Pic du Midi d’Ossau (o Grand Pic, 2884m) per la via Fouquier (D)
Rientrando al rifugio del Pombie veniamo accolti abbastanza benevolmente (per la media dei duri gestori francesi), gli italiani qui d’altronde devono essere piuttosto rari, cenare con l’anatra è poi una prelibatezza che non ci aspettavamo mentre in questi luoghi è più comune che il pollo… Per il giorno seguente ci proponiamo la classicissima via Fouquier, max 4+, sono 450 metri d’arrampicata più 200 facili fino alla cima maggiore per la parete Est. Come il giorno prima al mattino qualche velatura indugia ancora poi il tempo migliora (sarà una costante, nonostante questo in dieci giorni non abbiamo preso manco una goccia di pioggia). Il gran Pic è una montagna complessa attorniata da parecchi satelliti accomunati dalle verticali pareti che precipitano da tutti i versanti e dove sono stati tracciati numerosi itinerari di varia difficoltà, purtroppo manca uno facile dato che anche la via normale oppone dei passaggi di 2°. Ce la prendiamo comoda, partiamo alle 9, una traccia non distante dalle pareti arriva fino a un nevaio, fra questo e le rocce si trova l’attacco, una larga svasatura fra due risalti. Qui ci leghiamo cominciando a salire sulle lisce placche rossastre senza itinerario obbligato. Il granito è eccellente, si arrampica quasi sempre in aderenza sfruttando le asperità, a dire il vero la cordata che ci precede aiuta, c’è qualche problema per attrezzare le soste ma ce la caviamo discretamente. Dopo questo primo tratto (che rimane il più impegnativo) c’è il passaggio obbligato fra un contrafforte orientale e il pilastro del Doigt du Pombie (il dito). In questo tiro il colori delle rocce sono talmente accesi che ricordano un distributore di benzina, ora si esce a un circo sospeso dove l’orientamento non è facile. Però le difficoltà diminuiscono di un buon grado e ci si può alzare quasi ovunque, destreggiandosi fra i pietroni ricoperti di licheni (una delizia con il bagnato) fino a guadagnare il Rein du Pombie, un caotico insieme di pietroni che coincide in sostanza con la zona sommitale. Guai trovarcisi con la nebbia! È talmente vasta che anche con gli ometti, specialmente per i sottoscritti che non conoscono i luoghi, sarebbe un problema con molte incognite. Camminando ci dirigiamo prima alla Pointe de France e per amabile cresta a blocchi alla massima elevazione o Pointe d’Espagne. Panorama indescrivibile, verso la regione Iberica è tutto un mare di nubi che arriva probabilmente fino all’Atlantico, verso la Francia non cambia molto, emergono solo alcune alte vette dei Pirenei Centrali. Noi siamo al sole, questo è l’importante. In vetta facciamo conoscenza con due catalani, padre e figlio, questo con un, come si usa dire, un brutto male, che ha espresso il desiderio di salire questa vetta finchè può! Altrochè le nostre diatribe sull’etica dell’alpinismo. Ci accompagniamo con loro in discesa per la normale in versante ENE. Al limite del Rein du Pombie una freccia indica l’inizio, il percorso è su sentiero ma bisogna anche superare tre caminetti sul 2° grado. Dopo di che si torna sul sentiero, i camosci pirenaici, più piccoli di quelli alpini ma ben più confidenti, sono ancora in postazione. Li avevamo già incrociati al mattino come avevamo già adocchiate le splendide fioriture di iris. Recuperato il materiale lasciato al Pombie divalliamo al Col du Portalet, dove arriviamo alle otto e mezza. Cena (uffa, la solita anatra) e pernottamento nell’alberghetto, tutto ciò il 12 Agosto del ’96.