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Vita dura nel massiccio dell’Alto Delfinato

“…questo paese ha un’anima fatta essenzialmente di spazio,                                       gli occorre molta aria e molto cielo per respirare e vivere:                                          è il lusso eccezionale di questa terra meravigliosamente povera.”

Gaston Rébuffat, da “Il Massiccio dell’Alto Delfinato.                                                   Le 100 più  belle ascensioni ed escursioni”                    Edizioni Zanichelli 1978

Chiamato anche Oisans o degli ‘Ecrins è il più vasto dei massicci cristallini delle Alpi, la sola area costituita a Parco Nazionale si estende su 90000 ettari, quasi tutti oltre i 2000 metri, completamente in Francia fra i dipartimenti delle Hautes Alpes e dell’Isére a Ovest del Monginevro.

31 Luglio – Da Udine al rifugio del Glacier Blanc  2540 m

31 Luglio – Alle quattro del mattino ci sono dei movimenti sospetti in quattro abitazioni friulane, dove altrettanti personaggi stanno caricando una vecchia Ritmo di strane masserizie. Il mezzo attraversa tutto il Norditalia fino al valico del Monginevro, confine, scende a Briancon, bella città fortificata cui i passeggeri danno una fugace occhiata senza fermarsi scendendo poi la statale 94 fino a Argentière, qui svolta destra per risalire oltre l’ultima località abitata, Ailefroide e ancora fino al Prè di M.me Carle, una ampia radura a 1870 m, con il rifugio Cezanne e comoda possibilità di parcheggio, dove viene abbandonata dai passeggeri. Un cartello avvisa che chi sale ai rifugi senza prenotare in caso di affollamento passa la notte fuori… anin benon! Mi tocca rispolverare al telefono il mio arrugginito francese scolastico, al rifugio Ecrins a 3170 m, meta prefissata, non hanno posto, bisogna ripiegare al meno alto Refuge du Glacier Blanc  a 2550 m. Riempiti i sacchi con le nostre masserizie alacremente partiamo costeggiando sulla sinistra il torrente con un breve tratto attrezzato ci caliamo nell’alveo passando sotto il fronte del ghiacciaio e in due ore e mezza posiamo i piedi sulla soglia del nostro ostello, compresa una lavata sotto un breve temporale, dove mi sono reso conto che la mia nuova giacca in Gore Tex è rimasta in auto, cosa che pagherò cara in seguito. Nel rifugio gli ospiti  sono sottoposti a una disciplina ferrea, durante il giorno non si può stare all’interno,  l’alimentazione è veramente pessima, per non parlare del vino che mi fa rimpiangere il nostrano Bacò, capisco gli indigeni che non ne approfittano, in gran parte essendo muniti di gamellini, fornelletti ecc. Di buono c’è la vista sul ghiacciaio e il dirimpettaio gruppo del Pelvoux, una delle grandi cime dell’Oisans.

1 Agosto, via normale alla Barre des ‘Ecrins 4102 m

La giornata odierna prevede la salita dell’unico 4000 del gruppo, il più meridionale dell’arco alpino, una gagliarda montagna di ghiaccio e granito. Sveglia alle quattro, partiamo con le frontali, il cielo è nuvoloso, con possibili Ourages (ci metto un bel po’ a decifrare, temporali), in un paio d’ore abbondanti, arriviamo, salendo sulla sinistra orografica  del ghiacciaio per morene e facili placche oltre una seraccata, al rifugio sovrastante, Caron o degli ‘Ecrins a 3170 m vediamo parecchi sacchi a pelo contenenti anche l’inquilino sui marciapiedi all’esterno, quindi se avessimo rischiato la salita avremmo trascorso una pessima nottata. Mi sono fatto prestare un K-wai da un compagno (lui ha il piumino), si è alzato il vento e comincia a schiarire, scendiamo sul ghiacciaio che ha la pista ben battuta e incrociamo parecchie cordate, che favorite dal punto di partenza più alto ritornano indietro senza successo. La pista si destreggia fra i seracchi compiendo un ampio giro verso sinistra per ritornare poi a destra fino alla Brèche Lory, la forcella fra la Barre, che resta a sinistra, e il più facile Dom de Neige 4015, pistato fino in cima, cui si dirigeranno i due nostri amici. Il mio coriaceo compagno di corda non ci sta. Affrontiamo le rocce di destra per salire in obliquo alla cresta, è il tratto più impegnativo, proseguendo poi su terreno misto sul filo accompagnati da un diabolico vento (lato soleggiato del viso ustionato, lato in ombra gelato, traversiamo l’anticima del Pic Lory ed eccoci alla croce di vetta, un mare di nubi in dissolvimento è sotto di noi, da esso emergono moltitudini di picchi, verso sud si identifica il Monviso. Ripercorriamo a ritroso la via di salita, ora esponendo la faccia sui lati opposti ma con le conseguenze  sul salto iniziale ci caliamo con una doppia, faccio mio un lungo anello di fettuccia abbandonato su uno spuntone, e siamo di nuovo sul ghiacciaio, gli amici sono già li, l’ultimo pezzo la neve ha mollato e arranchiamo penosamente. Rientriamo al rifugio, il duro gestore è sulla soglia con il binocolo in mano indeciso se allarmare il soccorso o considerare la perdita di quattro sfigati alpinisti italiani accettabile, al nostro apparire ci interpella “Avez vous fait le Dome o la Barre?” e con viva soddisfazione gli rispondo “Mais naturellement la Barre” al che se ne esce con “O là là, la valanga azzurra”.

