Punta di Montemaggiore(1613 m), un anello dal passo di Tanamea (851 m)

Da Tarcento la rotabile sale verso N e a Musi compie una brusca svolta verso Est dirigendosi al passo di Tanamea (851m) fra il crestone dei Musi a N e quello del Gran Monte sul’opposto versante. Poco oltre c’era il confine con la Jugoslavia e il valico di seconda categoria era allora transitabile solo ai frontalieri. L’osteria, al tempo gestita da un’anziana simpatica signora offriva buon ristoro ai viandanti dove parcheggiamo.  Dopo la vestizione proseguiamo in discesa verso il confine sull’asfalto costeggiando il Riobianco fino all’inizio del sentiero che si alza sulla destra nel  letto in secca di un ulteriore affluente (forse il rio Starmaz) con bel percorso fra i bianchi massi calcarei che oppongono qualche lieve difficoltà. Se ne esce verso destra in un bel bosco di faggi  e finalmente sui prati da dove ci si affaccia alla dorsale. Ma non solo, incontriamo anche due simpatiche ragazze che fanno il nostro stesso percorso.  La cima sovrastante è lo Starmaz, ci si arriva per verdi (1330m), da questo continuiamo con bel panorama seguendo fedelmente la cresta toccando anche  il Laschiplas (1316m) e concludendo sull’ obiettivo primario ovvero la Punta di Montemaggiore. Non resta che scendere in direzione Nord, il sentiero è più battuto e passa dal ricovero con lo stesso appellativo ricavato da un edificio militare. Da qui un frequentato sentiero riporta al   Passo di Tanamea. Sei ore e mezza in tutto, con Eliana, Gigi e Saro.

Maggio 2012

I Cosacchi in Friuli con gli occhi della prima infanzia

aprile 29, 2020 1 commento

 

Durante una gita dalla valle della Drava mi sono imbattuto in una modesta stele in legno a ricordo del corpo di spedizione cosacco nella seconda guerra mondiale. All’epoca erano alleati dell’Asse, forse perché speravano in un avvenire migliore a quello proposto dal compagno Stalin. Una lettera al Messaggero a proposito di Cosacchi mi fa tornare alla mia prima infanzia quando abitavo in una casa in Via dei Castelli. Nello stesso cortile convivevano abbastanza in armonia parecchie famiglie e numerosi bambini.  I servizi igienici consistevano in un casotto sopra al letamaio posto al centro della corte ma noi eravamo privilegiati, oltre a  una stanza al piano terra e un camerone al primo piano condiviso con genitori e sorella c’era Un piccolo orto con un cesso personale all’aperto. Una vite di Bacò sulla facciata ingentiliva la residenza. Per L’acqua potabile si andava con il buinz alla manuale ruota del pozzo. Per gli altri usi un canale scorreva per le strade in tutto il paese.  Mio padre all’epoca  lavorava come cementista in un’impresa edile (la Rizzani, tuttora esistente ma con altra ragione sociale) alla costruzione della Saici di Torre di Zuino, la futura Torviscosa, allora considerata di interesse bellico. La raggiungeva in bicicletta assieme a altri compaesani (fra andata e ritorno più di 40 km), chi mancava la Domenica riceveva la cartolina precetto. Verso la fine della guerra trovò lavoro da un artigiano del paese rimanendo anche ferito in un bombardamento degli alleati , era il giorno di San Giuseppe. Già  in precedenza il protettore degli artigiani lo aveva punito con una frattura alla gamba trovandolo operoso sempre nella stessa data e da allora questa attualmente abolita festività venne sempre rispettata. Al di là della strada abitava la numerosa quanto accogliente famiglia Zamo’, coloni del benestante del paese dove trascorrevo ben accolto buona parte delle mie giornate. Devo essere stato abbastanza vispo per l’età riuscendo prima a infilarmi prima un dente di forca nel tendine d’Achille e in seguito giocando con un cerchio metallico (ricavato da un fusto di benzina) a spaccarmi il labbro superiore. In una di queste mie prime escursioni all’entrata mi  imbattei in un enorme omone barbuto seduto dietro a una mitragliatrice che comunque non mi degnò di uno sguardo. Poi al momento della sconfitta, o della liberazione a secondo dei punti di vista, sparirono all’improvviso lasciandosi alle spalle cavalli e munizioni (ricordo una enorme catasta di proiettili nell’aia) per finire poi affogati nella Drava. Di nefandezze compiute non ricordo, se ci fossero state penso che i miei genitori me avrebbero parlato, ho memoria invece di due giovani partigiani del paese fucilati ma dai tedeschi. Poi arrivarono gli inglesi che occuparono più signorilmente la villa padronale dei Masotti. Ci passavo per fare accattonaggio di un pezzo di pane bianco, una prelibatezza in quei grami tempi. Ora fra l’altro di repubblichini e partigiani  dopo settant’anni ne devono essere rimasti pochini, a mio favore ho due cognati tesserati dell’ANPI che in quegli anni non erano ancora nati. Per conto mio di tessere ne possiedo ben tre, quella dell’UOEI e del CAI perché vado in montagna più quella dell’ANA perché ho prestato servizio di leva negli Alpini.

