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Posts Tagged ‘Duranno-Cima dei Preti’

Cima della Spalla (2234m), la normale dalla Val Zemola

settembre 3, 2015 Lascia un commento

Torniamo ancora nel feudo di Mauro Corona, alpinista, scrittore e perché no, filosofo della val Zemola. Da Erto saliamo dunque in auto fino al parcheggio, piuttosto affollato in questa giornata di metà Agosto, di Casera Mela, 1180m. Da qui con il segnavia 174 saliamo al Rifugio Maniago, 1730m, in ultimo un tratto di strada è inevitabile, scopriremo il perché al ritorno. Archiviate da tempo le due cime più importanti non resta altro che dedicarsi a quelle minori come quella odierna che è  la prima della cresta che dal Duranno si dirige verso Ovest. Il ricovero dopo molti anni  è attualmente gestito anche se quando ci arriviamo nelle prime ore del mattino è in pratica deserto. I due amici che mi sollevano lo spirito con le loro discussioni per futili motivi sono Mauro e Ermanno, le loro opinioni divergono su tutto e mi tocca soffrire, visti i toni, di un certo inquinamento acustico. Facciamo una breve pausa prima di ripartire verso sinistra seguendo il sentiero con il n. 382 che dopo un traverso in piano fra i mughi sale al roccioso circo della Val Bozzia. Costeggiandolo sotto le pareti sulla destra si arriva a un largo cengione in parte un po’ esposto che permette di superare una fascia rocciosa, qualche banco di nebbia rende il tutto più interessante. Alla fine più facilmente si esce alla larga e sabbiosa sella della Spalla, 2133m, con vasto panorama verso le Dolomiti e sovrastati dalla poderosa mole del Duranno. Da qui verso sinistra con un centinaio di metri di dislivello da superare e seguendo il facile dorso di ghiaino si posano le estremità sulla meta designata, veniamo accolti da alcuni stambecchi (una mamma con i piccoli). La vista è molto attraente,  Duranno e Cima dei Preti giocano a nascondino con la innocua nuvolaglia e ci facciamo una lunga sosta. Si potrebbe proseguire facendo un pezzo del sentiero Zandonella, ma annoveriamo nello sparuto gruppetto un dissidente, perciò torniamo al rifugio per la strada già fatta incrociando un paio di gruppi che salgono adesso. Anche se al Maniago c’è un bel movimento sostiamo comunque per il pranzo per far girare l’economia, avendo modo di assistere a due fatti piuttosto sconcertanti, il primo è il ruscello misteriosamente scomparso mentre  stamattina scorreva copiosamente. Il secondo avvenimento ha avuto anche l’onore di un articolo sul Messaggero, un gruppo tutto al femminile intento a fare merenda sul prato ben rasato viene fatto sloggiare dal gestore senza tanti complimenti alla faccia dell’accoglienza. Ospiti di gente unica!  Al ritorno vorremmo evitare la noiosa strada e iniziamo la discesa sul vecchio sentiero, i segni sono cancellati ma ancora visibili, l’arcano viene svelato quando arriviamo a quello che nella memoria era un dorso ghiaioso si è trasformato in una lama di coltello, come da consuetudine ci facciamo un tratto di Camel Trophi prima di riagguantare la strada. Sei ore in tutto il 12 Agosto 2012.

