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Corno del Doge 2615 m, una cima ruspante

 

Transitando in val d’Ansiei non si può fare a meno di ammirare l’elegante quanto inconfondibile aspetto di questa montagna di chiaro calcare. Il nome è probabilmente dovuto ad alpinisti veneti (similmente al non lontano Campanile San Marco) che si sono cimentati sulle sue pareti come altri forti di varia provenienza. Per la via normale il punto di partenza è Palus S. Marco al Ponte degli Alberi 1148 m. Qui si inizia con una comoda stradina che termina a una radura un 1500 metri dopo, tabelle. Ora si prosegue con il sentiero n. 426 che risale la Valle di San Vito sulla destra orografica. Alla confluenza  da sinistra della Val Grande si sale in questa dapprima nel letto del torrente poi per balze erbose, ora sentiero n. 278, evidente ma non granchè segnato fino a incrociare la Strada Sanmarchi che collega fra di loro i bivacchi delle Marmarole, ci troviamo ora all’inizio della selvatica Val di Mezzo. Ci si dirige ora verso NO e l’attrezzata Cengia del Doge (n. 280), prima di arrivarci si sale per ripidi verdi roccette e qualche mugo in direzione delle pareti Est della cima (poco intuitivo, scarsi ometti) fino ad uscire su una verde cengia sovrastati da salti verticali con dei landri. Si segue questa in modesta pendenza fino a incontrare a sinistra un canale ghiaioso (è il primo praticabile), dopo qualche decina di metri si inverte la rotta cominciando a attraversare verso Nord (terreno infido e rotto) fino a uno sperone  un canalino e un rigonfiamento di roccia solidissima che bisogna traversare, molto esposto ma rocce di eccellente qualità, è il tratto più impegnativo. Continuando la traversata si entra in un canalone/camino, risalendolo e uscendone a destra ci si trova sui detritici pendii sommitali che senza altre difficoltà escono all’ometto di vetta. In discesa è obbligatorio ripercorrere lo stesso itinerario.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel 2007 assieme allo storico amico Nevio in brevi ferie dall’estremo Oriente, mi impegnai su questo selvaggio itinerario che non è da sottovalutare anche se quotato solo di primo grado, sono più di 1500 m di dislivello, il sentiero ha un paio di contropendenze, la cengia era invasa dalle ragnatele, segni non ce ne sono e gli ometti si trovano solo all’inizio, oltre occorre un po’ di fiuto, la corda che ci eravamo portata, utile sul traverso, non l’abbiamo adoperata, per scendere dalla cengia sotto la pioggia abbiamo avuto il nostro daffare (siamo anche risaliti) a calarci. Otto ore e mezza il tempo impiegato.

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