P.S. A scanso di equivoci  mio padre non ha mai avuto la tessera de PNF (che chiamava Budiese, cimice in friulano).

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Zwolferspitze (Punta delle Dodici) 2592m, alla cresta Carnica da Nord

Agli arresti domiciliari a causa del virus che ha inaridito anche la mia vena poetica non mi resta che copiare la scarna relazione dal mio diario delle ascensioni.

Sconsigliabile a chi soffre di mal d’auto l’avvicinamento prevede la salita al passo di Monte croce Carnico, dal primo paese oltreconfine, Mauhten, si svolta a sinistra sulla strada della Lesachtal che con innumerevoli curve e tornanti conduce a San Candido passando da parecchi paesi e villaggi per lo più allineati sul versante solatio. Finestre e balconi fioriti ingentiliscono le case, costruite in stile e materiali tradizionali.  Nella buona stagione è infestata da torme di motociclisti che rompono il silenzio agreste degli abitanti, non più comunque dei normali turisti, a loro difesa resta il fatto che non potendo portarsi dietro il cestino del picnic ma solo il portafoglio sono una buona risorsa per bar e Gasthof. Confesso che anche io l’ho fatta in questa veste arrivando a casa, dopo un quattrocento Km, con i crampi alle mani e i calli al sedere.

L’affaccio verso Sud è sulle montagne della Cresta Carnica Occidentale che in questo settore sono di scuri e antichi scisti sconsigliati agli arrampicatori. Che sono destinazione di questa gita con l’amico Sandro dove il mezzo usato è la più comoda auto,si sale quindi la vallata fino Sankt Lorenzen. Dalla frazione Wiesen si svolta a sud imboccando la Frohntal, dirimpettaia alla Val Sesis ma comunque deserta. Saliamo così fino al posteggio della Ingrid Hutte, circa 1600m, prima su asfalto e quindi per strada sterrata. Da qui si prosegue a piedi  fino al circo terminale dove facciamo il punto. Di fronte sulla cresta si vede un edificio, è l’Hochweisssteinhutte del Peralba quindi la cima designata è sulla cresta che scende alla sua destra. Un sentiero segnalato porta senza difficoltà alla dorsale Nord da dove si percorre la cresta verso il lato opposto. Con meno complicazioni del previsto,meno di primo grado, si arriva alla tradizionale grande Croce di vetta in legno. Tre ore scarse, discesa lungo lo stesso percorso.