1 Al rifugio Maniago

2 Entrando in val Bozzia

3 Sulla rampa rocciosa

4 Forcella della Spalla

5 Salendo alla cima il Duranno emerge dalle nebbie

6 Sulla Cima della Spalla

7 La madre vigila i capretti

8 Verso SO

9 La Cima dei Preti

10 Il ritorno

11 Discesa sulla cengia

12 Raponzolo delle rocce

13 Il vallone della salita

14 Brindando all'impresa fuori dal rifugio

15 Il funghetto

16 L'invitante imbocco del sentiero

17 Le fresche acque del Gè di Pèzzei

18 A Casera Mela l'ultimo ristoro

Monte Borgà (2228 m) – parecchie incognite nella traversata da Casso a Erto

Nei favolosi dieci anni a cavallo del ’90 nella bella stagione mi dedicavo, come Mauro del resto, all’arrampicata ma ciascuno con i propri compagni che all’arrivo del freddo si dileguavano chi verso le soleggiate falesie mentre altri optavano per gli sci di fondo o discesa, discipline alle quali non sono mai, nonostante qualche tentativo, riuscito ad appassionarmi. Si riformava allora la strana coppia Mau/Rino che nonostante la distanza anagrafica di venti anni condivideva i medesimi obiettivi, a volte coinvolgendo degli altri ma anche da soli. Il Borgà è il pilastro meridionale nonché il più elevato del crestone che dalla Cima della Spalla del Duranno fa da spartiacque fra la valle del Piave, 1700 m più in basso, e la Val Zemola. Ben riconoscibile dalle Dolomiti sovrasta con il suo versante più accessibile Erto e Casso e da quest’ultimo (964 m) ci muoviamo il 15 dicembre del ’91 lasciando l’auto all’inizio del paese, caratterizzato da strette stradine, case con muri e tetti di pietra in schietto stile locale ma scarsa popolazione, tempo bello stabile ma piuttosto freddo. Lo attraversiamo in direzione Ovest passando a monte del cimitero. Il sentiero ben evidente, attualmente con il n. 393 ma al tempo mancante sale con percorso vario e belle vedute sulla valle del Piave e non abbisogna di descrizioni. In alto bisogna rimontare i ripidi pendii erbosi chiamati Praliss del Salta, montagna che li sovrasta con le sue chiare pareti, si sale alle base delle rocce e con un traverso a destra poi salendo diritti si arriva alla Forcella Piave, già sui 2000 m. Finora di neve non ne abbiamo vista, ma ora che il sentiero si sposta a settentrione ne troviamo anche troppa, non è trasformata, il compagno mi incita a andare avanti mentre resta prudentemente alle mie terga. Sprofondando nello strato polveroso e inconsistente dove la tenuta della piccozza è quanto mai aleatoria sopra insondabili abissi mi rendo conto che di qua non si va da nessuna parte, forziamo allora il passaggio a destra per portarci sulla cresta con qualche rogna supplementare. Usciti al sole ci dà il benvenuto un passaggio delle Frecce Tricolori, non ci resta che andare avanti tagliandoci così la via di un’eventuale ritirata. La cresta risulta sottile e frastagliata con passaggi su roccia e erba, sempre meglio comunque del freddo percorso precedente, poi piano piano diventa più umana e facilmente arriviamo ai Libri di San Daniele, una delle curiosità che volevo togliermi. Ora il Maurin si decide a passare davanti a battere la pista che ci conduce prima al Monte Sterpezza (2215 m) quindi alla sospirata meta, ben cinque ore il tempo impiegato, del magnifico  paesaggio non sto a dire. La scelta obbligata per la discesa è verso Sud, Erto ci aspetta  1500 m più in basso.  Ci caliamo sui nevai, al loro termine rintracciamo più per fortuna che per senso dell’orientamento una traccia che seguita attentamente ci porta a intersecare il sentiero  381 che dal paese sale alla cava di marmo del Buscada, i patemi sono finiti, all’imbrunire arriviamo alla strada della Valcellina. Non resta altro che seguirla e con un’ultima fatica tornare a Casso a recuperare la macchina con soli (si fa per dire)quasi altri 200 m di salita. Due ore e mezza fino a Erto, poi ho perso il conto.

 Le stradine di Casso

 Casso

 Il paese dall'inizio del sentiero

 La frana del Monte Toc

 La valle del Piave

 Le cime del Bosconero

 Longarone dai praliss

 Rimontando i praliss del Salta

 La ripida salita a Forcella Piave

 Fra bianchi pilastri forcella Piave

 Arrivo in forcella

 Il Gruppo del Bosconero

 Sulla cresta

 Dalla cresta verso Ovest

 Le Frecce Tricolori ci danno il benvenuto

15 Il monte Sterpezza

 La facile cresta dello Sterpezza

 I Libri di san Daniele

 I Libri da vicino

 Traversata al Borgà

 Battendo faticosamente la pista

 In cima

 Di tutto e di più, Pelmo Tofane Antela ecc.