2 Agosto – Dal refuge du Glacier Blanc al Refuge Sorreiller 2740 m

Il misto congelante ustionante e i quasi 1600 metri di dislivello di combinati alla pioggia del primo giorno mi hanno ridotto malamente, mi sveglio in preda a mal di testa, tosse e raffreddore. Mentre prepariamo gli zaini il ragazzotto addetto alle pulizie non cessa di sollevare polvere scopandocela addosso e scendiamo volentieri all’auto. Risaliamo verso il confine e a un bivio seguiamo le indicazioni verso il Col du Lautaret 2070 m sulla strada statale 91, non senza una sosta a una farmacia per i miei malanni, attraversando famose località sciistiche, poi abbandoniamo la statale verso sinistra per risalire la val Veneon fino al Les Etages, piccolo villaggio a 1590 m. Di nuovo lasciamo la vettura, dagli zaini viene eliminata l’attrezzatura per il ghiaccio e aggiunti gli ammennicoli per arrampicare sul granito, nei quasi 1200 m di dislivello sull’ameno sentiero  che ci separano dal rifugio arranco affannosamente, a premio il magnifico anfiteatro del Soreiller con una meravigliosa guglia: l’Aiguille Dibona. Al rifugio il vitto e le bevande sono simili a quelle del rifugio del Glacier, ma la presenza e la gentilezza delle due graziose giovani gestrici  fa comunque una bella differenza (Anche  “Facciamo mezza pensione”ottiene discreti risultati, visto che i nostri cugini d’oltralpe sono sullo sparagnino).

3 Agosto – Aiguille Dibona 3130 m, via Boell con attacco Bertet e uscita per le “cannellures” Stoper, IV superiore

Dopo una notte da febbricitante sotto un cumulo di coperte fra brividi e sudori freddi vengo svegliato da un acutissimo stridore causato da un trapano che sta profanando il granito dell’Aiguille, “magnifica punta di freccia scagliata contro il cielo” così definita dal romantico Rebuffat (chissà se avrebbe accettato questi moderni scalatori). La montagna ha preso il nome dalla grande guida ampezzana Angelo Dibona (Dibonà alla francese), suo primo salitore per quella che poi è diventata la via normale. Mando giù un paio di pillole poi mi accodo ai compagni, il dislivello non è molto e si svolge in un ambiente solare, decidiamo per un collage di vie che si destreggia al centro della parete fra fessure placche e camini, non siamo i soli, oltre ai padroni di casa ci sono spagnoli e inglesi, la roccia rossastra è solidissima e mi alterno al comando della cordata con l’amico Nevio. Dall’aerea cima ci caliamo a corde doppie, anche la via comune è all’inizio verticale, rientriamo al rifugio nel pomeriggio dove decidiamo di fermarci per la notte visto il buon trattamento ricevuto.

4 Agosto – Dal Soreiller a La Berarde 1720 m

Scendiamo al parcheggio poi in auto saliamo all’ultimo villaggio della valle dove chiedo clemenza agli amici e pernottiamo al Centre Alpin, dove si dorme in camerata ma ci sono pure i servizi. Una bella doccia, cambiarsi e bighellonare qualche ora fra i pochi locali pubblici serve a ritemprare un po’ le forze.

5 Agosto – Da La Berarde al rifugio del Promontoire 3097 m

Ce la prendiamo comoda, sono le nove quando ci incamminiamo sul lunghissimo vallone degli Etancons, passiamo dal rifugio du Chatelleret avvicinandoci allo sperone, avancorpo della Meije, dove si trova, vero nido d’aquila, il piccolo ma gestito rifugetto. Per arrivarci l’ultimo tratto è alpinistico, bisogna scalare delle placche con scarse attrezzature, dice la guida, che non troviamo visto che non ci sono segni e ci arrangiamo alla meglio. Cinque le ore impiegate. Il luogo alla testata della valle è circondato da un magnifico anfiteatro di monti, fa una certa impressione vedere le cordate che rientrano dalla montagna che ci sovrasta al crepuscolo.

6 Agosto – Toccata e fuga dalla Meije con rientro

La via comune di questa grandiosa cima alta 3983 metri fu aperta da un montagnard locale poi soprannominato Gaspard de la Meije nel 1877 è giustamente temuta e rispettata, i fratelli Zsigmondy fra i primi senza guida fecero la traversata delle creste e Emil perse in seguito la vita durante un tentativo alla parete S. Torniamo alla via più facile, essa segue la cresta sopra il rifugio poi attraversa un ghiacciaio pensile uscendo poi in cima su roccia impegnativa. Questa il nostro ambizioso proposito, come la metà di tutti gli inquilini del rifugio, l’altro 50% vi pernotta al ritorno. La solita sveglia alle quattro, quando usciamo si vedono le lampade delle frontali delle cordate con guida che si allontanano. Le previsioni al solito danno tempo incerto con possibili temporali e non si vede alcun astro brillare nel cielo, facciamo alcuni tiri di corda nella nebbia assieme a dei simpatici tedeschi fino a quando comincia a cadere qualche fiocco. Si mette ai voti se proseguire o rinunciare, io viste le condizioni in cui mi trovo mi astengo, quindi il mio compagno si trova in minoranza, ridiscendiamo. Anche i teutonici fanno lo stesso. Neanche ci fermiamo al rifugio e giù direttamente a La Berarde. Le autostrade del Nord sono praticamente deserte, quando entro in casa mia moglie manco mi riconosce tanto sono smunto, mi rifiuto di andare dal medico, per fortuna la prossima settimana la trascorrerò in convalescenza al mare con la famiglia.

1989, seconda esperienza fra le grandi montagne di ghiaccio

 

  1. giovanni
    febbraio 23, 2012 alle 11:17 am

    wow, e’ sempre un piacere leggere le tue imprese. virtu’, modestia e sincerita’ ti contraddistiunguono da molti altri blog che leggo (che leggevo dopo averti “scoperto”)

    mandi, ogni ben

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