Con Sandro il 16-10-2008

 

Punta di Forcje Diame (1350m), nei recessi più disertati del gruppo

Attualmente agli arresti domiciliari a causa del morbo anche la mia vena poetica si è inaridita ma ci provo comunque. Ci troviamo dunque alle estreme propaggini meridionali del gruppo che qui si affaccia alla valle del Fella, le malelingue sospetteranno che la scelta sia dovuta alla vicinanza dell’ex stazione di Chiusaforte ora adibita principalmente a punto di ristoro per i frequentatori della ciclabile e già sperimentato. Dalla statale Pontebbana dopo il ponte di Peraria svoltiamo a sinistra alle indicazioni per il villaggio di Roveredo, prima di arrivare al simpatico borgo si trovano sulla destra le tabelle indicatrici del nostro percorso. Che rimane  il più lungo e faticoso approccio alla cima principale. Salendo nel bosco di latifoglie al primo bivio si prende il sentiero verso sinistra (Il segnavia è il 450) che passa da un Calvario e sotto una parete rocciosa.  Poco più in alto si trovano un paio di schiarite che ospitano gli stavoli Sacout e Breizi ancora in buone condizioni ma non più adibiti al uso originale e frequentati solo da qualche ostinato valligiano. Traversando per  rigogliosi verdi (l’ambiente è piuttosto selvatico e riservato ai buongustai) si arriva alla base della dorsale della nostra meta che si guadagna dalla cresta Ovest per balze erbose lasciando sulla sinistra la  Muinie (suora in friulano) un ardito pinnacolo. Sorprendentemente la via è anche ben segnalata ma naturalmente non ci sono concorrenti ,è anche un giorno feriale ma non penso che se fosse festivo cambierebbe qualcosa. In discesa si segue lo stesso itinerario, tre ore di salita per mille metri di dislivello.  Il panorama offre le Giulie (Alpi e Prealpi) e i monti di Moggio. In discesa ricalchiamo i nostri passi. Con Sandro e Oscar il 22 Marzo 2018.

 

Categorie:Alpi Carniche Tag:

Vallese 97 – Il Rientro

E’ il giorno del rientro e ci permettiamo il lusso di un Taxi per riprendere l’auto all’ inizio della Mattertal. Dopo una breve sosta a Sankt Niklaus, il capoluogo della vallata, saliamo al passo del Sempione per calare poi in val d’Ossola. Costeggiando il Lago Maggiore con traffico quasi inesistente (gli italiani sono tutti al mare) riprendiamo l’autostrada verso Est arrivando  a casa alle sei del pomeriggio.

 

Weisshorn (Corno Bianco, 4505m) per la cresta Est

marzo 20, 2020 2 commenti

E’ il giorno di ferragosto, si fa per modo di dire visto che sono le due del mattino quando ci incamminiamo alla luce delle pile frontali, verso la cresta Est della montagna fatale per allora l’adolescente Georg Winkler, uno dei nomi che hanno fatto la storia dell’alpinismo. E’ una delle grandi classiche di misto dei monti del Vallese che alterna tratti rocciosi fino al terzo grado  a pendii glaciali di 45°. La troviamo comunque in ottime condizioni di neve dura. Ci mettiamo sette ore per coprire i 1600m di dislivello, non ci sono troppi problemi  di orientamento, basta seguire fedelmente il filo. Siamo anche favoriti dal tempo che rimane stabilmente sul bello. Dalla storica croce di ferro eretta in vetta il panorama è esagerato ma purtroppo non bisogna indugiare troppo. La discesa è meno faticosa ma con la neve che ha mollato nasconde parecchie insidie, crepacci e seracchi la rendono abbastanza pericolosa.  Rientriamo comunque illesi al rifugio,sono le cinque del pomeriggio. Recuperiamo le nostre masserizie e stanchi delle coperte nelle camerate dei rifugi decidiamo di scendere al fondo valle. Sono 3100 metri di dislivello totale ma ne valeva la pena.  Dopo una urgente quanto necessaria doccia ceniamo decentemente  e poi a nanna (finalmente) fra le fresche lenzuola  della  pensione già sperimentata al nostro arrivo in Mattertal. Possiamo ritenerci soddisfatti, in una settimana abbiamo aggiunto alla collezione cinque 4000, l’ultimo il più prestigioso.