Vista a SE - Resettum, Cornetto, nelle foschie la pianura

 Nevai in discesa

 Una veduta del Col Nudo

 La vecchia Erto

Ultimo sole sul Borgà

Cima delle Monache (2160 m) – le distrazioni si pagano

Da Cimolais per l’ennesima volta risaliamo la valle omonima, il parcheggio del Pian di Fontana a 910 m di quota si trova alla confluenza della Valle di S. Maria nel solco principale. Dopo avere guadato i due torrenti si percorre una strada (con divieto) che poi si riduce a sentiero in un bel bosco di faggi lasciando a destra la traccia per il Bivacco Gervasutti e a sinistra quella del Dosso Nadei e una ulteriore per la val del Drap, si attraversa il letto in genere secco del torrente che scende da quest’ultima. Si sale ora fra le betulle di una costa, si attraversa fra i massi il corso d’acqua della Val dei Frassin poi rimonta sulla destra il bosco fino alla bella radura della Casera Laghèt di sotto uscendo definitivamente in terreno aperto (1580 m). Il giorno è il 24 di Giugno e il compagno è il solito Ermanno, la flora è al massimo del suo splendore, traversati i pascoli ci spostiamo sulla sinistra riattraversando il torrente, acqua anche qui, per salire il pendio sul lato opposto fra macchie di mughi, affioramenti rocciosi e ricche fioriture che fanno dimenticare i quasi 1000 metri di dislivello da coprire arrivando infine alla Laghèt de Sora 1871 m. Una breve doverosa sosta prima di ripartire, ci alziamo brevemente verso la Forcella Val dei Frassin fino a una tabella con indicazioni, la nostra direzione è quella di Forcella Spè, traversiamo verso destra fino a portarci alla base delle rocce della nostra cima e forse distratti dalla bellezza dell’ambiente andiamo ancora avanti superando i ghiaioni della nostra salita. Costeggiamo anche il basamento della Cima dei Frassin uscendo alla panoramica forcella Pedescagno 1930 m ci inoltriamo per un bel tratto nella Valle dei Lares alla ricerca della nostra fantomatica salita prima di rileggere la relazione. Con un saliscendi piuttosto faticoso torniamo sui nostri passi, alla conoide ghiaiosa ci alziamo faticosamente per entrare in un anfiteatro roccioso, ed ecco il primo ometto. Il canale in seguito svolta ripidamente a sinistra fino a rinserrarsi fra due quinte verticali, dopo la strettoia delle ghiaie fini e compatte ci portano alla cresta. Verso destra e fra i mughi eccoci all’anticima, Ermanno dichiara che per oggi basta e avanza, proseguo da solo sottocresta su pendii erbosi (la cresta è invasa dalla mugheta) indi mi alzo all’ometto di vetta, di ben due metri più alta della precedente ma con panorama identico. Con la variante 4 ore e mezza, difficoltà alpinistiche non ce ne sono, la gita si dipana sempre su sentieri segnati, solo la salita alla cima richiede una certa dimestichezza con questo tipo di terreni e l’assenza di tracce. Tornati sul sentiero osserviamo che il ghiaione scende a ventaglio fino ai pascoli della casera de Sòt, ci lasciamo scivolare più o meno dolcemente, poi riprendiamo il sentiero della salita. 2012.

