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Punta Anita (2765 m) dal rifugio Chiggiato

La base d’appoggio di questa gita è il rifugio Giovanni Chiggiato (1911 m) su una spalla a Sud del gruppo raggiungibile con vari percorsi, quello da noi scelto passa dai fienili Costapiana, da Calalzo nella valle del Piave si prende la strada della valle d’Oten svoltando a destra al ponte Vedessana. La stretta rotabile asfaltata prosegue  per un paio di km fino agli stavoli Stua 1125 m, spazio per parcheggio. Il sentiero col n. 261 passa dai fienili e sale al rifugio, ci mettiamo quasi due ore, il rifugio è ancora aperto nonostante la stagione avanzata e i gestori sono molto cordiali. Ripartiamo dopo una breve sosta che sono già le 10 del mattino, alle spalle dell’edificio un sentiero si dirige verso il canale che scende dalla Val de la Tana. Quando arriviamo all’attacco le nostre velleità arrampicatorie (era prevista una via sulla Cima Salina) vengono subito accantonate in favore di qualcosa di più potabile a causa dell’orario e di una recente nevicata. Decidiamo di proseguire verso la forcella Jau della Tana poi si vedrà, l’ambiente alquanto selvatico è popolato da numerosi stambecchi, il sentiero s’inerpica piuttosto ripido e prima dello stretto intaglio diventa roccioso con qualche assicurazione (una scaletta e qualche cavo) con viste strepitose su parecchi dei gruppi dolomitici. L’alta forcella (2652 m) risulta già appagante per due dei compagni ma non è così per me e l’amico di sempre, dopo un breve consulto decidiamo per la Punta Anita che rimane sulla destra un centinaio di metri più alta. Dopo un breve tratto in versante Nord ci portiamo in cresta, il percorso sul filo è entusiasmante fra i dirupi a sud e le placche del versante Nord anche se il clima diventa severo specie quando qualche innocua nuvoletta nasconde il sole. L’esigua vetta è contrassegnata solo da un modesto mucchio di pietre, soddisfatti del dovere compiuto ora non resta altro che rientrare, alle quattro del pomeriggio ripassiamo dal rifugio e con le ultime luci rivediamo la fedele Ritmo. Più di 1600 m di dislivello con difficoltà massime sul primo grado nel Ottobre 1989.

1 Fienili Costapiana

2 Vista sulle Dolomiti Friulane

3 Le Marmarole

4 Salendo alla forcella Jau della Tana

5 Il tratto attrezzato

6 Forcella Jau della Tana

7 Cadini di Misurina e Tre Cime

8 Sulla cresta

9 Sulla Cresta

10 Antelao, Pelmo e Marmarole

11 Sulla cresta con vista sul Cimon del Froppa

12 L'esile vetta

13 Il Cimon del Froppa

14 Punta Anita dal vallone di Jau della Tana

15 Stambecchi nel vallone

16 Larice secco

17 Duranno e Cima dei Preti

18 Discesa da Jau della Tana

19 Rifugio Chiggiato

20 Sosta al rifugio

21 Ultimo sole

Corno del Doge 2615 m, una cima ruspante

 

Transitando in val d’Ansiei non si può fare a meno di ammirare l’elegante quanto inconfondibile aspetto di questa montagna di chiaro calcare. Il nome è probabilmente dovuto ad alpinisti veneti (similmente al non lontano Campanile San Marco) che si sono cimentati sulle sue pareti come altri forti di varia provenienza. Per la via normale il punto di partenza è Palus S. Marco al Ponte degli Alberi 1148 m. Qui si inizia con una comoda stradina che termina a una radura un 1500 metri dopo, tabelle. Ora si prosegue con il sentiero n. 426 che risale la Valle di San Vito sulla destra orografica. Alla confluenza  da sinistra della Val Grande si sale in questa dapprima nel letto del torrente poi per balze erbose, ora sentiero n. 278, evidente ma non granchè segnato fino a incrociare la Strada Sanmarchi che collega fra di loro i bivacchi delle Marmarole, ci troviamo ora all’inizio della selvatica Val di Mezzo. Ci si dirige ora verso NO e l’attrezzata Cengia del Doge (n. 280), prima di arrivarci si sale per ripidi verdi roccette e qualche mugo in direzione delle pareti Est della cima (poco intuitivo, scarsi ometti) fino ad uscire su una verde cengia sovrastati da salti verticali con dei landri. Si segue questa in modesta pendenza fino a incontrare a sinistra un canale ghiaioso (è il primo praticabile), dopo qualche decina di metri si inverte la rotta cominciando a attraversare verso Nord (terreno infido e rotto) fino a uno sperone  un canalino e un rigonfiamento di roccia solidissima che bisogna traversare, molto esposto ma rocce di eccellente qualità, è il tratto più impegnativo. Continuando la traversata si entra in un canalone/camino, risalendolo e uscendone a destra ci si trova sui detritici pendii sommitali che senza altre difficoltà escono all’ometto di vetta. In discesa è obbligatorio ripercorrere lo stesso itinerario.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel 2007 assieme allo storico amico Nevio in brevi ferie dall’estremo Oriente, mi impegnai su questo selvaggio itinerario che non è da sottovalutare anche se quotato solo di primo grado, sono più di 1500 m di dislivello, il sentiero ha un paio di contropendenze, la cengia era invasa dalle ragnatele, segni non ce ne sono e gli ometti si trovano solo all’inizio, oltre occorre un po’ di fiuto, la corda che ci eravamo portata, utile sul traverso, non l’abbiamo adoperata, per scendere dalla cengia sotto la pioggia abbiamo avuto il nostro daffare (siamo anche risaliti) a calarci. Otto ore e mezza il tempo impiegato.