 

Il forte delMonte Festa (1055m)

febbraio 28, 2020 Lascia un commento

Ero poco più che ventenne quando nei primi anni sessanta, dopo i sei mesi di corso sottufficiali alla Scuola militare di Aosta. Dove, nonostante la mia poca propensione alla disciplina, mi  ero classificato (con mia grande sorpresa) al primo posto  guadagnandomi  così i gradi di caporalmaggiore. Con il privilegio di potere scegliere la destinazione, ambivo alla Julia ma i posti erano esauriti. Per rimanere in Friuli e quindi vicino alla morosa dell’epoca, anche se in seguito le cose hanno preso un’altra direzione, ripiegai quindi all’undicesimo che aveva il compito di mantenere in efficienza  le cosiddette Opere, delle fortificazioni sotterranee costruite nell’eventualità di un improbabile conflitto (era forse il Vallo Mussolini). La caserma, in seguito demolita,forse a causa del terremoto, si trovava alla periferia Sud di Cavazzo e oltre a noi alpini ospitava pure una compagnia di trasmettitori. Ricordo che quando portavo le reclute a fare una corsetta fino a Cesclans non c’era nessuno che tenesse il mio passo. Di acqua ce n’era poca e per il bagno, rigorosamente in costume adamitico (dopo sei mesi di naia non c’erano problemi di pudore) bisognava ricorrere al corso d’acqua che, se ricordo bene era il rio Sualt  nella vicina quanto pittoresca gola. Per le mie scappatelle avevo occultato la Vespa (150 cc) in un cortile del paese e al rientro fuori orario si scavalcava il muro di cinta sperando di non beccarsi un colpo di Garand dall’inesperta sentinella.

Logico quindi che all’inizio della mia poco gloriosa carriera alpinistica ci sia ritornato, la prima montagna raggiunta è stata proprio il monte Festa e in seguito addirittura il San Simeone, due panoramiche cime fra la val Rio del Lago (di Cavazzo) e il Tagliamento.  Naturalmente, ligio ai divieti parcheggio collocati poco ho lasciato l’auto poco sopra Interneppo  alla sella di Mena, presso l’imbocco della sterrata militare, circa 300m di quota. Che si percorre integralmente (e un po’ noiosamente) fino a poco sotto la cima. Per i cultori dei fatti bellici ci sono abbondanti resti del forte, fra tunnel e postazioni varie c’è da sbizzarrirsi anche se In realtà pare sia stato usato solo nel 1917. Le tre gite nel 1981, l’87 e il 2009, due volte da solo e una come accompagnatore in una gita sociale del UOEI. Circa 800 metri di dislivello, difficoltà non ce ne sono.

 

 

 

Zottach Kofel (2032-2039m), le due cime più la grotta di Attila

Dopo tanti anni di frequentazione le possibili gite giornaliere sulle nostre montagne sono quasi esaurite e la destinazione viene ormai decisa alla partenza se non durante il tragitto come in questo caso. Dopo un mese abbondante inattivo riprendiamo dunque la via dei monti salendo gagliardi la valle del Fella fino a  Pontebba e da qui in Val Pontebbana verso il passo del Cason di Lanza. L’ottimismo cede il passo alla disperazione dei passeggeri  sui tratti ghiacciati della strada, ci arrendiamo a circa 1500m di quota dove tocca abbandonare il mezzo proseguendo a piedi sull’asfalto, il valico non è troppo distante. La giornata non è comunque  malvagia allietata com’è da un pur pallido sole e ci incamminiamo a destra sul sentiero 439 che esce alla forcella di val Dolce (1781m) sulla cresta di confine a Ovest della Creta di Aip. Proseguendo verso destra arriviamo a un’ ulteriore larga insellatura, poco sotto si occhieggia la nostra bifida destinazione, ci portiamo all’intaglio che divide le due cimette. Le saliamo in sequenza per facili ma solide roccette calcaree di primo grado salvando cosi la giornata (2032-2039m). Ma non basta, tornati al valico e grazie a un paio di partecipanti muniti di torcia elettrica (che hanno studiato sul libro delle Giovani Marmotte) visitiamo anche la Grotta di Attila che ci aveva respinti  in una precedente occasione per mancanza di queste ma anche allagata.