1 La costa nel bosco di betulle

2 Guado del torrente

3 Casera Laghèt de sòt

4 Fioriture a lato del sentiero

5 Sul sentiero per la casera Laghèt de sora

6 Flora rigogliosa sotto la Casera Laghèt

7 Cima delle Monache (a sin.) e Cima dei Frassin

8 La Casera Laghèt, in alto la Forcella dei Frassin

9 Fiori nei pressi del ricovero

10 Il nostro sentiero è quello diretto a Forc. Spe

11 Cima e Forcella Spe dall'errata Valle dei Lares

12 Faticoso ingresso nel canale di salita

13 Il canale

14 Il compagno in salita

15 L'uscita fra due quinte rocciose

16 Per ghiaie alla cresta

17 La verdeggiante cresta

18 Panorama sui Monfalconi

19 Dall'ometto di vetta la Cima dei Preti

20 Cima Sella  e Valle dei Lares

21 In discesa

22 Il ghiaione

23 Il ghiaione

24 Il gruppo della Vacalizza

26 Orchidea

27 Guado del Torrente

Cima delle Ciazze Alte 2286 m, wilderness totale

A risarcimento dell’ultimo fine settimana passato fra le mura domestiche, il sabato per impegni familiari, la domenica temporali inforco la bici e scendo a concedermi un taglio alla frasca del Bacan, quando sto per riavviarmi verso casa fanno il loro ingresso tre sodali della montagna cui ben presto se ne aggiunge un altro, due di loro devono festeggiare il compleanno, non posso ritirarmi, chiedono subito bottiglie e piatti di salumi e formaggi assortiti, poi i cantucci della casa che vengono inzuppati nel fragolino bianco. Due hanno impegni di lavoro, un altro sta preparando la tesi, il quarto si è appena laureato ed è disponibile per una gita infrasettimanale, con l’ottimismo causato dalle libagioni gli propongo per mercoledì questa salita, l’ultima del mese di Agosto.

Il punto di partenza è il Ponte Scandoler 755 m, il secondo salendo la Val Cimoliana dal paese omonimo, l’area di parcheggio è appena dopo, se si arriva come nel nostro caso verso le sette si risparmia pure il pedaggio, il vallone Sciol di Tarsia confluisce nella vallata principale poco a monte. Ripassiamo il ponte, una traccia poco evidente sale a destra nel bosco di pini, poco dopo qualche ometto conferma la scelta, si continua a salire fino ai bordi del canale poi ci si porta sull’altro versante (sin. orografica) dove ci alza ancora nella boscaglia ai margini del solco fino a quando cede il posto ai mughi. Alla biforcazione si attraversa il letto del torrente per seguire il ramo di sinistra, dov’è interrotto da un salto roccioso con una cascata, siamo sul lato destro, si passa su quello opposto per salire a una dorsale con mughi. Qui incominciano i problemi, la esile traccia si perde subito, la lotta si fa subito dura, probabilmente bisognerebbe rientrare nel canale sopra il salto, noi perseveriamo nel folto quasi fino a una barra rocciosa dove vediamo possibile la calata nel solco che si attraversa su lisce placche inclinate e con facili passaggi rocciosi ci si porta sul versante destro, qui rintracciamo di nuovo qualche ometto, passiamo da una esile sorgente poi usciamo (era ora) nel Ciadin delle Ciazze Alte. Di fronte ci appaiono delle cime(I Cantoni e la Compol), ma la nostra meta, come avremo modo di chiarirci più in alto, non è ancora visibile, conviene tenersi al centro, giunti sotto un’ulteriore roccione con landri ecco di nuovo i preziosi mucchietti di pietra che salgono di nuovo verso sinistra. Ci alziamo con facile arrampicata avvistando in un restringimento i due massi incastrati citati nella relazione, li evitiamo entrando in un canalino roccioso che si scala facilmente sul fondo o sul suo margine (sempre tenendosi a sinistra), con l’ultima scarpata infida di placche ricoperte di ghiaia usciamo in cresta e all’anticima Ovest (4 metri più bassa della Cima, che finalmente ci appare verso Est), il dislivello a questo punto sarebbe coperto, non so il mio giovane compagno che si porta anche la corda, ma  io sono praticamente cremato.

