando a Ovest il solito diavoletto ci mette la coda, l’ottima neve fa il resto e decidiamo di proseguire a ranghi compatti (siamo in quattro). L’inizio è promettente, a Sud ripidi pendii e verso il lago terreno più verticale con rocce affioranti mentre il sentiero estivo che si tiene costantemente a meridione (è quello della Traversale Slovena non praticabile in questa stagione) quindi ci teniamo sul filo che poco oltre quasi precipita a un intaglio al che due amici si dicono appagati e tornano sui propri passi. Restano un padre di famiglia che altri non è che il sottoscritto e l’altro scriteriato nella persona del Mauro, ci caliamo con le dovute cautele, anche la risalita sul lato opposto non è per niente elementare, tocca arrampicare per roccette e neve. Dopo queste difficoltà il percorso è più facile, diventando una lunga e fantastica cavalcata di cresta e anche il tempo ci favorisce virando al bello, il cielo ora è sereno. Traversiamo in sequenza le cime Cetrt (1832 m), Konjski Vrh (1879 m) e Poljanski Vrh (1897 m) prima di giungere alla sella con il Matajurski, il nostro obiettivo finale di 1938 m. Anche per questo pendenza sostenuta con un tratto all’ombra cui segue il sole della vetta. Non vi oziamo troppo, recediamo alla sella, da questa iniziamo la discesa verso l’ignoto, ancora scivoli di neve prima di arrivare al bosco, dapprima abeti poi faggi con il sentiero che brilla per la propria assenza, lo troviamo più in basso in veste di una vecchia mulattiera che arriva a una sella, seguito verso sinistra esce ai pascoli per finire in seguito sulla stradina fra i due paeselli. La risaliamo fino al posteggio dove riabbracciamo il resto dello sparuto gruppo. Otto ore in tutto, 5 Febbraio (di parecchi anni fa), in linea d’aria le due cime distano 2500 m abbondanti. P.S. qualche anno dopo ho rifatto lo stesso giro ma in estate, la mulattiera evita a Sud le cime, pur bello avendola già fatta nelle condizioni descritte mi ha deluso e non poteva essere altrimenti.