10 Ottobre 2017 con Claudio e Sandro, Giorgio e Oscar.

Globoko (1828m) e Planje (1863m), fra l’Isonzo e il lago di Bohinj

dicembre 31, 2019 Lascia un commento

Assenza di neve e cielo azzurro ci accompagnano in questa gita decembrina sullo spartiacque fra l’Isonzo e il lago di Bohinj. Da Stupizza e Caporetto costeggiando le azzurre acque del fiume più bello del mondo scendiamo a Tolmino. Da qui una stretta rotabile asfaltata sale al remoto villaggio di Tolminske Raune (924m) dove parcheggiamo.  In una profusione di indicazioni ci incamminiamo astutamente  sul sentiero  più ripido che conduce alla malga-rifugio di Planina Razor (1315m), in chiusura stagionale). Da dove ci si affaccia a un vasto altopiano limitato da creste di bianco calcare. Della grande guerra rimangono numerose mulattiere militari, non c’è che l’imbarazzo della scelta per raggiungere una meta. Ci alziamo su una di queste verso NE raggiungendo il passo Globoko (1816m) da dove ci si affaccia alla valle del lago. Decidiamo di continuare, la mulattiera prosegue a mezzacosta e poi  ridotta a esile sentiero guadagna la cresta. A tratti sottile e friabile richiede qualche attenzione e passo sicuro ma permette di meritare una cimetta, dovrebbe trattarsi del Planje (1863m). La vista è spettacolare, spiccano il vicino Tricorno e, oltre la valle della Sava, i monti di Kamnik. Bello anche il controluce verso i colli,la pianura e il mare.  Poco più in basso passiamo accanto a un fortino abbastanza ben conservato, ma è ora di scendere… Invertiamo il senso di marcia imboccando una ulteriore traccia che senza problemi ci riporta su terreno più agevole. Purtoppo i viveri scarseggiano e non resta che  tornare a valle percorrendo il sentiero piu’ diretto (un unico passaggio esposto è una cengia abbondantemente assicurata con cavo metallico) che ci riporta al paesello e alla macchina. Sette ore in totale (soste comprese), con Saro e Sandro, il 9 Dicembre del 2015.

 

 

 

 

Trasferimento: dal rifugio del Dom a Randa (1439m) e alla Weisshornhutte (2932m)

dicembre 22, 2019 Lascia un commento

Con quattro quattromila all’attivo la settimana è stata già un successo e ci caliamo un po’ bruciacchiati verso il fondo valle, ovvero Randa (1439m), il villaggio da cui siamo avviati qualche giorno addietro. A metà strada assistiamo impotenti al recupero con elicottero di un alpinista infortunato. Ci concediamo pure un pranzo nello stesso ristorante visitato al nostro arrivo e dove eravamo stati bene accolti .Prima di ripartire alleggeriamo un pò gli zaini dirigendoci  verso l’opposto versante della vallata. La meta è la Weisshorn Hutte, un rifugio a 2932 di quota a SE della montagna omonima, che si raggiunge pur faticosamente ma senza difficoltà alcuna seguendo un sentiero che si alza prima fra i larici e poi in terreno aperto. I problemi sorgono per il pernottamento, siamo alla vigilia di ferragosto ed è sovraffollato, ci vogliono laboriose trattative per ottenere un giaciglio. (lo scrivente dorme, per modo di dire, su un tavolo). Ideale per l’ambiziosa impresa in programma l’indomani. Con Sandro (Sandron) e Nevio, un fratello di montagna scomparso recentemente.