Da qui in vetta in linea d’aria saranno 250 m che diventano molti di più considerando che la linea retta qui non esiste, più vari saliscendi, andiamo avanti verso Est sul filo, al rilievo seguente che ha il salto più impegnativo in discesa decidiamo di procedere in sicurezza, la cresta è molto bella e ariosa, con tre tiri arriviamo sulla sospirata sommità. Sette ore il tempo impiegato, siamo in uno dei luoghi più selvaggi e isolati delle Dolomiti Friulane, non per niente stamattina ho lasciato, cosa che non faccio mai, un biglietto con indicato il nostro programma. Facciamo mezz’ora di sosta esaurendo cibi e bevande poi ripartiamo, riponiamo corde e cordini e ripartiamo slegati. Al primo risalto notiamo degli ometti che invitano a una discesa più diretta senza ripassare dalla cima O, un breve consulto e decidiamo di seguirli, c’è qualche breve saltino di roccia, un caminetto poi verdi e placche appoggiate ci riportano al Ciadin, alla sorgente rifacciamo il pieno alle borracce e ritorniamo ai nostri mughi, guerra totale nuovamente, la stanchezza gioca brutti scherzi e manchiamo il passaggio sotto la cascata portandoci più a valle. Sopra di noi c’è un contrafforte roccioso, sotto un canalone che scende poco a valle della biforcazione, sembra fattibile, ma dopo un primo tratto è interrotto da un salto. Tocca fare una calata, risfoderiamo corda e imbrago, come ancoraggio ci affidiamo a un mugo, con venti metri torniamo su pendenze più accessibili,poco prima dello Sciol l’amico mette in fuga un ben sviluppato esemplare di vipera, sarà l’ultima sorpresa per oggi. La giornata è stata intensa, con le poche soste più di dodici ore, due litri d’acqua, un pacchetto di wafer e due frutti il consumo energetico, a Cimolais una birra grande poi il ritorno.

29 Agosto 2012

I Campanoz, una cresta a torto trascurata

Transitando dal passo di S. Osvaldo mi ero incuriosito di questa cima che espone verso SO una parete di calcare bianchissimo con degli antri notando anche che la rampa sottostante poteva essere una via d’accesso e avevo pensato fosse il Fortezza, che è più basso e a Ovest, consultando la carta ho invece realizzato che la breve cresta è nominata come “I Campanoz”, la più alta elevazione è quotata 2184 e sulle guide non è neanche menzionata. Verso E precipita su Forcella Lodina, la sua cresta poi continua verso le cime Centenere ma è un rilievo isolato. In pieno inverno, è il 10 gennaio, un gruppo di ben sette individui sale tutta la Valcellina fino al Passo a 828m. Qui incominciamo a salire verso la forcella sopranominata, il cielo è nitido, non fa neanche troppo freddo, poco più in alto incontriamo la neve e appena possibile traversiamo a sinistra verso la rampa. La sua salita è abbastanza esposta, la qualità del manto bianco è passabilmente affidabile,  passiamo proprio sotto le grotte uscendo alla fine su una forcella di cresta, la cima è a sinistra e ci si arriva salendo sul filo aprendosi la traccia con goduria nella neve vergine con visioni entusiasmanti sui monti circostanti, dall’attacco tre ore fino in vetta. Dopo la meritata sosta chi se non il Maurin propone la discesa verso Nord e la Busa dei Vediei? Gli altri sciagurati acconsentono, ora di neve ce n’è a bizzeffe, sarà anche stabile? Boh. A un primo tratto piuttosto potabile poi il pendio si raddrizza sì che alla fine tiriamo fuori la corda che viene ancorata a una piccozza, tenuta sotto stretta sorveglianza e con uno del gruppo in piedi sopra, e s’incomincia a scendere con 50 m di corda singola che portano su pendenze più amene. Al sottoscritto, il meno giovane della truppa e per ciò considerato una perdita accettabile, viene affidato l’ingrato compito di scendere per ultimo assicurato dal basso senza rinvii, ma deludo gli iettatori arrivando illeso pur se con abbondanti dosi di adrenalina . Ora non resta altro che risalire alla non distante Forcella Lodina poi giù per il sentiero a valle.