Torre dei Sabbioni 2531 m

Antonio Berti divise l’alpinismo dolomitico in tre fasi, nel primo vennero le salite alle grandi cime, poi la salita alle cime minori e infine quello delle scalate alla ricerca di difficoltà sempre più elevate. Nel 1877 la guida di S. Vito di Cadore Luigi Cesaletti con la sua via a questa torre fu colui che dette il là alla seconda maniera. Il percorso, ancora oggi classificato di terzo grado (il passaggio del sasso incastrato nel camino, di IV, è causato da una frana) è diventato la via normale. Il posto dove si trova la cima, la Forcella Grande, confine fra il Sorapis e le Marmarole, è uno dei più affascinanti delle Dolomiti ma nonostante questo e la vicinanza a rifugi non è tuttavia molto frequentato. In un precedente tentativo eravamo stati respinti dal maltempo, ci riproviamo un paio d’anni dopo. Saliamo da S. Vito con la stradina fino al parcheggio del rifugio Scotter. Ora pedibus calcantibus verso sinistra passiamo dal vecchio rifugio  San Marco e in un paio d’ore siamo alla base del nostro  bel campanile, qui ci dividiamo, mentre gli altri due compagni salgono alla forcella Grande per aggirare la Torre e fare la normale, il sottoscritto e il famigerato Mauro, pluricitato in altri post, decidono di salire dal basamento il versante SO che dopo un marcio passaggio di rocce rosse sale in una parete piuttosto difficile ma logica (forse è la via De Polo Fornasier?, ancor oggi il dilemma mi tormenta), senza chiodi e martello con adrenalina a pacchi e con varie sicure a spalla, alla fine ci raccordiamo alla Cesaletti , superiamo il camino con masso incastrato e la fotogenica cengia fino allo spigolo Sud.  A completamento del collage usciamo in cima per questo, su splendide placche (è la via De Perini). Ritrovati i compagni scendiamo con qualche corda doppia all’intaglio della via comune e alle tracce di sentiero.  Il tempo piuttosto afoso della giornata, che ha tenuto finora, ci sorprende con un temporale. Circa 300 m di dislivello dall’attacco, 2.30 ore la salita, difficoltà max. 4° con un passaggio più difficile, 22 settembre 1991

Croda Bianca, Ciarido, Ciastelin

…e il sole calante le aguglie
tinga a le pallide dolomiti
sì che di rosa nel cheto vespro
le Marmarole care al Vecellio
rifulgan, palagio di sogni,
eliso di spiriti e fate…

                                                                                                              Giosuè Carducci, Cadore

Le Marmarole da SO

Croda Bianca 2841 m, spigolo SE (Via Fanton)