Cima dei Preti 2703 m – La via dei Triestini per la cresta Nord

giugno 13, 2012 4 commenti

La via aperta nel 1931 da un folto gruppo di alpinisti di Trieste resta la più fascinosa cresta di tutte le Dolomiti Friulane, dalla forcella di attacco si rimane costantemente sul filo delle placconate di chiaro calcare passando per le due anticime ( Punta Patèra 2553 m e Cima Spellanzon 2590), la discesa per gradoni ai rispettivi intagli a franapoggio sono gli unici passi friabili della salita, le difficoltà sono modeste, sul secondo grado, ma la cavalcata fra Friuli e Cadore è entusiasmante. Dall’attacco in poi nessun problema di orientamento, solo per arrivarci si rischia di perdersi nei vasti pascoli della Pala Anziana.

Siamo in 5+1, alla minispedizione partecipa anche la Lisetta in qualità di cuoca, ridiscenderà da sola in val Cimoliana. Da Cimolais la risaliamo fino allo sbocco della V. dei Frassin 940 m dove al di là del solco principale inizia il sentiero per la Casera Laghet de Sora 1871m, ben ristrutturata a ricovero m, punto d’appoggio obbligatorio se non si è dei draghi. La stagione è l’autunno, dopo un duraturo periodo piovoso le previsioni sono ottime, non sarebbe molto igienico incappare nel maltempo sulla cresta. Alla casera  sorprendiamo due giovani fidanzatini che probabilmente volevano qui trasgredire al sesto comandamento, il severo sguardo della Lisetta toglie loro ogni velleità, lei si dedica ora alle arti culinarie e i cinque maschietti alle degustazioni etiliche. Al sorgere del sole siamo già in attività e alle sette in marcia, il sentiero dell’alta via n. 6 non è granchè segnalato, dopo qualche esitazione riusciamo a capire qual è l’intaglio d’attacco, si sale uno stretto canale sovrastati a destra da un gendarme verticale. Dal filo il panorama è illimitato e a giro d’orizzonte già da qui e la limpida giornata d’ottobre ci favorisce alquanto. Proseguiamo senza sicurezze sul filo, solo la discesa alle due forcelle di cresta non è obbligata e bisogna fare attenzione. Dalla seconda forcelletta la cresta finale si impenna e ci riserva un ultimo ostacolo, un saltino verticale che appare piuttosto rognoso, in tre andiamo avanti sul filo, il solito bastian contrario convince un altro componente a traversare le placche sulla sinistra in massima esposizione, arrivati alla base del passaggio ci leghiamo, vado avanti scartando a sinistra e subito dopo trovo l’unico chiodo della salita che conferma la validità della scelta (III). Anche i due contestatori riappaiono e proseguiamo insieme verso la cima sulle consuete difficoltà. Sul culmine  incontriamo altri tre amici arrivati dalla normale, ridiscendiamo a valle per questa (vedere il precedente post) dove  Lisetta attende trepidante a valle il suo Mauro mentre il gestore del Albergo Duranno a Cimolais dopo il nostro passaggio avrà un notevole incremento delle entrate. L’autore, dopo un mese e mezzo di astinenza forzata dai monti l’indomani al lavoro invece avrà qualche problemino con le gambe.

Antonio e  Camillo Berti, Le Dolomiti Orientali vol. II ed. CAI-TCI

Cima Laste 2555 m, in solitaria per la cresta N sulle orme del Berti (II)