Il Pian dei Buoi, altopiano ondulato a circa 1600 m di quota è raggiungibile da Domegge per una stretta rotabile a senso unico alternato, al mattino si sale, il pomeriggio si scende. Magnifico punto panoramico sulle dolomiti d’oltre Piave, di Sesto, Antelao e Carniche è servito anche da ben tre Rifugi, il Marmarole, il Ciareido e il Bajon.
Che la giornata sarebbe stata leggermente complicata l’avevo capito già dal mattino: la moglie del mio compagno che avrebbe dovuto fare da turista mentre noi saremmo andati a fare la via della parete S di quarto grado, quando arriviamo- in un tempo da qualifica- sopra Ampezzo, ci costringe a fare una sosta tecnica per rendere ai prati il pranzo del giorno precedente. La seconda manche, fino a Domegge registra solo una media da gara e al posto tappa rinuncia alla cena, saliamo poi al rifugio Bajon con passo più regolare e viene ivi abbandonata senza più niente da dare ma piuttosto pallida. Nell’avvicinamento alla parete ci perdiamo di vista tra le fitte mugaie e quando alla fine ci ritroviamo si è fatto tardi per incominciare la via che è piuttosto lunga. Il mio socio se ne va alla ricerca della consorte che aveva come destinazione il rifugio Chiggiato, il sottoscritto invece prosegue verso forcella Peronat, un roccioso intaglio a E della Croda. Qui arrivato noto una cengia rocciosa che sale verso lo spigolo SE e dopo un veloce consulto al Berti che parla di secondo grado decido di andare a vedere. Abbandono lo zaino,  parto e senza difficoltà arrivo sulla cresta dove incontro un bollino: è pure segnalata. Incomincio a arrampicare su roccia solida piuttosto rapidamente. L’arrivo in vetta è emozionante e quasi sono commosso: sono su una delle grandi montagne del gruppo. Non c’è in vista anima viva, la giornata è limpida e sono circondato da un’infinità di vette. Per la discesa la scelta è obbligata, devo recuperare le mie masserizie in forcella e torno sui miei passi.Quando arrivo su terreno più verde e orizzontale, fermatomi a una fontana per chetare la sete, sperimento tutte le delizie dei crampi alle gambe. Poco dopo entro trionfante al rifugio Bajon dove non c’è alcuna traccia dei miei passeggeri che si fanno aspettare ancora un paio d’orette. Mentre io correvo la coppia pascolava per sentieri tranquillamente. Tuttavia quel giorno trascorso è stato per me molto importante perchè mi ha confermato che avrei potuto diventare da uomo di pianura un montanaro.

Il rifugio Casera Bajon

FiorituraMonte Ciarido 2504 m, via normale

La seconda cronoscalata Domegge-Rifugio Bajon ci vede ancora protagonisti a bordo della mitica landinetta,  dal nome del monocilindrico trattore degli anni ’50, una 127D familiare. Handicappati dalla minor potenza del mezzo e da due pit stop per un inconveniente meccanico allo scarico che a ogni grattata sullo sterrato si divide in due  trasformando l’ansimante ronzino in un bolide rombante pur senza guadagno di HP ci classifichiamo terzi (su tre partecipanti). Al ritorno serale invece il nostro pilota, dopato da robuste dosi di merlot esprime tutte le sue doti funanboliche e non ha rivali, mentre il panico dilaga nel navigatore e fra i passeggeri.
Veniamo ora alla nostra salita, i cui partecipanti sono ben undici, quasi una gita sociale ma solo nove  calcheranno la cima. Il tempo infatti è pessimo e nere nuvole gravano su di noi, i decisionisti prevalgono e dopo una breve sosta al rifugio abbandoniamo i due rinunciatari e ci avviamo verso le crode. Siamo a E della Croda Bianca, dove si elevano ancora parecchie cime di un trecento metri più basse ma non per questo meno ardite e frastagliate: il sottogruppo del Ciastelin. Non so come ma riusciamo a trovare nella nebbia la via comune da sud, una salita di primo grado per roccette e canalini molto simpatica e resa più impegnativa perchè a tratti sporca di neve fresca, tanto che nel caminetto finale piazziamo un pezzo di corda per aiutare i meno pratici di queste faccende. In cima un previdente estrae una bottiglia di bianco dallo zaino con cui celebriamo la giornata.

Spalti e Monfalconi

La salita 1Monte Ciastelin 2570 m – Torre Ciastelin 2602 m, vie normali

In una bellissima(a valle) giornata estiva saliamo ancora al Pian dei Buoi. Tutte le cime sono nascoste da un grigio e compatto nebbione. Uno dei pretendenti alla Torre Ciastelin dichiara che resterà a oziare/gozzovigliare al Bajon, il gruppo dei sette ravanatori rimanenti parte e incomincia a vagare nel grigiore e arriva comunque in cima a un monte che guarda caso è il monte Ciastelin e non il Campanile. Siamo piuttosto contrariati ma insomma qualcosa abbiamo combinato ugualmente e dopo la obbligata sosta ripartiamo verso lidi migliori. Una improvvisa schiarita ci presenta attraente il nostro campanile e prima che la nebbia si infittisca di nuovo  riusciamo a individuarne la via di salita aperta dai fratelli Fanton, un ripido canale con passi di II. Che fare? Dopo un consulto altri tre partecipanti dichiarano di essere appagati, i quattro rimanenti più assatanati decidono di prendere due piccioni con una sola fava e riprendono la salita. Con passaggi anche aerei su dolomia piuttosto solida arrivano a meritare anche la seconda vetta, godendo anche del bel panorama quando  improvvisi squarci si aprono su crode vicine e lontane.

Il Campanile Ciastelin1987-1993-1998