settembre 8, 2011 Lascia un commento

E’ questa la terza cima come quota del gruppo Duranno-Cima dei Preti, meno famosa e frequentata, il suo crestone si estende per oltre un chilometro in direzione S-N, iniziando, dopo un paio di risalti, dalla forcella dei Preti fino al passo dei Frassin o del Frate, con un’ulteriore appendice verso N-O costituita dalla Cima Gea. Muniti di cartina e relazione della via normale cooptata dalla guida del Visentini risaliamo quindi per l’ennesima puntata la val Cimoliana fino al parcheggio di Pian Fontana a circa 1200 m d’altezza. Guadato il torrente e seguendo l’abbondante segnaletica saliamo alla casera Laghet de Sora nell’alta valle dei Frassin impiegando stupiti solo due ore per coprire i 900 m di dislivello. Alla casera ci riposiamo facendo anche quattro chiacchiere con due persone che ci hanno passato la notte. Ripartiamo seguendo ora la segnaletica dell’alta via dei silenzi che ci porterebbe al Bivacco Greselin e salendo i pascoli della Pala Anziana fino a una conca dove il sentiero svolta a sinistra verso la già visibile verde forcella Val dei Drap, come pure il nostro arcigno monte che da qui appare non accessibile. La relazione invita a salire una faticosa rampa di ghiaie miste a erba e poi un canale roccioso-detritico che rintracciamo (è l’unico!), sotto gli sguardi diffidenti e stupiti di parecchi camosci al pascolo. All’uscita del canale (un paio di ometti) è d’obbligo traversare verso Nord, alla base delle pareti e per ulteriori pendii alla ricerca del canalino che consente l’accesso alla cresta. Il mio compagno vede ovunque immaginarie possibilità di salita, ma io proseguo imperterrito e ci arriviamo. C’è qualche traccia, ma null’altro, comunque la descrizione corrisponde, lo saliamo per un tratto per uscirne prima della forcelletta a sinistra e in traversata alquanto esposta e passando carponi sotto un landro ci guadagniamo la cresta e la vista della cima, ancora lontana. Ora, seguendo lo scritto, sarebbe d’uopo calarsi in versante O e con lungo traverso su una specie di cengione con dei passaggi anche su roccette e arrivare alla nostra destinazione salendo una crestina. Dall’altra parte il percorso della cresta mi sembra fattibile e dopo un breve consulto ci avviamo su quest’ultima, decisione che poi si rivelerà alquanto frettolosa dopo un primo tratto abbastanza facile.  Arrivati alla base del primo di alcuni arcigni gendarmi lasciamo i bastoncini , e lo scrivente comincia con cautela a arrampicare sul filo espostissimo su calcare di qualità passabile se saggiato acconciamente, scendo all’intaglio successivo, quando arriva il compare dichiara che non si sente di proseguire e il posto è alquanto ristretto e scomodo. Sono piuttosto perplesso, ma l’amico mi invita a proseguire, mi aspetterà qui. Decido di provarci, supero una serie di risalti, con le relative discese, finalmente arrivo all’anticima e poi su terreno instabile finalmente quando arrivo all’ometto che segnala il punto più alto ho la gola secca e l’adrenalina ai massimi livelli. La vista è eccezionale, le dolomiti maggiori, le Friulane, il vicinissimo terzetto Preti-Frati-Duranno, si vede persino il Glockner. Il libretto di vetta è protetto da una vecchia scatola per siringhe in alluminio, aggiungo il mio agli altri pochi nomi presenti e dopo una bevuta dieci minuti dopo sono pronto per la partenza, guardo con rincrescimento gli ometti che segnalano la discesa lungo la normale, ma il mio partner (e i bastoncini) sono in cresta, che ripercorro con attenzione raddoppiata, essendo piuttosto provato. Ricongiunti, decidiamo di consumare i viveri alla fine delle difficoltà. Sceso anche il canalone iniziale e scivolati lungo le ghiaie non rintracciamo subito il sentiero e alla sua ricerca capitiamo vicino a un camoscio che resta per un po’ a osservarci e dopo una sbuffata allontanarsi senza fretta alcuna. Alla fine, soste comprese, dieci ore.

Salendo al Bivacco, un antico faggio7 settembre 2011
P.S. – Abbiamo percorso l’ultimo tratto della via di A.Berti e L.Tarra del 1914, cresta Nord, di diff. II (Essi partirono dalla forcella del Frate)